Cinema

Il sol dell’avvenire

La storia che si fa con i se

  • 26.05.2023, 10:00
  • 14.09.2023, 09:02
Il sol dell'avvenire, Nanni Moretti

Il sol dell'avvenire, Nanni Moretti

Di: Valentina Mira 

Beppe Fenoglio nel romanzo "Il partigiano Johnny" scriveva: “Fischia il vento è una vera e propria arma contro i fascisti. Li fa impazzire, mi dicono, al solo sentirla”. Era forse questo uno degli scopi di Il sol dell’avvenire, visto che il titolo è una citazione a quella stessa canzone? Vediamo.

Nanni Moretti, in un’intervista video a (Concita de Gregorio su The Hollywood Reporter), dice che purtroppo oggi a scrittori e registi è richiesto sia di fare il proprio lavoro, sia di portare avanti “lo slogan per parlare del proprio lavoro”. Seguiamo la sua giusta riflessione, e cerchiamo di restituire un po’ della sua complessità a un film che, dall’inizio alla fine, è pensato per la sala e non per le piattaforme di streaming. Un film che intreccia in modo molto naturale trame, sottotrame e meta-narrazione rifiutandosi di seguire schemi preconfezionati. Non è quel che si dice un film-algoritmo, insomma.

Il sol dell’avvenire è una matrioška di storie, storie che con la Storia s’intrecciano. Quella principale è la seguente: Giovanni (alter-ego di Nanni Moretti) sta provando a realizzare un film su una piccola sezione del Partito comunista italiano (quella del Quarticciolo, borgata nel quadrante Est di Roma) che nel 1956 si trova a fare i conti con l’invasione, da parte dell’Urss, dell’Ungheria. Prendere o meno le distanze dal partito? I due personaggi principali del film la vedono in maniera opposta, ma il punto di vista di Moretti esce fuori alla fine (ci arriveremo).

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Silvio Orlando in una scena de "Il sol dellavvenire"

Uno di quelli impegnati nella realizzazione di questo “film nel film” è un ragazzo - un Millennial, o meglio la sua caricatura - che molto ingenuamente chiede: «Ma perché, in Italia c’erano i comunisti?»
«Certo - risponde Giovanni-Nanni - 2 milioni di iscritti».

Che i trentenni in Italia, non solo vengano beffati da un sistema che li vuole la generazione più povera, ma anche da penne illuminate (qui una il cui pane quotidiano è insultare i giovani sminuisce le loro proteste sul caro affitti, qui i fatti e i dati sul caro affitti che danno ragione ai giovani) è chiaro. Che Moretti appoggi questa visione è una novità. È più plausibile che il trentenne ignorantissimo sia un éscamotage narrativo che gli consente di essere pedagogico per un attimo, anche perché nel paese in cui i sindaci fanno saluti romani en plein air è evidente che un piccolo ripasso di Storia, che si sia Millennial o meno, male non fa. Il problema, se se ne vuole trovare uno a un film comunque godibilissimo, è proprio di opportunità politica. Davvero, nel paese di Giorgia Meloni, un intellettuale di sinistra pensa che sia il momento giusto per fare le pulci al Pci degli anni Cinquanta, senza troppo contestualizzare? Se si vuole raccontare una sezione del Quarticciolo non si può prescindere dal fatto che per tutti gli anni Cinquanta l’università, i licei e molti quartieri delle città erano territorio privilegiato e spesso incontrastato dell’azione politica violenta dei fascisti (vedi la storia della morte del militante comunista Valerio Verbano raccontata nel libro di Marco Capoccetti Boccia). Oggi stesso, il Quarticciolo non è esente da tentativi di controllo della zona da parte di neofascisti. Nel Paese in cui le elezioni le ha vinte una presidente che solo dieci anni fa andava a posare corone di fiori nei pressi di croci celtiche, al cinema ci troviamo a vedere Nanni Moretti che strappa un manifesto con la faccia di Stalin: straaaap, dice.

Il sol dell'avvenire, Nanni Moretti

Il sol dell'avvenire, Nanni Moretti

Resta un fatto però, oltre al discorso politico. Il film fa ridere. E fa venire i lucciconi, in alcune scene. Insomma, funziona. Porsi questi interrogativi non è bocciarlo, anche perché non è strettamente il lavoro di un artista quello di tenere conto della situazione politica attuale, per quanto ci sia chi lo fa, talvolta non senza allarmismi (Michela Murgia in questi giorni parlava di governo fascista).

Ma il valore del film di Nanni Moretti emerge soprattutto quando ironizza su quello che conosce bene, e cioè il cinema stesso. Ci sono due momenti in cui dà davvero il meglio di sé e che, da soli, valgono la visione del film.
Il primo inizia così, con una telecamera e un ciak!, azione. La scena: due criminali, uno per terra, l’altro in piedi con la pistola puntata. Quest’ultimo esplode in un «Mori, ‘nfame!» che è volutamente la caricatura di uno dei tanti film iper violenti à la Romanzo criminale, che hanno imperversato nell’ultimo decennio in Italia e che però di Romanzo criminale non sempre avevano la stessa qualità. Dopo quel «Mori, ‘nfame!» Giovanni non ce la fa proprio, non si trattiene, non è neanche il suo film eppure… lui dissente. Lo deve fare. Deve mettersi in mezzo. E qui Nanni Moretti riesce a infilare, nell’ordine: un cameo dell’architetto Renzo Piano, un cameo della scrittrice e da quest’anno direttrice della fiera letteraria più importante a Roma (Più Libri Più Liberi) Chiara Valerio, un cameo di Corrado Augias, un monologo delirante eppure perfettamente sensato sul fatto che nei film di Kiezlowskij la violenza è rappresentata realisticamente e in modo da allontanare chi la guarda dalla voglia di uccidere qualcuno, mentre in questo film la violenza “è intrattenimento, adrenalina”. E mentre Giovanni si appresta a chiamare anche Martin Scorsese per ottenere un ulteriore parere non richiesto sul film di un altro, dopo aver esclamato che «il problema è sì estetico, ma soprattutto etico!», ci appare tutta la bravura di Moretti che si prende in giro da solo, rappresentandosi come un insopportabile Solone, mentre però porta una critica precisa come un bisturi al cinema italiano più recente.

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Un'immagine da: "Romanzo criminale"

La seconda scena che è destinata a durare è un’altra, e cioè quella in cui critica Netflix. E forse solo Nanni Moretti ha la sicurezza (in termini di fama, e generazionali, e di non ricattabilità lavorativa) per sfottere in questo modo il colosso nordamericano. Giovanni sta cercando di trovare chi produca il film, così si incontra proprio con la grande “N” rossa. La piattaforma di streaming è rappresentata da un uomo e una donna che parlano come robot, e che non fanno che ripetere che Netflix esiste “in 190 Paesi”; lei, con un inconfondibile Apple Watch al polso, non solo mastica un linguaggio manageriale e imbottito di innecessari anglicismi, ma soprattutto sposa quell’idea per cui l’arte del racconto (pardon, dello storytelling) non sarebbe nient’altro che un rigido ripetersi di schemi («Il turning point arriva al minuto…? No, non va bene, è troppo tardi»), zero ispirazione, nient’altro che un’applicazione meccanica del grafico del viaggio dell’eroe. La rappresentante Netflix aggiunge: «Il vero problema è che in questo film manca un momento what the fuck», e mentre lo dice è palese che, almeno nel Sol dell’avvenire, è precisamente quello, il momento wtf. Anzi, per dirla con Giovanni: «Uoddeffàc».

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Il viaggio dell'eroe

«Chi l’ha detto che la storia non si fa con i “se”? Io invece la voglio fare proprio con i “se”», dichiara l’alter-ego del regista verso la fine del film.
Bene, riassumendo: Nanni Moretti nel Sol dell’avvenire ha nannimorettato alla grande (e, soprattutto nella parte dei camei con gli amici illustri, ha “flexato”, direbbe forse qualche giovane abitante del Quarticciolo di oggi). Gli è riuscito benissimo e il film è piaciuto e piace. Moretti sa quello che fa. E se la storia si può, certo, fare con i “se”, la Storia con la maiuscola no. Per cui, no, il Pci nel 1956 non si dissociò dall’Urss, ma va anche detto che sono in pochi oggi i nostalgici di quel totalitarismo.

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