Cinema

Il problema dei tre corpi: la serie più costosa mai prodotta da Netflix

Alieni, multiverso, realtà virtuale e l’ansia per la fine del mondo. Un prodotto in cui il videoludico si conferma non più solo intrattenimento, ma soprattutto un modo per raccontare storie

  • 6 ottobre, 08:00
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"3 Body Problem", la serie

  • Netflix
Di: Valentina Mira 

Il problema dei tre corpi nasce romanzo di fantascienza, pubblicato dal cinese Liu Cixin nel 2006 e approdato al mondo anglosassone nel 2013. Diventa serie tv nel 2023 sempre in Cina, sotto il titolo di Sān tǐ (letteralmente “Tre corpi”), 30 puntate che in Occidente non sono arrivate. È stata Netflix, invece, a distribuire la versione più nota dalle nostre parti di questa serie, Il problema dei tre corpi, nel 2024. Otto episodi da circa un’ora l’uno sviluppati da David Benioff e D.B. Weiss, gli stessi de Il trono di spade. I due hanno firmato la sceneggiatura insieme a Alexander Woo di The Terror, e anche la produzione vanta una certa solidità, coinvolgendo la Plan B (la società di Brad Pitt) e la Primitive Streak di Rosamund Pike.

Una serie di fantascienza ambiziosa e attuale, che tuttavia inizia in un modo un tantino anti-comunista, la qual cosa era trattata in una certa maniera nel libro ma nella serie risulta grottesca e eccezionalmente filo-statunitense: appare quasi come una propaganda anti-cinese, il che è grave per una serie tratta dal primo libro di una trilogia di romanzi che da lì vengono. Per un attimo sembra di vedere la fantasia del “non si può più dire niente” elevata all’ennesima potenza. Poi, però, si riprende. E ci regala uno show molto valido sotto ogni punto di vista.

La trama, in breve e senza spoiler: un gruppo di scienziati inizia a vedere un conto alla rovescia ogni volta che apre gli occhi, e alcuni di loro vengono spinti al suicidio. Si capirà molto presto che dipende dal contatto con gli alieni. La storia si svolge su piani temporali e spaziali molto diversi, e mantiene il ritmo e l’attenzione dello spettatore nonostante la quasi totale assenza di musica.

Il colpo di genio è il riferimento alla realtà virtuale; gli alieni trovano, tra gli altri, un modo di comunicare che prevede dei visori, un po’ come nella Play Station VR (esperienza iper consigliata, ndr). È interessante come i videogiochi dialoghino con la serialità in streaming, qualche volta ispirando storie (vedi The Witcher), qualche altra volta - come in questo caso - inserendo l’elemento videoludico nella trama in modo convincente. In questo modo i mondi si influenzano tra di loro proprio come i piani drammatici del Problema dei tre corpi, una concezione della (o meglio delle) realtà che parla di universi paralleli, richiamando Leibniz e i suoi “mondi possibili” a livello filosofico, ma soprattutto il concetto di multiverso.

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Jack Rooney interpretato da John Bradley in "Il problema dei tre corpi"

  • Netflix

Nonostante la chiave scelta per la serie sia più tragica che comica, ci sono dei momenti divertenti e afferiscono proprio alla parte del videogioco. Il personaggio di Jack appena indossa i visori si ritrova sempre con la testa tagliata nel giro di tre secondi, così la prima volta che riesce a giocarci per davvero inizia a picchiare fortissimo un personaggio che non se lo merita per niente, e l’effetto fa ridere ad alta voce. È a questo personaggio che è affidata la linea comica, ma serve a farci affezionare di più. Poiché però nelle storie spesso vale la regola “kill your darlings”, quando Jack si prende una coltellata per aver fatto la scelta giusta, la più coraggiosa, l’effetto è devastante.

Un altro elemento che funziona: la villain principale è costruita benissimo. Corrisponde alla definizione per cui se si ha tanta luce probabilmente si ha anche tanta ombra, e seguendo la sua storia ci accorgiamo che il contesto in cui è cresciuta unito alle notevolissime capacità cognitive l’hanno resa mostruosa, ma ugualmente la capiamo, pur non condividendone le scelte. Che poi saranno ciò che la porterà a dire: «Ho deluso più persone di chiunque nella Storia», perché ha venduto l’umanità agli alieni, e tutto solo per la fantasia di poter essere salvata, il desiderio di credere in qualcuno.

Negli otto episodi del Problema dei tre corpi c’è anche un amore strappacuore, e l’abilità degli sceneggiatori sta nell’incastonarlo in un contesto in cui per l’amore non c’è proprio spazio. Il momento in cui Will evita di dire a Jin una cosa molto brutta che gli è successa - per non allarmarla?, per non distrarla da una missione più alta?, o, come sembra, per paura di ricevere in cambio menefreghismo e quindi di rimanerne deluso? - le chiede, però, di partire insieme. Ma Jin è votata al lavoro e un tantino egoriferita. Il modo in cui risponde, lo sguardo di Will. Il fatto che nella vita si possa amare moltissimo qualcuno e che questo qualcuno non si renda conto di come stiamo mentre noi potremmo leggergli dentro fino a prevedere le mosse: è una scena che ti sfonda il petto. Il tutto in meno di cinque minuti.

Il problema dei tre corpi è una serie fantascientifica intrigante, che fa venire voglia del più classico “voglio vedere come finisce”. La buona e la cattiva notizia è che non finisce. È confermata una seconda stagione, e dato che per la prima erano stati spesi 200 milioni di dollari, diventando il prodotto Netflix più costoso in assoluto, la cosa è sbalorditiva.

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