Harold e Maude è un film steso tra le prove generali del proprio suicidio e l’amore viscerale per la vita. La propria, ma pure quella degli altri. E lì, in bilico ma allo stesso tempo a suo agio, racconta. Racconta di Harold, un diciottenne di famiglia borghese che partecipa a funerali altrui e inscena la propria morte -possibilmente dolorosa- e racconta di Maude, una figlia dei fiori fuori tempo massimo, un’ottantenne per cui la terza età non ha alcun senso: di età ce n’è una, che resta prima fino alla fine. Su una cosa Harold e Maude sono d’accordo: anche la fine può, anzi deve essere, cosa nostra. Nostra la vita, nostra la fine.
«Non ho vissuto. Sono morto un paio di volte». Harold, Harold e Maude.
Harold and Maude, di Hal Ashby (1971).
Harold e Maude è un film del 1971 diretto da Hal Ashby e racconta una storia d’amore lunga 62 anni: quelli che passano tra lei e lui. Amore o amicizia, poco importa, perché un’altra cosa che Harold e Maude racconta (non insegna!) è che la differenza tra i due sentimenti può essere irrisoria, che un’amicizia può essere innamorata e un amore amico, e che possono accendersi anche tra due anime e corpi di generazioni lontane, se hanno la fortuna di incontrarsi nel corso della stessa vita. Quello di Harold, giovane adulto, è il viaggio di un ragazzo che ha perso l’orientamento tra le mura di casa, tra modi e maniere, marmo e argenteria, molto avere e poco essere, se quell’essere non rispetta l’etichetta. Un ragazzo intelligente, molto, ma svuotato da un’esistenza impeccabilmente stampata, in piega, stirata, e vuota. Un vuoto che Harold riempie di morte; la morte d’altri, reale, celebrata, e la sua morte, ipotetica, pensata, organizzata e inscenata davanti alla madre in irresistibili pièce dell’assurdo; non essendoci vita, proviamo con la morte. Fino a quando, a uno di quei funerali altrui vissuti da macabro cameo, Harold non incontra Maude, che con quella cerimonia ha molto più a che spartire, ossia l’età del morto, motivo per cui può iniziare a prendere appunti. Quel che invece già pensa sulla vita e sul vivere inizia a raccontarlo a Harold lì, tra i banchi della chiesa e poi giorno dopo giorno, scrivendo ma soprattutto vivendo le pagine di un’amicizia irresistibile, di un amore divertentissimo, leggero e denso. Un amore che scalda Harold e la sua adolescenza di marmo con il calore del legno. Che lo colora con pennelli e tempere il cui senso non è finire in una cornice dorata, ma vivere il gesto, l’espressione. Questa è Maude, anziana di una consapevolezza sincera, perfettamente centrata nelle sue ottanta primavere, che non scappa dalla sua età, semplicemente ne è protagonista e non vittima. Fino alla fine, letteralmente.
Harold and Maude, di Hal Ashby (1971).
«Vizio, virtù… è meglio non essere troppo morali; ci si frega troppa vita. Puntate al di sopra della moralità. Quando si applica questo alla vita, si è destinati a viverla pienamente!». Maude, Harold e Maude
Eccoli Harold e Maude, toy boy e cougar antesignani, hippie fiaba d’Esopo antropomorfa, nemesi di Tinder. Storia delicata, mai zuccherata, severa al punto giusto, malinconica e sorridente. Capace. Una storia d’amicizia e amore, d’incontro e relazione, d’ascolto e saggezza. Novanta minuti costruiti sull’idea che le generazioni non siano consequenziali, ma contemporanee. Che non lascino un’eredità, ma partecipino a un discorso. Che se sono sfalsate, e non alternate, è per concedere il tempo all’una di raccontarsi all’altra, lasciandole poi la responsabilità - consapevole - di essere continuità o rottura.
Harold e Maude è giusto e su misura anche grazie alla colonna sonora che rimbalza tra Tchaikocsky, Strauss e Cat Stevens, scelto dopo che la produzione abbandonò l’idea di scritturare - sia per le musiche sia per una parte - un giovane londinese di 24 anni: Elton John. Ma ben venga Stevens, all’epoca non ancora Yusuf Islam, che su questo film veste come un abito sartoriale. E a proposito di abiti, Harold e Maude è anche i costumi di William Ware Theiss, lo stilista di Star Trek, e le scenografie di Michael D. Haller, che ha disegnato le quinte di praticamente tutti i film di Ashby. Insieme, con sapere artigiano, Theiss e Haller hanno saputo allestire per Harold e per Maude armadi e scene in grado di parlare, di suggerire. E poi ci sono loro, Ruth Gordon (Maude) e Bud Cort (Harold), così strambi e perfetti, così lontani e prossimi. La prima necessariamente forte di un Premio Oscar, ricevuto per la sua parte in Rosemary’s Baby (Roman Polański, 1968), il secondo perfettamente fragile in una delle sue prime apparizioni da protagonista dopo aver convinto due volte Robert Altman (M*A*S*H e Brewster McCloud) e Roger Corman (Gas-s-s-s). Le loro facce, le loro stature, la loro delicatezza e la loro educazione sono il coronamento di un amore bizzarro e dolcissimo, scelto e coltivato. Quello tra un vecchio giovane e un’anziana ragazza. Finché morti non li separi.
L'insostenibile fragilità dell'essere (1./7)
Domenica in scena 09.05.2021, 19:35
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