Cinema

Deadpool & Wolverine, oltre il trend danzereccio su TikTok

Cosa funziona e cosa funziona meno, nella pellicola da più di 16 milioni di incassi

  • 4 settembre, 13:25
  • 5 settembre, 08:56
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Deadpool & Wolverine

  • Marvel
Di: Valentina Mira

Un film che esce d’estate, e che genera un trend TikTok di uomini che fanno un balletto. Era già successo l’anno scorso col Ken di Barbie, succede di nuovo con Deadpool & Wolverine.
La cifra del film è quella nota: il supereroe che ha smesso di prendersi sul serio, è umano-troppo-umano e sul machismo scherza, almeno apparentemente. La dissacrazione è funzionale alla desacralizzazione.

Succede con Deadpool che ride di quelle risate che terminano con un piccolo “oink”, succede con il suddetto balletto, succede soprattutto con le battute. Tante, a tratti troppe e volontariamente sopra le righe. Come si è detto, è la cifra del film. Si sfonda la quarta parete, Deadpool si autodefinisce “il Gesù della Marvel”, gli Stati Uniti si consentono l’ennesima battuta sui vicini più a nord (“Wolverine era un eroe, l’unica cosa decente uscita dal Canada”), e se qualcuno vuole portare i figli piccoli a vederlo deve sapere che ci sono affermazioni sul pegging e altre pratiche, che a un cinquenne potrebbero e con ogni probabilità dovrebbero, restare incognite.

Occorre aprire una parentesi sulla questione di genere e sul modo in cui viene trattata. In prima istanza, la rappresentazione: è un film a nettissima prevalenza maschile. Ma è soprattutto il modo di mettere bocca al discorso a dover essere analizzato. Quello che funziona della scelta dissacrante è la scena della vestizione di Deadpool, quando Wade Wilson in una carrellata veloce di immagini riceve un numero considerevole di pacche sul didietro, poi esce col noto costume rosso e nero e sostiene, a ragione: «Vi informo che il sarto è un predatore sessuale». Si può e si deve poter scherzare sulle molestie, e in questo caso il gioco funziona, perché non prende di mira le persone sbagliate, e la modalità scelta alleggerisce anziché confondere le acque e svilire il discorso. Poi, però, il tutto si perde in un bicchier d’acqua, con una strizzata d’occhio allo zoccolo duro del pubblico più incel.

Complice anche una traduzione letterale in italiano, per esempio quando si citano i pronomi (“lui, lei o loro”), il risultato è una presa in giro sì, ma di persone già vessate.
E ancora: «Abilismo? Perfetto, non piacerà al pensiero woke». Non bisogna essere seguaci di un supposto “pensiero woke” per innervosirsi a causa di battute sulle persone con disabilità.

Il sessismo è anche nei dettagli, quelli che hanno a che fare con l’inconscio che muove determinate scelte apparentemente irrazionali nella sceneggiatura. Muore, a un certo punto, un personaggio maschile, che non ha alcuna fattezza che possa far interrogare sul suo genere - appurato che ultimamente perfino le presidenti del consiglio si sentono in diritto di questionare su cosa c’è nelle mutande di qualcuno sulla base dell’aspetto fisico -, tuttavia, nonostante la testa decapitata appartenga inequivocabilmente a un uomo, viene detto: «Ho la testa della vostra regina». Mossa la critica da un altro personaggio, Deadpool sostiene: «Ho la cecità di genere». La cecità di genere è l’equivalente sessista dell’essere color blind: se si afferma che tutti i generi sono uguali al proprio sguardo si sta intrinsecamente negando che ci siano delle discriminazioni e delle specifiche nella differenza di trattamento. Interessante inoltre che si decida di parlare di “cecità” di genere, e della testa di una regina; il riferimento iconografico è quello a Medusa, mito indimenticabile che continua a vivere e a essere risignificato. Se Medusa è diventata il simbolo delle persone violentate che restituiscono lo sguardo, dopo averne ricevuti troppi e sgraditi, col potere di pietrificare, d’altro canto la ricordiamo nei meme che aiutarono Trump a ridicolizzare Hillary Clinton pochissimi anni fa.

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Caravaggio, Medusa

Un altro elemento ricorrente nel film è la scelta di una colonna sonora importata direttamente dagli anni Novanta e Zero, identificando il suo pubblico ideale nei Millennial. L’operazione nostalgia in questo senso è già nota, e a quanto pare ancora efficace. A funzionare e a produrre anche con le canzoni un effetto ironico è la sovrapposizione di pezzi allegri o romantici a scene di risse.

Così, “Like a prayer” di Madonna diventa il sottofondo ideale per una sparatoria dei tanti Deadpool che provengono dai vari universi, “Iris” dei Goo Goo Dolls è per la scena della resurrezione dei due protagonisti e, nonostante le battute sul Canada, Avril Lavigne la fa da padrona con la sua “I’m with you”.

Si è accennato alla resurrezione e a Deadpool Gesù della Marvel. Una delle cose che convincono del film, in linea con l’intento dissacrante, è proprio che prende la parabola cristologica - l’idea che un personaggio debba sacrificarsi e che nella sua morte gli altri trovino salvezza - e la rigira come un calzino. Passi avanti per la Disney, che a questo topos narrativo sembra da sempre molto legata (perfino nel film La sirenetta se n’era fatto uso, in linea con l’intento cattolico dietro la fiaba di Andersen ma trasformando il sacrificio da quello di Ariel a quello di Tritone, ancora più tradizionale, ancora più Gesù). In questo caso invece Paradox, il villain principale di questa storia, ha mandato gli eroi al macello ed è convinto che siano morti, così improvvisa un discorso zeppo di retorica bellicista a base di “hanno fatto il loro dovere”, peccato che i due tornino in vita sulle note di “Iris” e lo prendano a sberle come merita.

Da notare la presenza nel cast della famiglia di Ryan Reynolds (Wade Wilson), quindi anche di Blake Lively e dei figli, che interpretano tutti delle versioni di Deadpool. È lo stesso Reynolds a dire verso l’inizio del film che ha “206 ossa, 207 quando guardo Gossip Girl”, citazione al fatto che Blake Lively, sua moglie, all’epoca era Serena Van Der Woodsen nella serie tv.

Tra camei e battutacce, alcune più riuscite altre meno, il momento introspettivo è lasciato a Wolverine, un sempre bravissimo Hugh Jackman. Lo ritroviamo alcolista, pieno di sensi di colpa per aver deluso la sua gente, e dolorosamente consapevole di una dinamica che lo riguarda: «Me ne sono andato. Me ne vado sempre».
Sa ancora tornare, però.

SPAM DEADPOOL

RSI Cultura 17.05.2018, 02:00

Presente in controluce, come spesso negli ultimi decenni, il tema dell’estinzione e della necessità di proteggere la linea temporale dalla stessa; non c’è bisogno di spiegazioni del perché l’argomento esca fuori sempre (era successo perfino nel primo film di Thor); quello che preoccupa una collettività emerge dall’inconscio collettivo, i film possono essere sogni o incubi o entrambe le cose. La dissacrazione serve anche a dominare le paure. L’estinzione è con ogni evidenza uno dei maggiori spauracchi del nostro tempo.

In definitiva: con pregi e difetti Deadpool & Wolverine è una visione piacevole, e si resta volentieri anche a veder scorrere i titoli di coda. Che, per inciso, sferrano un altro colpo basso: “Good riddance” dei Green Day.

It’s something unpredictable
But in the end it’s right
I hope you had the time of your life. 

81° Mostra Internazionale di Venezia

Spoiler 04.09.2024, 13:40

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