Cinema

Saltburn: il talento di Emerald Fennell

Con Barry Keoghan, migliore attore della sua generazione 

  • 13 gennaio, 08:32
  • 20 febbraio, 11:30
Barry Keoghan
Di:  Valentina Mira 

Saltburn è per il cinema quello che Le schegge di Bret Easton Ellis è per la letteratura. Disturbante, ma non riesci a smettere di guardare. A tratti traumatico - e infatti poi ci ripensi. Visibile su Amazon Prime, è il secondo film della regista Emerald Fennell, la stessa dell’ottimo Promising young woman. Con cui ha una cosa in comune: la voce. Nettissima, riconoscibile. Autoriale.

Una critica a questo film senza farne spoiler è pressoché impossibile, per cui si avverte il lettore: ce ne saranno.

È un film che non è quello che sembra, che gioca coi generi e i punti di vista come solo Fennell sa fare. Indimenticabile la scena di Promising young woman che illudeva di essere finiti in un (deludente, ma riposante) lieto fine con tanto di “Stars are blind” di Paris Hilton in sottofondo e coppietta felice, e invece era tutta una presa in giro delle svolte romantiche di certi film americani. Qui Fennell gioca ancora più sporco: ti aspetti un Chiamami col tuo nome ambientato a Oxford, e lo finisci che devi andare in terapia. Tanti ruoli normalmente cuciti su donne qui sono affidati a uomini: la classica bella-ma-sfigata che fa amicizia con la reginetta della scuola, le togli gli occhiali e ti accorgi che ha degli occhi pazzeschi (ciao, Barry Keoghan), peccato che. Peccato che, come al solito, sia un’illusione. E questo gioco con gli stereotipi cinematografici e i generi triti e ritriti per poi sbalordirti quando scopri che non era vero niente, che era tutto un modo per spiazzarti, è esattamente quello che la regista fa meglio. Fennell del resto era un’illusionista nel suo film d’esordio, lo era nel folle romanzo con degli altrettanto folli ragazzini per protagonisti (Mostri, 2023, Fandango libri), qui si diverte a sbalordirci come mai prima.

Due cose sono importanti da dire quando si parla di Saltburn; la prima è che può piacere o meno, ma è la conferma che Emerald Fennell ha una voce autoriale, una firma. Gioca con i topos da blockbuster per rigirarli da dentro, usa gli anni Novanta e Duemila denudando i nostalgici degli stessi, e mischia il tutto col mito classico. In Promising young woman era Cassandra, nome della profetessa mai ascoltata perché troppo avanti coi tempi e anche nome della protagonista del film. In Saltburn il mito è quello di Teseo e il Minotauro. Quello che non ricorda nessuno della storia è che, dopo l’uccisione del Minotauro, Teseo riuscì a diventare re con un ignobile stratagemma. Il famoso mito delle vele nere e delle vele bianche con cui fece credere al re la morte di suo figlio, inducendolo al suicidio (mito raccontato in tanti modi diversi), parla in realtà di manipolazione. Oliver è sia Teseo che il Minotauro (tant’è che la statua al centro del labirinto nel film è stata costruita basandosi sul corpo dell’attore protagonista).

La seconda cosa che proprio non si può evitare di dire quando si parla di Saltburn è che un’incoronazione c’è davvero, ma non è quella di Oliver: è quella di Barry Keoghan, l’attore che lo interpreta. Il suo primo vero ruolo da protagonista svela che l’irlandese, classe 1992, è forse il più talentuoso della sua generazione. Una piccola storia, perché Barry Keoghan va raccontato: sua madre muore quando lui e il fratello sono piuttosto piccoli, per problemi di droga. Gira innumerevoli case e affidatari. Cresce fondamentalmente con la nonna come punto di riferimento, e un giorno in una vetrina vede il volantino che parla di un’audizione. Pensa di poterla fare, ci prova, lo prendono. Per il primo film lo pagano poco più di 100 euro. Ma da quel momento si attacca a quel sogno e con una caparbietà ammirevole scala il cinema, se lo prende proprio. Eclettico, sa essere il dolce fidanzato di una ragazza con la madre alcolizzata nel corto For you (su Youtube), un gangster irlandese col pallino per la boxe nella serie Top Boy (su Netflix), il ragazzo traumatizzato ma tenero de Gli spiriti dell’isola di McDonagh e ancora prima l’inquietante Martin di Il sacrificio del cervo sacro; sa essere uno dei pochi elementi salvabili del dimenticabile Eternals (una parte di TikTok è discretamente andata in visibilio per quella che sembra la scena di flirt con il linguaggio dei segni più sexy della storia del cinema). Insomma, è uno che con pochi tratti caratterizza i personaggi che interpreta, che sa calarcisi dentro per davvero, e piace al pubblico anche perché sembra che nonostante il successo sia una persona piuttosto normale, nelle interviste risulta buffo. In Saltburn ha la responsabilità di portare avanti un film character driven, tra l’altro basato su un narcisista psicopatico. Come quando li incontri nella vita, non capisci subito chi è Oliver. Ci metti un bel po’. Anzi: all’inizio tifi per lui. Emerald Fennell gioca sul fatto che i ricchi di Oxford che rappresenta sono appunti ricchi, pertanto odiosi, e sei talmente concentrato a odiarli che ti sbalordisce il progressivo disvelamento della trama: saranno pure tutti vampiri energetici, ma questo se li mangia tutti. A tratti letteralmente.

Ora arriviamo al punto più problematico del film: divide le persone in due categorie. Chi ne è profondamente affascinato e chi l’ha trovato ributtante a causa di tre, quattro scene decisamente sopra le righe. In entrambi i casi non può lasciare indifferente; di nuovo, su TikTok c’è un trend che consiste nel registrare le facce dei propri familiari o amici mentre lo guardano. Sorpresa, disgusto, fascinazione e perfino eccitazione: il film è folle e le reazioni che provoca lo sono altrettanto.

Per evitare spoiler si dirà che la velocità con cui Barry Keoghan è riuscito a restituire una connotazione erotica alla parola vampiro è uno smacco - finalmente! - a Twilight, che non solo conferma Emerald Fennell profondamente Millennial, ma anche che denota una conoscenza del tipo di personalità che il film si accinge a raccontare. Per farla breve: Oliver è un’estremista del cunnilingus, non gli importa che sia “quel momento del mese”, e fa una mossa da vero narcisista; dà al personaggio in questione ciò di cui capisce che ha bisogno, accettazione totale e incondizionata, perfino un’apparente subordinazione. Per Oliver il sesso è manipolazione, potere o meglio un modo per ottenerlo.

Saltburn è il Lolita di Emerald Fennell, studia l’oscurità di un certo tipo di psiche. Quello di Nabokov è un romanzo che, tra l’altro, è anche presente in una delle prime scene: è un dettaglio visibile sulla pila di libri del tutor di Oliver a Oxford. L’autrice di un film come Promising young woman stupisce tutti; quello era stato definito “un film troppo femminista”, così la regista ha cambiato rotta: indaga, qui, direttamente la maschilità, quella del tipo peggiore. Come quando i matematici per spiegare un teorema fanno la cosiddetta dimostrazione per assurdo: prende un estremo, lo sviscera. Ecco qui. Questo è quello che odiamo. Questo è quello che dobbiamo temere. E questo è, anche, ciò che ci attira di personaggi del genere, e come funzionano, scena per scena.

Cose notevoli: la musica. Il film inizia con “Zadok the priest”, inno composto per l’incoronazione di Giorgio II, perché questi non sono ragazzi comuni ma aristocratici, nonostante il piercing al sopracciglio di Jacob Elordi (Euphoria, presto Elvis Priestly in Priscilla). Il film è su un’incoronazione, per cui il tema è posto qui, all’inizio, tra le righe. Si fa largo uso, come nel film precedente, di canzoni dell’adolescenza e post-adolescenza di svariati Millennial, come “Time to pretend” degli MGMT (titolo emblematico, ancora, “Tempo di fingere”). E poi c’è una “Murder on the dancefloor” che chiunque abbia visto il film non potrà più ascoltare senza pensare alle parti intime di Barry Keoghan. Non è un’affermazione irriverente: è semplicemente un fatto. La scena finale del film è tra quelle che più hanno fatto storcere il naso, eppure non è così strano ballare nudi a casa propria. You’d better don’t kill the groove.

La faccia di Jacob Elordi e quella di Barry Keoghan sono quella di un modello di Abercrombie a confronto con un chav irlandese, e TikTok ha deliberato che vince il chav. Se non altro perché ha talento, infinito talento.

Altro elemento notevole è il citazionismo iconoclasta di Emerald Fennell, l’estetica: la reinterpretazione ironica della bocca rossa di Joker, qui dovuta a ragioni, per così dire, fisiologiche. C’è perfino una scena la cui composizione è stata dichiaratamente ispirata al Trittico del giardino delle delizie, del 1515 (chi studia Storia dell’arte è andato in visibilio). I capelli di Farleigh sono ispirati a quelli di Corbin Bleu in High School Musical (sempre quella sensazione di aver già visto qualcosa, un linguaggio comune a un pezzo di una generazione, quasi che Fennell voglia sussurrarti che “oh, sono una di voi”; usa una grammatica Millennial che cita per distruggerla, e che ti rende nostalgico per ricordarti che la nostalgia è un sentimento reazionario).

L’improvvisazione. La scena della tomba, Barry Keoghan l’ha improvvisata. In un’intervista Emerald Fennell dichiara: «Barry è come me», e poi procede dicendo che entrambi cercano il livello più alto, la cosa più difficile da fare.

Tra le citazioni c’è anche quella a Pinocchio, quando Farleigh dice a Oliver che vestito elegante sembra “a real human boy” (spiegazione, anche questa, data in un’intervista, stavolta da Archie Madekwe, che interpreta Farleigh).

Miglior film sui vampiri di sempre.

1:52:49

American Animals

Film 30.05.2022, 02:00

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