Cinema

Matthew Perry, l’addio a un amico

Quasi dieci anni dopo, il mito di Friends

  • 03.11.2023, 09:53
  • 04.11.2023, 09:02
friends
Di: Pablo Creti 

È stato un commovente addio quello riservato all’attore Matthew Perry, morto all’età di 54 anni. Una vita segnata dall’abuso di alcol e droga, per un attore che per una decade è stato una vera icona televisiva; dal 1994 al 2004, infatti, Perry ha interpretato Chandler in Friends, una delle serie tv più di successo della storia. Addio accorato dei fan anche perché Chandler è stato uno dei personaggi più amati della televisione dell’epoca.

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Addio Matthew Perry

Telegiornale 29.10.2023, 12:42

Friends, concepita e scritta da David Crane e Marta Kauffman, ha rappresentato una gigante rivoluzione nel mondo delle sit-com americane proprio perché al suo centro non c’era una famiglia, come da classico plot di questo genere televisivo, ma un gruppo di amici che condivideva appartamenti, vita, amori, relazioni, lavoro, desideri, sogni, speranze, problemi e conquiste.

Per l’appunto amici. E l’ironica intimità emotiva con cui Friends interagiva con gli spettatori faceva sì che tutti potessero diventare parte di questa famiglia non tradizionale (termine che proprio in quegli anni cominciava a essere usato). Tutti si sentivano amici di quegli amici, tutti volevano sedersi su quel divano, tutti volevano essere parte delle storie di Monica, Rachel, Ross, Phoebe, Joey e Chandler.
Questo perché alla struttura classica delle commedie americane con gag e sketch accompagnati dalle risate in sottofondo (che, piccola curiosità, non erano registrate, ma live, visto che ogni episodio veniva girato davanti a 300 spettatori), Friends univa una seconda chiave di lettura più seria e moderna che usciva dagli stereotipi di quel genere per affrontare a viso aperto un mondo che rispetto agli anni ’80 stava profondamente cambiando. E così le carriere, la difficoltà nello sbarcare il lunario, la vita dei giovani americani alle prese con una città che sa coinvolgerti ma anche divorarti come New York (che non si vede mai, ma è comunque una protagonista silenziosa e molto presente come riflesso delle storie dei protagonisti), le relazioni amorose che iniziano, finiscono, lasciano strascichi e qualche volta ritornano, erano elementi molto lontani dalla tipica fiction made in USA, quella, per intenderci, delle “famiglie borghesi divertenti”.
Friends si avvicinava, invece, al mondo vero, quello di cui facevano parte gli spettatori, che proprio per questo si sentivano così all’interno di quel gruppo di amici. Certo, erano gli anni in cui i Simpson avevano già distrutto il modello di famiglia televisiva americana sorniona, ma lo avevano fatto sempre all’interno del contesto parentale e con il linguaggio da cartone animato. Friends non era solo reale, era anche e soprattutto realistica (e molto divertente).

Realistica al punto che al suo ritorno su Netflix, Friends ha suscitato un vero dibattito nella GenZ perché condita da elementi che oggi sarebbero diventati politicamente scorretti secondo i più giovani. Elementi definiti da diverse parti transfobici, omofobi e poco rispettosi delle diversità. Un esempio, in questo senso, è proprio il papà transgender di Chandler, spesso motivo di scherno da parte degli altri. O Ross, spaventato che l’omosessualità della sua ex moglie, che lo ha lasciato per una donna, possa in un qualche modo ripercuotersi sul figlio, al punto che il giorno che vede il bimbo giocare con una bambola tenta in tutti i modi di riportarlo su giocattoli più maschili. O ancora, l’obesità e il difficile rapporto con il cibo di Monica, che diventa in diversi episodi un escamotage per gag e battute. Insomma, che oggi il mondo sia cambiato è fuor di dubbio, ma è importante sottolineare che lo ha fatto anche grazie a show come Friends che per la prima volta hanno sdoganato tematiche e problematiche tabù. Forse con un po’ di ingenuità e in maniera abbozzata, ma d’altronde il mutamento della società era da intercettare e non ancora facile da comprendere appieno, assimilare, analizzare e restituire a un pubblico televisivo.

Friends, però, rappresentava molto bene la generazione che in quell’epoca era alla ricerca del proprio posto nel mondo. Un mondo che aveva già cominciato ad accelerare e che, lo scopriamo oggi, non si sarebbe più fermato. E lei, la serie, e loro, i suoi protagonisti, c’erano sempre per gli spettatori, allo stesso orario, nello stesso posto, proprio come gli amici su cui puoi contare. Lo suggeriva, d’altronde, la sigla stessa del programma con un evocativo gioco di significati: “I’ll be there for you”, quel “ci sarò per te” riferito sì al legame tra i protagonisti, ma anche a rilanciare di volta in volta l’appuntamento televisivo agli spettatori.

Insomma, Chandler e tutti gli altri hanno aiutato a comprendere che essere giovani e affacciarsi alla realtà non è così semplice come può sembrare, che la famiglia non è solo qualcosa che ti ritrovi, ma qualcosa che ti puoi creare, che il mondo corre, non aspetta, che le pressioni sociali sulle generazioni gravano e si fanno sentire. Ma lo ha fatto con un intelligente sarcasmo e con una profonda ironia, il modo migliore per riuscire a parlare e empatizzare con qualcuno.

Dire addio a Matthew Perry è sicuramente dire addio a un amico, nel senso letterale del termine. Perché se ne va un pezzo di un qualcosa che ha aiutato a costruire un immaginario comune nuovo e dirompente, che è riuscito a leggere dentro allo spettatore e riflettere un sottofondo che tutti percepivano ma i cui contorni erano ancora sfuggenti.
“I Friends” hanno accompagnato un’intera generazione nell’uscire di casa, nel trovare un appartamento, nello stringere amicizie nuove, nell’intessere relazioni amorose e nell’affrontare le rotture (e anche le ricuciture), nel trovarsi per la prima volta faccia a faccia con mutamenti e cambiamenti sociali, nel parlare di temi spinosi e delicati, nell’affacciarsi al mondo lavorativo e alla difficoltà del trovare una carriera, nel passare dallo status di giovani a quello di adulti.
Consapevoli che nonostante tutte le difficoltà, alla fine ci si ritrovava sempre lì, con la propria compagnia di amici per assorbire e attutire colpi e sofferenze e uscirne con un sorriso, a volte accennato, a volte strappato, a volte pronto a diventare una contagiosa e incontenibile risata. Mica una roba da poco.

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