Cinema

Immacolata decisione

L’attrice Sydney Sweeney e il regista Michael Mohan ci mostrano come la politica sul corpo delle donne sia ancora un film dell’orrore

  • 19 luglio, 13:59
Immaculate
Di: Chiara Fanetti

Cecilia è una novizia che dagli Stati Uniti raggiunge l’Italia per entrare a far parte di un convento dove trovano cure e riposo suore anziane e malate, seguite dalle sorelle più giovani.

Al suo arrivo, in un ambiente solo apparentemente ospitale nei confronti della sorridente straniera, Cecilia trova un’amica in Gwen - un’altra giovane suora, cinica e ironica - e in uno scambio le chiede se crede o meno in Dio. Gwen le risponde: “Certo, la vita è così crudele che solo un uomo potrebbe esserne responsabile”.

È questa la frase chiave per capire il tono di un film che altrimenti potrebbe essere velocemente catalogato come un’ennesima pellicola dell’orrore, con al centro la figura della suora malvagia o del diavolo, oppure come una sorta di revival del filone “nunsploitation”, dove intorno ad elementi come il convento, la vita monacale e il connubio “sacro e profano” si costruivano, negli anni ’70 e ’80, storie di erotismo e trasgressione. Immaculate, di Michael Mohan, è ben cosciente dei riferimenti su cui può contare sparsi nella storia del cinema - alti o bassi che siano - ma soprattutto è ben in chiaro su come evocarli al meglio senza soccombervi, per raccontare in realtà qualcosa di (ancora) estremamente contemporaneo.

Immaculate

Sempre lui: il corpo delle donne

La figura della suora, o quella che è la sua più diffusa immagine stereotipata, è una scelta facile se si vuole discutere di corpo femminile attraverso la finzione, letteraria o cinematografica. Celata, coperta, reclusa, sposa vergine e fedele, votata alla devozione, alla cura, al silenzio: Immaculate si erge su queste connotazioni, su queste associazioni d’idee e su questi codici, senza però mai attribuire tali caratteristiche alle sue protagoniste, che sono invece donne indipendenti e determinate.

Cecilia, interpretata dalla star della serie Euphoria Sydney Sweeney, è una sincera credente, decisa a voler prendere i voti per dedicarsi alla fede dopo essere sopravvissuta ad un grave incidente. Gwen, l’attrice italiana Benedetta Porcaroli, si trova in convento per sopravvivenza, è temeraria e onesta e non si nasconde di fronte a nulla. Al contrario della tradizione cinematografica che abbiamo evocato - e che il regista sa che conosciamo - Immaculate non gioca con i corpi di queste ragazze per sfruttarli (“exploitation”, appunto) o per trasformarli in mostruosità inquietanti. Non sono esibiti, non fungono da esca, non incarnano nulla di perverso. Ad essere mostrato è finalmente l’apparato strutturale che si appropria di questi corpi, del loro destino, attribuendogli funzioni privandoli di libertà.

Attraverso il contesto del convento infatti, il film parla di società patriarcali, che trovano forma concreta anche ben al di fuori del contesto religioso, basti pensare alle recenti tendenze politiche che hanno visto i corpi delle donne al centro di nuove leggi, nuovi dibattiti e provvedimenti, che si vada negli USA o in Italia.

Immacolata

Basta un’infarinatura religiosa - o banalmente aver visto il trailer, che rivela lo snodo principale della trama - per intuire che Cecilia, la protagonista, nel monastero italiano troverà non solo una nuova via per la fede ma anche una gravidanza, pur non avendo mai avuto rapporti. Inizialmente venerata e viziata per essere la presunta portatrice di un nuovo Messia, Cecilia finirà presto con l’intuire che in tutta questa faccenda c’è qualcosa di oscuro, di decisamente poco lieto, e che al centro dei suoi dubbi c’è la sensazione di essere stata ingannata, forzata, di non aver preso parte ad alcuna decisione, in sintesi di non aver dato alcun consenso e di non essere la vera padrona del suo corpo.

Sydney Sweeney, che del film è anche produttrice, ha dimostrato parecchia sostanza nell’aver scelto e portato avanti questo progetto. Dopo aver sfoggiato un grande talento nelle pluripremiate serie HBO Euphoria e The White Lotus (smontando coloro che la riducevano ad un canone estetico attribuendole un nostalgico look da pin-up) e dopo essersi dedicata anche alla commedia, oltre che ad interessanti ruoli drammatici, l’attrice ha intrapreso la via del film di genere per raggiungere uno dei risultati più alti che l’horror può ottenere: la critica sociale. Una critica che procede dritta, senza mezzi termini, che sia con la forma dell’autoironia, messa in scena attraverso gli stessi codici del genere, o con dignitosi spaventi e un po’ di classico disgusto.

Sono territori questi che richiedono maestria, controllo e anche una certa predisposizione al rischio. L’attrice e la sua troupe, dove Benedetta Porcaroli ha dato una buona prova di recitazione anche in inglese, ha saputo stare in equilibrio e schivare facili (pre)giudizi con un film molto meno scontato di quello che sembra.

Uscite cinematografiche

Ho visto cose, Rete Due 11.07.2024, 08:52

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