Le star, si sa, mica esistono più. I tempi sono cambiati. Oggi, essere figo come quelli là – come i James Stewart, i Marcello Mastroianni, gli Steve McQueen – è impossibile, certo. Colpa della sovraesposizione, delle cineprese nei telefonini, dei social, dei podcast, delle solite cose che sappiamo e diciamo. Sono luoghi comuni, ma c’è un fondo di verità: le star di Hollywood come le abbiamo conosciute fino a dieci, quindici anni fa, non esisteranno più. O almeno, non saranno più così globalmente cool. E allora teniamoci stretti gli ultimi rappresentanti di quel sistema ormai al tramonto, come il fresco cinquantenne Leonardo DiCaprio.
Leo. L’ultimo che è riuscito a essere tutto, per il pubblico: sex-symbol adolescenziale da cameretta e poi icona del cinema d’autore, selvaggio protagonista del gossip e poi militante politico, fino a diventare perfino – massima dimostrazione di fama per i tempi in cui viviamo – un meme. Forse i quattordicenni di oggi non lo hanno visto piangere di rabbia contro una finzionale moglie quarantenne nel tinello di casa, in una delle scene madri di Revolutionary Road (che peraltro, alla fine non era neanche tutto ‘sto granché), ma sanno che nella realtà non ha mai avuto una ragazza più vecchia di 25 anni. E forse, prima o poi, scopriranno anche che intorno a quella scena in cui lui punta il dito verso il televisore c’è tutto il resto di un film meraviglioso…
Sia come sia – sono troppo vecchio per preoccuparmi di quando i ventenni di oggi scopriranno che il mondo non è fatto di video di 15 secondi, e che esiste cultura prodotta prima della loro nascita – DiCaprio rimane l’ultima stella del cinema americano degna di questo nome, visto che a Hollywood non c’è nessuno sotto i quaranta che sembra potersi avvicinare a quello status (e sicuramente nessun maschio, visto che l’unica eccezione, forse, è rappresentata da Zendaya).
Ora che è arrivato ai cinquanta, Leonardo DiCaprio appare chiaramente come un ponte tra le epoche e le generazioni, ultimo e primo capace di splendere attraverso il cambiamento dei tempi, anche grazie alla sua stessa capacità di cambiare, indicando la strada che molti altri giovani attori stanno cercando di percorrere, da Timothée Chalamet in giù.
DiCaprio comincia da baby star, con spot televisivi e l’ultima stagione della sitcom Genitori in blue jeans: è già di una bellezza sfolgorante, ma non certo una formazione attoriale di primo livello. Niente scuole di recitazione, eppure il suo talento naturale convince Robert DeNiro a sceglierlo tra centinaia di ragazzi per Voglia di ricominciare, tratto dallo splendido Memorie di un impostore di Tobias Wolff. Già da quel momento, a diciassette anni, inizia il suo viaggio verso la libertà, che lo porterà a essere non solo il più carino di Hollywood, ma anche il più bravo. Sceglie ruoli per i quali serve non la bellezza estrema (che, tra parentesi, prima o poi dovremo deciderci a rivalutare: anche quella è un talento, e anche piuttosto difficile da avere), ma soprattutto l’abilità interpretativa. Sono ruoli drammatici, poco rassicuranti: Ritorno dal nulla, Poeti dall’inferno, La stanza di Marvin. Certo, in mezzo ci sono Romeo + Giulietta e Titanic, ma la capacità di Leonardo DiCaprio di tenere insieme pop e sperimentazione lo fa sembrare davvero – se mi perdonate il paragone spericolato – il Franco Battiato di Hollywood.
Dopo Titanic, DiCaprio, che scala l’ennesimo gradino della fama e da qui in poi diventa semplicemente Leo per i fan e per il mondo, si dedica alla costruzione del suo marchio personale, e anche qui finisce per centrare l’obbiettivo. Diventa infatti l’epitome del divo maschile della sua generazione, che non solo fa film di cassetta, ma primeggia anche dal punto di vista del virtuosismo: la critica si produce in lodi sperticate della sua capacità di lavorare sull’immedesimazione, e di offrire alla cinepresa che indugia sul suo viso quella precisione controllata che distingue gli attori eccezionali dai semplicemente bravi. Il cinema infatti, al contrario del teatro (che ha altri vantaggi e altri svantaggi, ovviamente), permette a chi recita di lavorare su piccoli particolari: basta l’increspatura di un sopracciglio per cambiare l’orizzonte emotivo di un personaggio, per riscaldare una scena. Che poi, nel caso di DiCaprio, al riscaldamento spesso segua un’esplosione, è solo logica conseguenza. L’attore americano, per definizione, si immerge nel personaggio: è figlio della tradizione di Lee Strasberg, e quindi per estensione di Konstantin Stanislavski. DiCaprio – pur essendo ufficiosamente uno dei re di New York – non ha mai frequentato l’Actor’s Studio, eppure sembra essere direttamente ispirato dal già citato Robert De Niro, da Meryl Streep (che rimane la più grande attrice della storia), perfino da James Dean. Pensate al modo in cui DiCaprio recita la rabbia, lo stress, la frustrazione: in fondo, non è così diverso da quello di De Niro. Del resto, non sarà un caso se Martin Scorsese l’ha un reso suo attore-feticcio, nell’ultimo quarto di secolo. Si potrebbe dire che DiCaprio ha persino qualcosa in più, rispetto a De Niro: la faccia angelica e la voce bambinesca, che secondo alcuni è il suo peggior difetto. Invece, la mancanza di una voce virile e profonda (che tradizionalmente associamo all’attore drammatico) gioca a suo favore nell’interpretazione di grandi antieroi, che si tratti di truffatori, doppiogiochisti o impostori. Ok, peraltro la maggior parte del pubblico italofono conosce solo la versione di quella voce data dal doppiatore Francesco Pezzulli, ma il ragionamento resta valido.
Tornando a Scorsese, la collaborazione con il regista italoamericano è una parte importante della strategia di personal branding messa in atto da Leo nei primi Duemila, quando l’attore vuole fortemente associarsi a due icone assolute di Hollywood: lo stesso Scorsese e Steven Spielberg, esempi di quel cinema USA che riesce a tenere insieme mainstream e autorialità – ovviamente, Spielberg rappresenta maggiormente il primo, Scorsese la seconda. Più in generale, Leo anche nei decenni successivi lavorerà quasi esclusivamente con grandi autori (anche loro, gli ultimi della storia hollywoodiana? Vedremo) dall’impronta riconoscibilmente americana, da Clint Eastwood a Quentin Tarantino, fino a Paul Thomas Anderson, il cui The Battle of Baktan Cross (forse ispirato all’infilmabile Vineland di Thomas Pynchon) dovrebbe arrivare nei cinema la prossima estate.
Il secondo pilastro su cui si fonda il marchio DiCaprio ha invece a che fare con la sua vita fuori dagli schermi, o meglio sulla sovrapposizione tra ruoli attoriali e ruolo sociale della star. Proprio alla fine del ventesimo secolo infatti, Leo comincia a impegnarsi nella causa ecologista, che a tutt’oggi sostiene indefessamente, dalla sua pagina Instagram al palco degli Oscar. Il tempismo con cui l’attore abbraccia questa lotta (appena prima dell’uscita di The Beach) suscita inizialmente alcuni dubbi: in che misura – scrive in quel 2001 il New York Times – le motivazioni di una star impegnata in battaglie sociali o politiche sono sinceramente altruistiche, e in che misura autopromozionali? La domanda era lecita, anche se la profondità e la continuità del lavoro di DiCaprio come attivista pro-clima oggi hanno sgombrato il campo da molti dubbi. Ancora più importante, però, è comprendere che essere una star oggi significa fondere la propria vita privata con i ruoli sullo schermo, e mettere insieme tutti i piani: quello artistico, quello socioculturale, quello politico. Secondo diversi studiosi, si tratta di una vera e propria “superperformance attoriale” sovrapposta alla e indistinguibile dalla vita reale. Seguendo questo ragionamento, non stupisce vedere DiCaprio impegnato in ruoli che criticano il sistema capitalista dall’interno (The Wolf of Wall Street), che riflettono sul rapporto tra uomo e natura (Revenant), che gridano per attirare l’attenzione sulla crisi climatica (Don’t Look Up). Una star non sceglie ruoli a caso, soprattutto se ha ben chiaro il cammino che vuole percorrere. Forse è proprio legando a doppio filo la sua vita reale con quella sullo schermo, che DiCaprio è riuscito a mantenere alta l’attenzione sul suo mestiere di attore, di star. Sul cinema. Riuscendo a mettere in secondo piano le modelle, le feste, il gossip e perfino i meme. Per riuscirci, è il caso di ammetterlo, ci vuole un certo talento.
Diventar vecchi, che orrore! (Anche per Leo)
Il divano di spade 09.11.2024, 18:00