Cinema

La guerra dei premi

Quello dell’Awards Season è un periodo di grande fermento a Hollywood, mesi cruciali in cui si decidono le sorti di numerosi film e serie televisive, ma dove a fare la differenza non è sempre la qualità

  • 13 novembre, 11:55
  • 13 novembre, 12:24
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Di: Nicola Lucchi 

È tempo di elezioni a Los Angeles, ma Kamala e Donald, almeno in questo caso, sono fuori dai giochi. Malgrado numerosi membri dello star system americano non abbiano mai taciuto le proprie posizioni politiche, le dispendiose campagne pubblicitarie e le numerose votazioni dei prossimi mesi saranno orientate verso orizzonti diversi rispetto a quelli presidenziali. Si è infatti aperta a Hollywood l’Awards Season, ovvero quel periodo dell’anno in cui, da ottobre a marzo, ogni produzione dà vita a una vera e propria corsa ai numerosi premi messi in palio da altrettanto numerose organizzazioni. Chiusa da poco la quarta edizione dei Latino Cinema & Television organizzata dalla Critics Choice Association, la grande stagione delle premiazioni entrerà nel vivo a novembre per concludersi con la cerimonia degli Oscar di marzo, passando, tra i tanti, per i Gotham Awards, i Golden Globe, i Grammy e una moltitudine di acronimi quali CCA, SAG, ADG, CAS e rispettive nomination. Una vera e propria orgia di cerimonie anticipate da proiezioni e feste in pieno stile hollywoodiano al fine di ottenere qualche statuetta, una candidatura o almeno una pacca sulle spalle da parte del pubblico, della critica e dei numerosi votanti. In altre parole, una corsa sfrenata alla visibilità e al prestigio.

Che i premi non guardino tanto alla qualità ma alle dinamiche politiche e di potere dell’industria è risaputo, meno noto è forse il fatto che, a decretare il migliore, è soprattutto la quantità di denaro speso per promuovere il proprio cavallo di razza, così come le giuste strette di mano. Paolo Sorrentino, in una videointervista a Daniele Tinti e Stefano Rapone, ha sottolineato come le dinamiche per l’assegnazione degli Oscar siano strettamente legate agli investimenti di distributori e produttori nella promozione: «Se hai la fortuna di entrare nei nove e poi nei cinque cominci a fare quella che si chiama la campagna, cioè fai proiezioni, cocktail, feste, pranzi, cene con i votanti per cercare di renderti gradevole e simpatico. (…) Per alcuni paesi lo stato mette a disposizione un budget per farti fare questa campagna. Quando gareggiavo io, il Belgio aveva stanziato non so quanti soldi e infatti il film belga mi stava riacchiappando. Se la campagna fosse durata altre tre settimane… facevano concerti, facevano un sacco di cose molto divertenti, mentre io stavo col mio produttore e andavamo in giro».

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L'Oscar al regista Paolo Sorrentino

Pensare che La grande bellezza (2013) l’abbia spuntata su Alabama Monroe (2012) per una manciata di party non sminuisce la grandezza della pellicola di Sorrentino, ma fa certo guardare alla “sacralità” di questi premi attraverso una prospettiva diversa. Se un’opera entra a far parte di una short list è probabile che sia in possesso di requisiti artistici di tutto rispetto, ma se segue le narrative promosse dall’industria ed è ben finanziata da chi la vuole sul carro dei vincitori possiamo stare quasi sicuri che otterrà il risultato desiderato. Difficile fare un preciso preventivo di spesa per l’assegnazione di un premio, certo è che per ambire a un Oscar come miglior film è necessario sborsare una cifra non lontana dai dieci milioni di dollari. Il denaro, naturalmente, non è investito solo in proiezioni, feste e cene loculliane, ma in pubblicità di ogni sorta e regali ai votanti. È proprio su questi regali che nel 2021 si pose l’attenzione del Los Angeles Times, che rivelò come ai membri dell’Hollywood Foreign Press Association, l’organizzazione alla base dei Golden Globe, fossero offerti regali costosi e hotel di lusso dalle produzioni intenzionate a promuovere le loro opere. Un’operazione forse meno grave che regalare un Patek Philippe alla persona che dovrebbe giudicarti per omicidio, ma che si avvicina abbastanza al concetto di “corruzione” da sporcare il nome di una delle più importanti associazioni giornalistiche legate al mondo dello spettacolo.

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Golden Globe

La corsa ai premi è una gara senza esclusione di colpi, un’eccitante montagna russa talvolta ricca di colpi di scena, ma che mostra presto i suoi favoriti. Una gara da milioni di dollari che vede finire metà del denaro investito nella promozione in pubblicità. Una pubblicità che non sempre coincide con spot televisivi e cartelloni. Crash (2004) di Paul Haggis, ad esempio, vinse l’Oscar nel 2006 anche grazie ai 250 mila dollari spesi per i DVD screener, ossia le copie promozionali inviate ai critici e ai membri delle giurie di premi cinematografici. Per quanto riguarda una pagina su una rivista nazionale, invece, parliamo di qualche decina di migliaio di dollari. Talvolta, però, le produzioni non ci credono abbastanza. Capitano allora casi come quello dell’attrice Melissa Leo, che frustrata per la mancanza di copertura da parte della stampa mainstream pagò di tasca propria per gli annunci pubblicitari a favore del film The Fighter (2010). Un buon investimento, considerato che portò a casa il suo secondo Oscar.

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L'Oscar all'attrice Melissa Leo

Ma qual è il fine di un tale dispendio di energia e denaro? Certamente il prestigio, ancora più il ritorno economico. Un film nominato agli Oscar guadagna in media tredici milioni di dollari in più rispetto a un film non nominato e un attore vincitore di una statuetta può chiedere fino a quattro milioni di aumento sul proprio salario.

In conclusione, lontani dal voler screditare i numerosi premi a disposizione, siamo certi che le capacità giochino ancora un ruolo fondamentale nella loro assegnazione. Nel dubbio, chi si fosse messo in testa di raggiungere prestigiosi riconoscimenti cinematografici, oltre a una buona dose di talento e di tenacia, è invitato a mettere mano al portafoglio.

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Spoiler 03.09.2024, 13:30

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