Il 15.12.2024 saranno passati 50 anni dall’uscita del film Frankenstein Junior. Per l’occasione, verrà riproposto venerdì 13.12 alle 23.10 circa su LA1. Dopo la messa in onda, sarà disponibile sul Play per 7 giorni.
Poche occasioni sono state utili al mondo del cinema, e in primis a quello della letteratura, come le giornate trascorse da Lord Byron e la sua banda di amici a Villa Diodati, sul lago di Ginevra. Una stagione tanto insolita e piovosa da ribattezzare il 1816 come “l’anno senza estate” costrinse il gruppo a non uscire, e un passatempo come molti li spinse a scrivere un racconto dell’orrore. Tra i vari sfidanti, solo John Polidori e Mary Godwin portarono a termine il compito, regalando al mondo due tra le creature più importanti della letteratura: il mostro di Frankenstein e il vampiro moderno. Da lì a qualche mese, la diciannovenne Mary avrebbe sposato il poeta Percy Bysshe Shelley entrando nella storia col cognome del compagno.
Sarebbe stato curioso porre la madre della fantascienza di fronte alle “fantascientifiche” immagini in movimento di un cinematografo. Spiazzante osservare la sua reazione di fronte a quel che è, paradossalmente, uno degli adattamenti più riusciti tra le decine di reinterpretazioni del suo romanzo: il Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks.
Realizzato con un pugno di dollari cinquant’anni or sono, Young Frankenstein moltiplicò il budget con cui era stato prodotto soddisfando il pubblico di ogni genere ed estrazione sociale grazie a una comicità slapstick e demenziale che non dimenticava i sentimenti, in una formula perfetta che gli valse, oltre ai due Oscar, una lunga fama. Se da ogni frame trapela l’amore per l’opera originale di Mary Shelly, è dalle tetre scenografie e dal bianco e nero malvoluto dalla produzione che si può cogliere quello per i film dell’Universal, da cui Gene Wilder trasse ispirazione per la sceneggiatura proposta a Mel Brooks durante le riprese di Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974). Fu dopotutto l’Universal a rendere possibile l’ascesa del genere horror e del Frankenstein cinematografico e proprio per questo, più che all’opera di Mary Shelly, è al Frankenstein (1931) di James Whale che bisogna guardare per riconoscere la fonte da cui trasse ispirazione Frankenstein Junior, che del film di Whale non è una parodia ma un sequel parodico. Non è infatti Victor il protagonista del film di Brooks, quanto il nipote Frederick, che ereditato il castello del nonno, di cui ripudia persino il nome storpiandolo in “Frankenstin”, riscopre il destino di famiglia replicando l’esperimento del progenitore, ma con il cervello sbaglia. Un cervello fornitogli dal fedele assistente Igor, o per meglio dire Aigor, che trafugando parti umane recupera quello abnorme di un pazzo.
Bastano queste poche righe per riportare vivide alla mente le scene più iconiche del film, nonché le sue battute più citate, dalla non troppo sottile “Quando la sorte ti è contraria e mancato ti è il successo, smetti di far castelli in aria e va a piangere sul...” al ripetuto sketch sulla gobba di Igor, ideata dallo stesso attore in uno dei tanti giochi di improvvisazione, fino al più classico quesito sul come le cose potrebbero essere peggiori, con conseguente diluvio a innaffiare i due trafugatori di cadaveri. Gag e battute che Wilder e Brooks riscrissero insieme prima di affidarle, oltre che al protagonista interpretato dallo stesso Wilder, a Marty Feldman e Cloris Leachman, nonché alla da poco scomparsa Teri Garr. Se Wilder chiese a Brooks di rinunciare al suo solito cameo, una piccola quanto memorabile sequenza fu invece offerta a Gene Hackman, che desideroso di sganciarsi dai ruoli drammatici pregò il regista di affidargli una parte durante una partita a tennis, guadagnando quella del vecchio cieco.
La necessità di contenere il budget diede così vita a un’operazione di involontario rigore filologico quando la produzione recuperò le attrezzature realizzate per il Frankenstein di Whale e relativi sequel, che lo scenografo Kenneth Strickfaden ancora teneva nel proprio garage. Il set fu tanto rilassato e divertente da concedere lunghi momenti di improvvisazione che costrinsero a prolungare i giorni di ripresa, con la conseguente produzione di eccessivo materiale. Ma come sostiene il terzo principio della dinamica, a ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria, e l’eccesso di girato che regalò al film alcune delle sue sequenze più memorabili si rivelò un grattacapo per il montatore, che si ritrovò presto di fronte a una pellicola di tre ore. Tra le scene che rischiarono di essere tagliate, quella in cui Igor offre il bastone a Friedrick sulla battuta “walk this way”, che se nella versione italiana perde il suo doppio senso, in quella originale risultò tanto efficace da essere replicata in vari film di Brooks ma, soprattutto, da essere la fonte di ispirazione per l’omonimo brano degli Aerosmith.
Nonostante il clima sereno, la realizzazione del film vide anche qualche ostacolo. La Columbia, alla quale Brooks si propose inizialmente, rifiutò di produrlo quando capì che il regista non avrebbe mai cambiato la pericolosa idea di girare in bianco e nero. La 20th Century Fox, accettata malvolentieri la scelta artistica, si impuntò invece sull’eliminazione del balletto finale, che Brooks difese allo stesso modo. La storia, naturalmente, diede ragione a Mel Brooks, perché a fronte di una spesa di circa due milioni di dollari, il film ne incassò 85, trasformando Frankenstein Junior in una delle più riuscite commedie di sempre. Osannato dalla critica, fu ritenuto, sia da Gene Wilder che da Mel Brook, il film più riuscito di entrambi. L’apice di due carriere che, malgrado il successo, non si sarebbero mai più incontrate, se non fuori dal set. Insieme avevano prodotto un’opera destinata a restare, da soli avrebbero continuato a scrivere e produrre, perché “la penna è più potente della spada, e decisamente più comoda per scrivere.”
"Frankenstein Jr"
RSI Cultura 30.06.2017, 20:15
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RG 07.00 del 30.08.2016 La voce di Gene Wilder
RSI Cultura 30.08.2016, 07:55
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