Cinema

L’arte della gioia è il film che il libro meritava

Con la serie tv di Valeria Golino i personaggi di Goliarda Sapienza arrivano finalmente al grande pubblico. Un’ottima regista che ci fa riscoprire una scrittrice geniale, rigettata dai suoi contemporanei

  • 7 luglio, 13:10
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"L'arte della gioia", regia di Valeria Golino

Di: Valentina Mira

Nove anni, dal 1967 al 1976: questo il tempo impiegato da Goliarda Sapienza per portare a compimento L’arte della gioia. La prima parte uscì nel 1994, e per l’edizione integrale (postuma) si è dovuto aspettare il 1998. Come si intuisce dal divario temporale, non le fu facile pubblicarlo: alcune case editrici lo rifiutarono asserendo che fosse troppo tradizionale; altre, al contrario, troppo sperimentale; tutte dissero, apertamente o meno, che il libro era immorale.

La storia del suo successo è incredibile, e parla di qualcosa che doveva essere. Fu pubblicato a spese del marito di Sapienza con Stampa Alternativa, in un migliaio di copie; nel 2001 Rai Tre dedicò una puntata al ricordo della scrittrice, e di quel libro sostanzialmente autoprodotto ci fu una ristampa. Ma il marito non si fermò, e propose il romanzo a un’editrice tedesca, che lo fece uscire diviso in due parti, proponendolo nel contempo a un’editrice francese. Lo tradusse Nathalie Castagné e L’art de la joie, uscito in Francia nel 2005, a così tanti anni dalla sua stesura, ebbe un enorme successo. Suo malgrado, l’editoria italiana dovette ammetterne il valore, e nel 2008 fu pubblicato da Einaudi, nel 2009 da Mondadori.
Non era, dunque, Modesta a essere immorale ma l’Italia a essere moralista, e senza ombra di dubbio maschilista.

È anche per questa travagliatissima storia editoriale che la scelta di Valeria Golino di dedicare a L’arte della gioia una serie tv (6 puntate, presto su Sky), è invece un gesto femminista. O almeno immorale, nel senso più felice del termine: contro la morale di ieri, forse anche di oggi.

Non parleremo più del libro, dunque, ma solo di questa serie tv così riuscita da aver fatto saltare sulla sedia Carrère, autore di una recensione entusiasta.
Ci dice in un voice-over, Modesta, che “l’avvenire somiglierà al passato, e ciò che ho fatto una volta lo rifarò mille volte - e con gioia”. C’è tanto del senso della vita in questa frase, e tanto dell’essenza della protagonista. Anziché temere la coazione a ripetere e gli eterni ritorni, lei come i bambini che replicano nei giochi i loro traumi si diverte autenticamente a farlo nella vita, finché non li ribalta, finché quella vita lei non la domina. Insiste proprio lì dove tentano di farle un danno. Paga tutti i prezzi che deve pagare per inseguire ciò che vuole, in un istinto feroce e vitalissimo che porta, lei nata povera, ad agire quella “pazzia di vita” che la contrappone alla “pazzia di morte” dell’aristocrazia siciliana in cui s’intrufola.

Modesta è desiderante, spregiudicata, ambiziosa, pazza e lucidissima: più di Barry Keoghan in Saltburn, che sempre da penna di donna veniva. Altro che nomen omen, qui “Modesta” è l’aspettativa di chi quel nome gliel’ha dato, e quindi l’aspettativa su tutte le donne come lei. La disattenderà. La disattenderà con tutte le forze, perché Modesta, modesta non lo è per niente. E perché dovrebbe?

La storia è così realistica da risultare onirica, ed è un sogno vedere L’arte della gioia rappresentato per davvero, in Italia. Con le sue scene immorali quanto la vita: ragazzini che usano cocomeri per masturbarsi (proprio così, e del resto l’importante è che, oggi, non siano meloni), sesso libero in genere, due donne che stanno insieme per loro e non per l’altrove onnipresente male gaze. L’arte della gioia di Valeria Golino cattura l’attenzione fin da subito, e non la perde mai.

Il testo del libro è usato per trarne dei voice-over brevi, delle frasi luminose e nitide che descrivono Modesta e il suo modo di ragionare (lei che non ci tiene a essere buona, né un’eroina, lei che è la prova che non abbiamo bisogno di Mary Sue). “E tutti inchinavano il capo alla loro altera padrona, che era una di loro, ma irraggiungibile”, ci dice quando, machiavellica, acquista un po’ del potere a cui mirava.

Ma forse il momento in cui capiamo di più chi sia lei, e la sua auto-percezione, è quando ci dice che anche prima della guerra, lei ha conosciuto solo guerra; che mai ha avuto pace, ma la gioia sì. Che quella sa riconoscerla - negli altri, in sé, nella vita - ed è del tutto intenzionata a morderne un po’ e a imbrattarsi col suo succo. Non pace ma gioia: questo è Modesta.

Ci sono poi tanti altri motivi per cui vedere la serie. La prima è l’attualità. E non solo per via di uno sguardo che si è provato a invecchiare facendo uscire il libro così tardi, ma non ci si è riusciti perché Goliarda Sapienza era avanti, terribilmente avanti per i tempi, e nel suo libro come nella serie ci sono argomenti che in un’Italia che fa passi da gambero sono ancora attuali: l’aborto, la violenza di genere, la voglia di ribellarsi, la rabbia che nelle donne è e può e talvolta deve essere, la disabilità, il sesso e mica solo quello subìto, ma quello voluto, desiderato.

È attuale anche perché il modo in cui rappresenta l’influenza spagnola riecheggia il covid: le mascherine di tessuto, il disinfettante; Golino dà prova di conoscere tutti i punti di forza del materiale narrativo con cui ha a che fare e fa dire: «Non noti che si cucina tantissimo durante quest’epidemia?». Il parallelo è chiaro e perfino scanzonato, c’è poi Modesta che è l’emblema di quelli che usano la malattia come una scusa per serrare il controllo sulla persona che sta assediando, perché, come detto, non è né deve essere un personaggio positivo. È parte del suo fascino.

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L’arte della gioia è anche esteticamente perfetta: è fatta di melograni e d’uve sontuose, e di broccati e di perle e di stoffe raffinate, di cassate siciliane che a loro volta sembrano gioielli, e di liquori rubino in bicchieri cesellati, e carte da parati preziose. Di avvelenamenti, anche. È, a tratti, Game of Thrones ambientato in Sicilia, e lei - Tecla Insolia, Modesta - è di una bravura fatale.

Ha poi ragione Carrère ad applaudire Jasmine Trinca e Valeria Bruni Tedeschi, e a dire che quest’ultima domina gli ultimi quattro episodi quanto la prima domina il pilot e il secondo.

Lo scrittore francese ci dice anche che a Visconti non sarebbe dispiaciuto poter girare questa serie, e che a Proust non sarebbe dispiaciuto inventarne i personaggi. Invece e per nostra grande gioia, l’ha fatto l’unica che poteva farlo in questo modo. Una donna, una grande scrittrice: Goliarda Sapienza. Mai più zitta, mai più censurata.

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  • Goliarda Sapienza
  • Valeria Golino
  • Jasmine Trinca
  • Valeria Bruni Tedeschi

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