Cinema

Diamanti, il film di Ferzan Özpetek con un cast di 18 donne

Diamanti mette in scena la ferocia che c’è dietro la bellezza, e la bellezza che può esserci dietro la ferocia. Sarte, autodifesa, sorellanza e caramelle Rossana usate come rouches

  • 1 gennaio, 14:07
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Di: Valentina Mira 

I diamanti in natura si formano sotto pressione, una pressione altissima. È così che il carbonio, nel corso di milioni di anni, si cristallizza in una struttura a diamante. La metafora su cui si basa il film di Ferzan Özpetek (donne come diamanti) è in questo senso calzante e ottimistica: vivere dalla culla alla tomba sotto l’enorme pressione che deriva dall’appartenere a un genere storicamente sottomesso può schiacciarti, ma può anche darti qualche caratteristica positiva. I diamanti sono belli per legittima difesa, e duri per lo stesso motivo.

Nel caso di Diamanti, la dichiarazione d’intenti del regista è posta direttamente nel film, che frammezza lo svolgimento della trama principale (delle sarte lavorano per il cinema in un’Italia di qualche decennio fa) con momenti di meta-cinema in cui si mette in scena lui stesso, Özpetek, e le attrici.

«Cosa te ne fai di tutto questo vaginodromo?» chiede Geppi Cucciari all’inizio del film. Si riferisce alle 18 attrici coinvolte (Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi stessa, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Gisela Volodi, Milena Vukotic).
Il regista risponde: «Voi siete i miei diamanti».

Suona leggermente paternalistico, ma si lascia passare. È la dichiarazione d’intenti, la ricerca di un plauso, che forse nasconde delle insicurezze.

Nello stesso periodo in cui è al cinema Diamanti è uscito anche Conclave, che mette in scena più di 100 attori uomini. Non ci sono dichiarazioni d’intenti lì, però. Qui per 18 donne ci sorbiamo l’ego del regista che si mette in scena e cerca il “bravo”, il “grazie”; lì per più di 100 attori uomini risulta complesso anche criticare questa sovrabbondanza come il difetto che è.

Se il film di Özpetek è femminista, allora Conclave è maschilista. Il punto è che non è vera né la prima né la seconda affermazione. Diamanti è un film su un atelier di sarte, Conclave un film su uomini di chiesa che nominano il nuovo papa. Insomma: i proclami minano la sospensione dell’incredulità.

Nonostante questa innecessaria veste politica del film (“viva le donne e chi le ama” è una frase che avrebbe potuto dire Berlusconi, e che invece troviamo qui), Diamanti è un bel film, e porta i suoi regali più nella trama che nei momenti di meta-cinema.

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Il primo attimo commovente è quando il personaggio interpretato da Mara Venier dice: «A me non hanno tolto la terra sotto ai piedi, a me i piedi li hanno proprio tagliati». Lo dice in riferimento al fidanzato che ti molla di punto in bianco, perché invecchi e questo per qualcuno che non sa amare è un problema. Mara Venier parla di “necessità di reagire”. Che è poi uno dei temi più importanti del film.

Avviene un omicidio, ma per legittima difesa. Lo stesso tipo di omicidio che Giulia Tofana permetteva che le donne commettessero, in tempi non sospetti. Non viene messo in scena e ciò è elegante. Parliamo di una delle sarte con un marito abusante, che si salva da un femminicidio annunciato, promesso, minacciato. È una scena molto commovente per chiunque abbia sopportato a lungo.

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Una scena da "Diamanti"

C’è anche dell’altro di molto buono, nel film, a parte evidentemente l’interpretazione delle attrici, tra le migliori d’Italia.
La critica alla figura del regista, per esempio. Essendo sarte per il cinema, le nostre protagoniste s’interfacciano con un regista (non parliamo stavolta di Özpetek che mette in scena sé stesso), che come il marito di cui sopra grida di continuo. In effetti succede che anche al lavoro si subiscano i comportamenti patriarcali di qualcun altro, ed è bello il parallelismo fatto tra la famiglia, ambito privato, e il lavoro, ambito pubblico: è per questa continuità che il patriarcato è una lenta, invisibile tortura; perché è ovunque. Come in famiglia, le nostre sarte si ribelleranno anche qua, a un certo punto. «Penso che tu abbia paura di questo film», dicono al regista, e hanno ragione.

Diamanti funziona non solo perché tende all’antisessismo, ma anche perché è anticlassista: tra tanti film italiani che mettono in scena i drammi alto-borghesi, qui parliamo di sarte, di operaie e di operai. È anche per questo che il film è bello. Bello è però soprattutto per scene come quella in cui viene l’idea di trasformare la carta delle caramelle Rossana in rouches, la creatività delle sarte, la bellezza pregna di senso degli abiti. Diamanti è questo, nonostante la piccola ingenuità d’ego dei cameo a inizio, metà e fine film (che sembrano in realtà la rappresentazione del fatto che il regista avesse paura di uscire dalla sua comfort zone) il miglior film che Özpetek facesse da tempo.

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