Cinema

La luce e le tenebre: una storia d’amore

Mentre gli incendi divoravano Los Angeles, David Lynch si spegneva nella città che amava e che più ha alimentato il suo immaginario, in una storia romantica intensa e crudele

  • Oggi, 08:31
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Di: Nicola Lucchi 

Il fuoco ha camminato con lui, accompagnandolo nei suoi ultimi giorni mentre insaziabile divorava la città più amata. David Lynch non era nato a Los Angeles, ma come tanti migranti, le proprie radici se le era andate a cercare lontano da casa. Per affondarle scelse una città che, come una pianta carnivora, attira a sé migliaia di sognatori ogni anno, pronta a divorarseli affinché si trasformino nel concime utile a farla crescere. Cosa amava Lynch di questa creatura? Forse proprio la sua spietatezza, il suo essere al confine col sogno, il potenziale che si può respirare malgrado lo sgradevole odore di sconfitta che trasuda da ogni attore mancato, ogni regista fallito. Forse, più banalmente, il meteo a cui dedicò decine di bollettini, il june gloom che ingrigisce il cielo di Santa Monica trasformando l’azzurro in cenere, le interminabili strade che portano al deserto e che attraversano il suo immaginario, da Lost Highway a Mulholland Drive, passando per la dolce voce di Lykke Li lungo la via di I’m Waiting Here. Forse tante altre cose gli erano care, ma certamente «la luce. La luce mi fa sentire così bene. È davvero bella. E c’è qualcosa, nel fatto che L.A. sia così estesa, capace di darti una sensazione di libertà. Luce e libertà».

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La stessa luce che stregò, nei primi anni del Novecento, i cineasti che dalla costa Est fuggirono verso la California alla ricerca di quella medesima libertà e che avrebbero trasformato Los Angeles nella città del cinema per antonomasia. La stessa luce che è in sé elemento fondante e indispensabile alla settima arte poiché, senza la luce, non esiste il cinema. La stessa luce che Kenneth Anger, altro grande cultore di Los Angeles, identificò in Lucifero, la stella del mattino, il portatore di luce: «il santo patrono dei film, la luce dietro l’obiettivo». C’è chi sostiene che senza Kenneth Anger avremmo potuto non avere David Lynch. Improbabile, ma di sicuro non avremmo entrambi se entrambi non avessero amato in maniera viscerale, e talvolta atroce, una città.

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Nella città degli angeli le fiamme non sono una novità, ma una sgradevole costante, come terremoti e siccità. Ogni anno bruciano ettari di verde, anneriscono le colline e incendiano il cielo rubando la luce al sole e le tenebre alla notte. Pochi incendi, nella storia degli Stati Uniti, si sono però rivelati spietati come quelli che hanno accompagnato verso l’ultimo respiro l’artista che più di ogni altro ha saputo celebrare Los Angeles. Perso tra arte figurativa, musica e letteratura, è nella cosiddetta trilogia di Los Angeles che Lynch ha incanalato tutto il suo amore per la città. Strade perdute (1997) rappresenta il primo elemento di un trittico che va completandosi con Mulholland Drive (2001) e Inland Empire (2006). Un viaggio nell’inconscio che desidera trascendere il reale, ma che alla realtà resta saldamente ancorato grazie agli occhi di chi riesce a catturarla nella sua perturbante bellezza. Allo stesso tempo soggetto dei suoi film e fonte di ispirazione, la Los Angeles di Lynch è una città magica e come tale indecifrabile, ma nella sua complessità, così come nel suo lato più oscuro, si legge la verità. Una verità che, contro ogni previsione dal sapore biblico, si svela per lo più nelle tenebre e nelle atmosfere crepuscolari che Lynch ha saputo ritrarre magistralmente.

Senza William Mulholland e la sua follia visionaria, in grado di immaginare un acquedotto tanto imponente da far fiorire un deserto, Los Angeles non si sarebbe mai trasformata nella megalopoli che conosciamo. La via che ne porta il nome, e che si snoda tortuosa tra le colline, è una panoramica diventata iconica grazie a numerose pellicole e che, forse più di ogni altra, riesce a mostrare la bellezza e l’estensione del sogno realizzato di un ingegnere autodidatta, così come quelli infranti di milioni di persone. Mulholland Drive non poteva che lasciarsi influenzare da questa città e dai suoi sogni, dal processo con cui l’industria del cinema li nutre e li annienta, così come è annientata la memoria di Rita che, guarda caso, sceglie il proprio nome notando un poster di Gilda (1946). Lynch amava Hollywood e sapeva di «non essere il solo. Amo il sogno che ne deriva. Amo la luce, lì. Io vivo lì. Mi piace la sensazione che dà. Dico sempre che quando sei a LA, qualche notte d’estate o magari in primavera, puoi sentire l’età d’oro di Hollywood nell’aria. È qualcosa di magico».

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«Luce e libertà». Questa è la Los Angeles di David Lynch, ma ora che si specula su quanto l’aria resa irrespirabile dagli incendi sia stata fatale per l’enfisema con cui il regista conviveva da anni, malgrado il suo allontanamento da casa per salvarlo dalle fiamme, l’idea che a portarlo via sia stata proprio la città insieme ai suoi fuochi nutre qualcosa di romantico e, come sempre, inquietante. Un Giano bifronte che Lynch ha voluto a più riprese mostrarci. Non resta allora che rileggerlo, un’altra volta, il suo amore per la città: «Amo Los Angeles. So che molte persone vanno lì e vedono solo una gigantesca distesa di monotonia. Ma quando ci stai per un po’, ti rendi conto che ogni zona ha il suo umore. L’età d’oro del cinema è ancora viva lì, nel profumo di gelsomino di notte e nel bel tempo. E la luce è ispirante e energizzante. Anche con lo smog, c’è qualcosa in quella luce, che non è dura, ma brillante e morbida. Mi riempie della sensazione che tutte le possibilità siano a disposizione. Non so perché. È diversa dalla luce di altri posti. La luce a Filadelfia, anche in estate, non è neanche lontanamente così brillante. È stata la luce che ha attirato tutti a L.A. per fare film nei primi giorni. È ancora un posto bellissimo».

«Nell’oscurità di un futuro passato il mago desidera vedere. Non esiste che un’opportunità tra questo mondo e l’altro», recita uno dei passaggi più citati del suo cinema. Lynch era questo mago, Los Angeles quell’opportunità. «Fuoco, cammina con me».

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Notiziario 16.01.2025, 20:00

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