Cinema

La lunga “ora zeroʺ di Heinrich Böll 

“Croce senza amore”: il capolavoro giovanile di un grande scrittore realista, visionario e “disperatamente tedesco”

  • Ieri, 08:07
Heinrich Böll

Heinrich Böll.

Di: Mattia Mantovani

Il cosiddetto “autunno tedesco” -la tragica stagione dei disordini sociali e del terrorismo, raccontata quasi in tempo reale nel celebre e controverso film Germania in autunno (Deutschland im Herbst, 1978)- arriverà circa trent’anni dopo, intorno alla metà degli anni Settanta. La stagione immediatamente successiva al crollo del nazismo e alla fine della seconda guerra mondiale viene invece definita Stunde Null (“ora zero”) oppure Eiszeit (“era glaciale”). Alla presente altezza cronologica, in una differente epoca storica e con la giusta distanza critica, si può definitivamente affermare che i legami tra queste due stagioni della storia tedesca sono stati molti forti. 

L’“ora zero” e la stagione del terrorismo, con l’introduzione delle “leggi speciali” e il famigerato nonché assolutamente antidemocratico Berufsverbot (l’“interdizione dal lavoro”), costituiscono infatti la tappa iniziale e conclusiva di un percorso estremamente accidentato che comprende la riforma monetaria, il miracolo economico, il riarmo dell’esercito e, non da ultimo, la passiva e spesso colpevole acquiescenza delle forze politiche di sinistra, più volte stigmatizzata da Günter Grass e ribadita anche da un osservatore esterno quale Max Frisch in un polemico intervento del novembre 1977 al congresso della SPD ad Amburgo, quando aveva chiesto al partito di prendere le giuste distanze non solo dal terrorismo, ma anche dalla logica del capitale.

Heinrich Böll è stato uno dei massimi interpreti dell’“ora zero” della storia tedesca e l’ha declinata e riproposta in numerose variazioni, in romanzi, racconti, saggi, interventi pubblici e pubbliche prese di posizione. Il più congeniale tra i suoi numerosi traduttori, Italo Alighiero Chiusano, che fin dall’inizio si è speso moltissimo per rendere accessibile la sua opera ai lettori italofoni, lo ha definito in maniera molto penetrante «il cristiano insonne», sottolineando a più riprese la sua fondamentale funzione di coscienza critica e voce alternativa della Germania del secondo dopoguerra. Nato a Colonia il 21 dicembre 1917 e morto il 16 luglio 1985 nella località renana di Kreuzau, Premio Nobel per la letteratura nel 1972, Böll ci appare oggi come uno scrittore classico e insieme moderno, anzi modernissimo.

Ma è anche uno scrittore in larga parte da riscoprire e rivalutare, soprattutto alla luce della pubblicazione postuma dei due romanzi che il giovane Heinrich scrisse nel periodo culminante dell’“ora zero”: L’angelo tacque (1992) e soprattutto lo straordinario Croce senza amore (2002), il primo romanzo in assoluto di Böll e un testo davvero fondamentale per comprendere la Germania post-nazista.  Scritto di getto nel 1947, quasi contemporaneamente ai racconti Preistoria e L’assalto, che gli sono molto affini per cifra stilistica e contenuti, il romanzo fu proposto da Böll a molti editori ma ottenne altrettanti rifiuti, motivati dalla presenza, nel testo, di un presunto “risentimento non ancora elaborato”. Oggi lo si può giudicare in maniera completamente diversa: un’opera senza dubbio ancora acerba, nella quale tuttavia sono già perfettamente delineati tutti i temi fondamentali di quella che sarà poi la grande narrativa del Böll più maturo, a partire da Opinioni di un clown e Dov’eri, Adamo? per arrivare a Foto di gruppo con signora e L’onore perduto di Katharina Blum.

La vicenda è ambientata a Colonia agli inizi degli anni Trenta. Sulla città si sta già addensando la nube del nazismo, che graverà poi per oltre un decennio sui cieli tedeschi. La famiglia Bachem, esponente della borghesia cattolica della città renana, vive la sempre maggiore espansione e pervasività del nazismo in maniera contradditoria, con l’ipocrita e pavida irresolutezza tipica della borghesia tedesca dell’epoca di Weimar, già stigmatizzata quasi in tempo reale da Hans Fallada in E adesso, pover’uomo? e da Ödon von Horváth ne L’eterno piccolo borghese. I due figli, Christoph e Hans, danno infatti una lettura del tutto differente dell’ascesa al potere della canaglia hitleriana.

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Il maggiore, Christoph, vede Hitler fin dall’inizio come l’incarnazione del male assoluto, mentre Hans, il secondogenito, ne subisce la torbida e sinistra fascinazione (anche in questo caso viene da pensare a Horváth e al suo capolavoro romanzesco, Gioventù senza Dio). Entrambi pagheranno a caro prezzo le proprie convinzioni: Hans romperà tutti i rapporti familiari e di amicizia, accorgendosi troppo tardi del mostruoso e terribile inganno nascosto sotto la fascinazione. Christoph, dal canto suo, esattamente come Hans Schnitzer in L’angelo tacque, sarà costretto a partecipare a una guerra che rifiuta e lo costringe a commettere odiose e infami atrocità. Böll parla principalmente attraverso l’alter-ego Christoph e gli fa esprimere non solo il proprio stato d’animo, ma anche quello di buona parte della gioventù tedesca nel ventennio tra le due guerre: «Se un giorno dovessi andare in guerra, vorrei essere consapevole che non soffro per l’uniforme che devo portare né per l’autorità che me la impone. No, non potrei soffrire davvero per questo motivo. La sofferenza di milioni di persone deve pure avere un significato diverso da quello politico. Se neppure un capello cade dalla nostra testa senza che Dio lo voglia -e io lo credo-, allora non credo che sarà per volontà di Dio se noi bravi ragazzi moriremo per la gloria prussiana o per la Germania del futuro». Parole verissime, in ogni paese e ad ogni latitudine. E soprattutto invecchiate benissimo. Purtroppo, si potrebbe aggiungere.

Si è soliti dire che i grandi scrittori nascono grandi, perché già nella prima opera si può intuire o addirittura cogliere fin nei dettagli tutta la loro grandezza: Croce senza amore, nella sua ricchezza di stili e registri, è una perfetta dimostrazione della verità di un simile assunto. Heinrich Böll è stato giustamente definito uno scrittore realista, di un realismo talvolta molto crudo e immediato, perfino sgradevole, ma è stato anche e soprattutto un grandissimo visionario, oltre che “disperatamente tedesco”, per riprendere una definizione originariamente coniata da Thomas Mann.

Ci sono infatti tanti Heinrich Böll, e sono tutti contenuti in Croce senza amore: lo scrittore grottesco, sarcastico, satirico, surreale e realista fino all’eccesso, talora volutamente perfido e sornione, abilissimo nel passare in poche righe dal registro più alto a quello più basso e capace come pochi altri, nel secondo Novecento, di calarsi negli innumerevoli abissi senza redenzione popolati dagli umili e ultimi della terra, più in generale da tutti coloro ai quali la storia infligge il ruolo di vittime e reietti.

Nel romanzo c’è poi un passo, semplicemente raggelante, che contiene ed esprime una visione dell’avvenire. La signora Bachem, madre di Christoph e Hans, ha l’impressione di vedere il futuro nel corso di una serata a teatro: «Attraverso la scena sul palcoscenico vedeva il volto nascosto del futuro. Erano fremiti singolari quelli che la attraversavano, credeva di percepire anche fisicamente il tocco di quelle forme malefiche, come un tocco raccapricciante di dita leggere, inconsistenti, simili a ragni. Aveva la sensazione che il nero futuro continuasse a tessere, a tessere di continuo, ma non si svelava. Formava un nastro di trame nere, cupo, che lo attraversavano e venivano conservate da qualche parte per apparire un giorno alla luce della realtà. Era come una sostanza enigmatica, qualcosa che rammentava l’acqua, acqua sottile, quasi nebulizzata, ed era nera, nera, del nero di quel liquido atroce che defluisce dalle fabbriche».

Tra la vita e l’opera di Heinrich Böll ci sono una fortissima continuità e soprattutto una ferrea coerenza, perché molti personaggi dei suoi romanzi e racconti sembrano davvero dei perfetti alter-ego. Christoph Bachem, l’alter-ego di Croce senza amore, si oppone come Böll al partito nazista, rifiuta l’iscrizione alla gioventù hitleriana ma allo scoppio del secondo conflitto mondiale viene mandato al fronte, dove vive in prima persona gli orrori della guerra. A differenza di Böll, che si sposerà nel 1942 nel corso di una licenza e poi opterà temporaneamente per la diserzione, quando parte per la guerra Christoph è già sposato con Cornelia, che nella scena del congedo sembra concretamente rappresentare tutto quanto la guerra sottrae alla vita di una persona: la felicità, il calore familiare, i sentimenti, le certezze, la speranza, l’idea stessa del futuro e della continuità.

Christoph se ne rende conto sul fronte polacco: «Sangue e sporcizia gli mulinavano davanti agli occhi. C’era ancora fumo all’orizzonte, fumo di dolore e di indicibile lutto. Nero e segnato da bagliori di sangue, l’orizzonte sovrastava la prima orgia che il giovane Reich eccitato dalla libidine e dalla brutalità imponeva a una terra calpestata. Ma negli occhi insondabili, scuri e certi della vittoria nonostante la disperazione, non era già in agguato l’orribile trionfo di una vendetta sanguinosa? Christoph guardava il dolore come un sogno, e barcollava nella voragine di quel mostro spalancato, terribile più di ogni altro, che si chiama guerra».

Brani come questo fanno capire perché nel 1947 Croce senza amore non trovò alcun editore che fosse disposto a pubblicarlo. La Germania dell’“ora zero” non era ancora pronta a confrontarsi in maniera così diretta e impietosa con un passato che soltanto due o tre anni prima era un presente carico di dolore e sofferenza. Oggi c’è invece la possibilità di vedere in questo romanzo non solo un’opera letteraria di notevole caratura, ma anche un documento storico e umano dal valore davvero inestimabile, nonché una sorta di introduzione a tutta l’opera successiva di Böll.

Croce senza amore descrive insomma l’“ora zero” della Germania nella stessa misura in cui Opinioni di un clown restituisce le laceranti contraddizioni del miracolo economico, Foto di gruppo con signora  si cala negli abissi melmosi della coscienza collettiva e L’onore perduto di Katharina Blum racconta in presa diretta e da una particolarissima angolatura la stagione della lotta armata, delle connivenze e degli intrighi tra stampa e potere, quando l’abitazione del pacifista Böll, incredibilmente sospettato di essere il padre spirituale nonché il mandante dei terroristi della Rote Armee Fraktion, fu perquisita ben cinque volte dalla polizia di Colonia. Perché a tanto può arrivare la cosiddetta “macchina del fango”: in Germania e altrove, allora come oggi. Era il 1977, cinque anni dopo il conferimento del Premio Nobel. Il suo amico e collega scrittore Alfred Andersch, anch’egli disertore durante la Seconda guerra mondiale, che un ventennio prima aveva trovato rifugio in Svizzera, commentò la notizia in maniera molto lapidaria: «E’ difficile essere un Premio Nobel in Germania».

Una cosa, ad ogni modo, è certa: per Heinrich Böll è stato difficile essere Heinrich Böll (ed essere tedesco) nella società tedesca occidentale del secondo dopoguerra. Il motivo lo ha spiegato, come meglio non si potrebbe, il già ricordato Italo Alighiero Chiusano, anch’egli “cristiano insonne”. Sono parole vecchie di quasi mezzo secolo, ma sono tuttora molto utili e illuminanti, perché spiegano la necessità -il dovere morale, si vorrebbe dire- di tenere viva la memoria del “cristiano insonne” di Colonia in un’Europa astratta e burocratizzata, dove l’esaltazione regressiva della zolla e delle glebe natie è sempre più diffusa e l’“immondo grembo” dei particolarismi -per operare una variazione su una celebre battuta dell’Arturo Ui di Bertolt Brecht- è più che mai fertile. Da questo punto di vista, l’espressione “Germania” utilizzata da Chiusano è ovviamente (e purtroppo) da intendersi come metafora di qualcosa molto più ampio: «Böll ha in sé diverse malattie. La più grave forse si chiama Germania. La bestia, ormai, non è più la violenza nazista, la guerra apocalittica. E’ il culto del benessere, l’umiliazione e l’emarginazione dei poveri, tutta una serie di inadempienze morali e sociali di cui non solo non ci si vergogna, ma a cui ci si aggrappa come a lacere bandiere».

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