Cinema

Mulder X

La celebre serie di Chris Carter

  • 25.02.2023, 00:00
  • 14.09.2023, 09:01
mulder x
Di: Daniele Bernardi 

Non mi ritengo un fanatico esperto di serie TV, ma posso dire che nella mia storia di spettatore degli anni '90 un posto privilegiato spetta a I segreti di Twin Peaks di David Lynch e, subito dopo, a X-Files, la celebre saga poliziesca ideata da Chris Carter che vede protagonisti gli agenti Fox Mulder e Dana Scully.

Se attraverso Twin Peaks Lynch rivoluzionò il mondo dei telefilm consegnando un universo perturbante e, al contempo, estremamente vicino alla quotidianità di molti – ho sempre pensato che la serie, per ambientazione, avrebbe potuto benissimo aver luogo a Biasca come a Chiasso – con X-Files Carter fece un ulteriore passo avanti nella concezione di un'opera televisiva: gli eroi della sua fiction non risolvono veramente i casi ma, piuttosto, attraverso di essi fronteggiano la mancata quadratura del cerchio che caratterizza la vita umana (peculiarità narrativa che ha certo un forte debito nei confronti della creazione di Lynch).

Ma procediamo con ordine e spieghiamo – a grandi linee – X-Files a “chi era assente”. Confinato in uno scantinato, l'agente Fox Mulder lavora per la più bizzarra delle sezioni dell'Ufficio Federale d'Investigazione: gli X-Files, appunto, vale a dire casi per i quali non è possibile ricorrere a chiarificazioni di natura razionale e scientifica. Laureato in psicologia, nel corso della sua vita ha sviluppato una morbosa attrazione per l'inspiegabile a partire da un evento infantile rimosso, la cui forza lo pervade strutturalmente: in una fatidica notte del 1973 assiste al rapimento della sorella Samantha da parte di un'entità aliena. Da allora la bambina scompare e questo vuoto irrisolto influenza drasticamente Mulder, le cui scelte professionali appaiono come imperniate su tale lutto.

Infatti, ogni mistero che egli si trova a fronteggiare per la sezione affidatagli sembra rappresentare sempre – a volte in maniera larvata, altre più diretta – una variazione sul tema originario che egli è ripetutamente destinato a incontrare. Vediamo quindi che la figura di Mulder, seppure nel suo formato pop e ammiccante, ci consegna una problematica non indifferente. E cioè quella che concerne la non elaborazione del trauma: Mulder non può che lavorare per gli X-Files poiché il suo primo “caso X” è quello che lo riguarda.

Ciò detto, questo novello Dylan Dog dal nome buffo (Fox in inglese significa volpe) è molto simpatico: da buon sociopatico mangia male, non ha un letto, dorme sul divano e ama scagliare matite appuntite contro il soffitto perché si conficchino nell'isolante. Inoltre non ha amici, eccetto i «pistoleri solitari», un gruppetto di hacker disadattati ai quali periodicamente sottopone i più strampalati quesiti. Dotato di senso dell'umorismo ed estremamente colto – specie per quanto concerne paranormale e affini – dai colleghi non è visto di buon occhio e dal primo episodio lo conosciamo con l'appellativo di «Mulder lo spettrale».

Ma la serie principia proprio da un incontro fra il nostro eroe e una sua futura, importante amica: l'agente Dana Scully. Di formazione medico e dalla mentalità strettamente logica, Scully viene mandata a supervisionare il lavoro di Mulder, nei confronti del quale le alte sfere dell'FBI si sentono minacciate a causa della visione complottistica che ne caratterizza le tesi; quest'ultime, che, più si procede, più imputano al governo americano colpe gravissime (sperimentazioni genetiche fuori legge, colonizzazioni extraterrestri, creazione di virus, fabbricazione di creature-arma), rappresentano un altro riflesso della storia privata del protagonista, per il quale la peggiore rivelazione sarà, col tempo, sapere i propri genitori coinvolti nel sequestro della sorella.

Contrariamente a quanto auspicato dai capi, affiancando Mulder, Scully si troverà presto a veder vacillare le proprie certezze. Nonostante il suo ruolo sia sempre quello di chi cerca di riportare le cose al concreto, gradualmente le intuizioni del collega fanno breccia in lei costringendola a guardare il mondo da un punto di vista che avrebbe preferito non conoscere e che, suo malgrado, si vede costretta a fare proprio.

Diventati sicuri alleati, i due – rispettivamente interpretati da David Duchovny e Gillian Anderson – fronteggiano allora situazioni angoscianti e paradossali, che fanno di X-Files una serie sospesa fra il thriller, la fantascienza e l'horror, nella quale tornano figure ricorrenti come il misterioso «uomo che fuma» (William B. Davis), da cui pare dipendere il futuro del mondo, o l'ambiguo Direttore Skinner (Mitch Pileggi), del quale non si sa mai se ci si possa fidare o no.

Va anche detto però che, come sovente avviene quando si ha una buona idea ed è difficile preservarla, con anni di usura la creazione di Chris Carter ha perso di brillantezza. Probabilmente invece di ostinarsi a produrre stagioni su stagioni sarebbe stato più saggio chiudere il tutto o, meglio ancora, lasciarlo interrotto, così da tener fede a quella cifra dell'irrisolto che caratterizza la serie. Questo avrebbe risparmiato agli spettatori non solo puntate scadenti, ma anche la banale – e traditrice – trovata di una relazione amorosa fra i protagonisti; cosa che, allo stato attuale, oltre a impoverire le identità della coppia rende X-Files più simile a Beautiful che a un incontro ravvicinato del terzo tipo.

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