Cinema

Raccontare l’adolescenza

A Locarno, nel Concorso Cineasti del Presente, tre film raccontano problemi e speranze di ragazzi e ragazze

  • 12 agosto, 09:36
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Di: Chiara Fanetti

Chissà se è stato un caso che in programmazione tra i primi film della sezione Cineasti del Presente a Locarno siano state proiettate proprio tre storie di adolescenza e di passaggio alla vita adulta. Un fil rouge che non è risultato per nulla stancante in sala e, anzi, ha dimostrato la varietà dei punti di vista, delle storie e delle forme di narrazione che un macro tema può assumere attraverso il cinema.

Fekete Pont (Lesson Learned)

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Siamo in Ungheria, Palkó è un ragazzino di dieci anni e si è appena trasferito dalla Germania. Inizia la quinta elementare e deve adattarsi ad una nuova classe, ad nuova una scuola e a un nuovo Paese. Anche Juci deve inserirsi in un nuovo contesto: è una giovane insegnante alle prime armi e le è stata affidata la classe di Palkó. Rispetto ai suoi colleghi più navigati, Juci ha un approccio meno distaccato e autoritario con gli allievi. A differenza dei suoi compagni, Palkó è abituato a dire la sua opinione e a comportarsi seguendo il suo stato d’animo, con una naturalezza che qui viene percepita come arroganza.

Fekete Pont significa “punto nero” e nella scuola ungherese simboleggia una nota negativa, attribuita ai bambini quando si comportano male. Questo concetto di “male” sembra comprendere un’ampia varietà di atteggiamenti e situazioni, secondo quanto viene mostrato nel film. Il minimo dissenso viene sanzionato e ogni comportamento che mette in discussione le rigide regole educative viene represso.

Trattando l’ambiente della scuola, il regista Bálint Szimler parla in realtà di un intero paese ed è probabilmente per questo che il film non ha ricevuto alcun sostegno statale. Guardandolo è impossibile non percepire una generale sensazione di frustrazione scoraggiante e opprimente (i personaggi spesso si sdraiano, esausti e sfiniti), dovuta alla consapevolezza di lottare contro qualcosa di immobile, gigantesco, pesante, un sistema burocratico monolitico che non lascia vie di comunicazione, un sistema scolastico dove il preside non ha tempo per gli insegnanti e gli insegnanti non hanno tempo per i ragazzi, che pagano il prezzo più alto.

Realizzato con un ritmo scorrevole e con una fotografia curata - se ne è occupato Marcell Rév, famoso per l’immagine della serie HBO Euphoria - Fekete Pont è delicato e malinconico e riesce a portarci vicino ai personaggi senza essere mai stucchevole. Un primo lungometraggio, per il regista, che s’inserisce a meraviglia nel nuovo cinema indipendente ungherese, che sta producendo film interessanti che si sono spesso cimentati con il tema del sistema scolastico, come Una spiegazione per tutto di Gábor Reisz, premiato come miglior film nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia 2023.

Les Enfants Rouges (Red Path)

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Girato nell’estate del 2022 nella regione tunisina di Kef, il film si basa su dei fatti realmente accaduti, nel 2015, nel nord-ovest della Tunisia e riguarda due giovani pastori, cugini, che vengono aggrediti da un gruppo di terroristi. Uno dei ragazzi, il più grande, viene brutalmente decapitato, l’altro viene risparmiato proprio per portare la testa del cugino a casa, come monito: in quelle zone non si può entrare, nessuno deve poter rivelare alle autorità cosa fanno gli jihadisti.

Da un inizio così crudo e atroce non ci si aspetterebbe un seguito tanto poetico e onirico, eppure il film riesce proprio a raccontare, con grande delicatezza ma senza mai nascondere l’orrore, il percorso di sopravvivenza che intraprende un tredicenne di fronte al trauma e al lutto.

Ci sono tanti argomenti in questo lavoro del regista tunisino Lotfi Achour: l’impotenza degli adulti, il vuoto lasciato dello Stato, la prigionia e il ricatto in cui vivono i civili, l’assenza di aspettative e orizzonti, gli effetti delle guerre su bambini e ragazzi. Risplende in tutto questo il personaggio di Rahma, una giovane che studia e si applica, come a ricordare che l’educazione e l’istruzione possono essere una via di fuga. È un film che commuove e ferisce: ci sono solo le montagne ruvide e brulle e un piccolo gruppo di famiglie che con dignità tenta di sopravvivere ad una tragedia.

Der Fleck (Skills Issues)

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Simon è un adolescente che decide di prendersi il pomeriggio per sé e saltare la scuola. Tornando a casa s’imbatte in un amico che lo invita al fiume, dove raggiungono un gruppo di coetanei. Ci è subito chiaro che Simon ha una certa difficoltà a socializzare ma l’apatia o una certa forma di timidezza sembra essere comune a tutti i ragazzi e le ragazze presenti.

Il pomeriggio scorre lento, come l’acqua del fiume, tra discorsi annoiati, qualche domanda di circostanza, piccoli racconti fuori contesto. I ragazzi sembrano agire come se fossero in un luogo fuori dal tempo, sospeso, dove l’acqua e la vegetazione prendono sempre più spazio e diventano forse gli elementi più interessanti da osservare: inquadrature ravvicinate, dettagli, immagini macro di foglie, muschi, rocce. Tutto viene analizzato e scrutato dai movimenti di camera mentre le vicende dei personaggi non emergono mai veramente.

Se il regista voleva mostrarci quella fase della vita in cui ci si annoia di tutto o una sintesi del momento storico in cui ci troviamo, dove - soprattutto tra ragazzi - sembra esserci grande difficoltà relazionale, possiamo dire che ci è riuscito. Parlare di noia, routine e solitudine è una grande sfida e Der Fleck in una certa misura riesce a farlo, soprattutto grazie a diverse interessanti intuizioni visive. Peccato che l’aspetto più onirico e “opaco” del film resti troppo flebile e quindi prevale la sensazione di avere di fronte un racconto zoppo, privo di dettagli sui personaggi, rendendo complicato per il pubblico trovare una chiave d’accesso ai protagonisti e al racconto.

Il film di Willy Hans è una coproduzione tra la casa tedesca Fünferfilm e la svizzera 8horses.

Cineasti del Presente

Rete Due, Alphaville 11.08.2024, 12:30

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