Spettacolo

Saturday Night Live e i suoi impossibili 50 anni

Il programma comico più noto d’America non è più matto come un cavallo, eppure rimane una calamita per il talento. E un godimento per chi lo guarda

  • 8 ottobre, 08:08
Barack Obama in versione "comico"

Barack Obama in versione "comico" al SNL, 2015

  • reuters
Di: Michele Serra 

Poteva anche finire lì.
Una bella festa alla fine del 1999, dopo venticinque anni di trasmissioni. Un Emmy celebrativo. Il New York Times che lo definisce lo show televisivo più influente per la comicità americana negli ultimi trent’anni. Di cos’altro hai bisogno, nella vita?
Invece, venticinque anni dopo siamo ancora qui a parlare del Saturday Night Live, che è sopravvissuto ai movimenti tellurici del panorama TV dell’ultimo quarto di secolo (tanto per dirne due: l’avvento dello streaming e l’apogeo delle serie televisive) e ha appena inaugurato la sua cinquantesima stagione. Nel 2025, il programma entrerà nel club molto ristretto dei più longevi della storia Usa: incredibile a dirsi, visto che si tratta di un programma comico. Ancora più incredibile, visto che la sua storia è costellata di momenti difficili, eccessi e morti, da quella di John Belushi in giù.

Nel 2004, in occasione del trentesimo anniversario, Tom Shales e James Miler hanno pubblicato il saggio Saturday Night Live, una storia collettiva formata da decine di interviste con autori, produttori e membri del cast che si sono avvicendati nel corso degli anni. L’edizione italiana è disponibile quasi integralmente (a parte qualche pagina qua e là) grazie a Google Books, e fin dall’introduzione gli autori mettono in chiaro che quello non è mai stato un programma come gli altri: «Ha definito le nuove tendenze dell’umorismo americano, nonché esercitato un impatto straordinario sul costume, la musica, la politica, e persino la moda del paese». Soprattutto, però, ricordano che il successo della prima stagione – anno 1976 – è arrivato inaspettatamente. I dirigenti della NBC che avevano messo l’allora trentenne autore e produttore canadese Lorne Michaels a capo del progetto non avevano idea, non potevano averne, dell’impatto che avrebbe avuto Saturday Night Live (da qui in avanti: SNL). Non cercavano la rivoluzione della TV, cercavano semplicemente un tappabuchi, e per un motivo semplice: il Tonight Show condotto dal leggendario Johnny Carson non sarebbe più andato in onda in replica il sabato sera per volontà dello stesso Carson, quindi quella fascia pregiata del palinsesto del sabato sarebbe rimasta scoperta. SNL avrebbe fatto molto di più che riempire lo spazio, ma questo sarebbe diventato chiaro solo qualche mese dopo.
Secondo l’idea iniziaImente venduta al network da Michaels e soci, i comici dovevano essere un collante per tenere insieme gli spazi dedicati agli ospiti celebri (davvero) e ai numeri musicali, ma nell’arco di una stagione diventarono loro, i protagonisti. Intendiamoci, non che il livello degli ospiti intorno a loro sia calato: nel corso degli anni i musicisti, soprattutto i grandi del rock, hanno fatto a gara per suonare al SNL. Tra gli altri (cito a casaccio) Rolling Stones e Ray Charles, Madonna e Oasis, David Bowie e Nirvana, Prince e Dr. Dre, R.E.M. e Eric Clapton, fino a Kendrick Lamar e Billie Eilish. Nonostante questi nomi, la pagina musicale più memorabile in cinquant’anni è senza dubbio quella scritta da Sinead O’Connor nel 1992: una versione per voce sola di War di Bob Marley, terminata strappando una foto dell’allora Papa Karol Wojtyla, plateale protesta contro la chiesa cattolica e in particolare contro gli abusi sessuali in ambiente ecclesiastico, di cui si iniziava timidamente (ok, non nel suo caso) a parlare pubblicamente – le prime ammissioni ufficiali sarebbero arrivate quasi un decennio più tardi. Alla fine dell’esibizione, il regista rifiutò di accendere il segnale di applausi in studio, mentre uno degli spettatori tentava di aggredire fisicamente la O’Connor e veniva portata via dalla sicurezza. Lorne Michaels, quella sera, decise di imporsi sul resto della produzione e fece uscire ugualmente la cantante per i saluti finali al fianco del presentatore della serata, Tim Robbins. Poi, certo, il programma avrebbe – su ordine del network – espulso per sempre la O’Connor, e la settimana successiva il presentatore ospite Joe Pesci avrebbe iniziato il suo monologo dicendo che, fosse stato il suo show, «l’avrebbe presa a schiaffi». Tuttavia, nell’immediata vicinanza dell’evento, Lorne Michaels dimostrò ancora una volta la sua avversione per ogni forma di compressione della libertà di espressione. Ancora anni dopo, avrebbe sostenuto che «Il gesto di Sinead era pur sempre un gesto politico: non era come se avesse fatto vedere la copertina del suo LP, o fatto una rivelazione su qualche fidanzato segreto. Nel fare quello che ha fatto, si è esposta per qualcosa in cui credeva, non voleva soltanto suscitare un polverone per autopromuoversi». NBC cancellò (per usare una parola oggi piuttosto in voga) comunque la O’Connor, ma Michaels anche quella volta tenne il punto: era tutta la vita, del resto, che lottava contro il network, ed era sempre stato allergico all’idea di imporre qualsiasi tipo di censura.
Quello fu probabilmente il caso in cui l’esibizione musicale segnò una serata del SNL in modo più indelebile, ma la presenza dei musicisti è sempre stata considerata centrale: Saturday Night Live è diventato tanto grande anche perché non è solo un programma di sketch comici, ma contiene in sé tutti gli elementi del classico varietà televisivo – solo, miscelati in modo diverso da tutti gli altri. E a questo proposito, è il caso di tornare ai comici.

Nel 2024, SNL è ancora il programma più amato della tv “tradizionale” nel segmento 18-49 anni (evidentemente, perfino negli Stati Uniti ci sono ancora ragazzi che non guardano solo Netflix e TikTok), ed è ancora seguito da una media di sette milioni di telespettatori in diretta. Certo, si tratta della metà rispetto all’audience della fine dei Settanta, ma considerando i tempi, Michaels e compagni possono ancora stappare lo champagne. Anche perché la forza di SNL va oltre la programmazione televisiva, con gli sketch comici che sono già perfetti per essere riproposti, in brevi clip, sui social network: le facce di Colin Jost e Michael Che, presentatori del Weekend Update, storico segmento costruito come un finto telegiornale, sono conosciute anche dagli appartenenti alla generazione Z, grazie a Instagram e TikTok (e nel caso di Jost, probabilmente aiuta anche il fatto che il comico sia sposato con una delle ultime star rimaste a Hollywood, Scarlett Johansson).

Dunque, i numeri e la qualità complessiva dello show sono ancora soddisfacenti, ma è certo che l’anarchia rivoluzionaria dei primi anni non tornerà, semplicemente perché impossibile da replicare, così come le personalità dei primi membri del cast tra la metà dei Settanta e il 1980: un elenco di geni che comprende John Belushi, Chevy Chase, Dan Aykroyd, Andy Kaufman e Bill Murray, con conduttori come Steve Martin o (il primo in assoluto) George Carlin.
Una squadra tenuta insieme da Lorne Michaels, ma sempre sul punto di deragliare, e non solo perché nello storico studio 8H di Rockfeller Plaza – lo stesso in cui qualche anno prima Arturo Toscanini dirigeva con il noto rigore la NBC Orchestra – girava una quantità industriale di sostanze stupefacenti. Il produttore aveva infatti riunito un gruppo di giovani artisti che si era formato negli anni della controcultura, e che aveva la contestazione nelle vene. Alcuni, si poteva dire, semplicemente odiavano la televisione che si faceva in America a quei tempi: Judith Belushi ha raccontato che il suo allora marito John si presentò al provino dicendo «Il mio televisore è coperto di sputi». Così, giusto per mettere in chiaro le cose.
Questi ragazzi, insomma, erano i candidati perfetti per rivoltare la tv americana come un calzino, ma anche clienti molto rischiosi per un network di primo piano, che forse con eccesso di leggerezza aveva affidato 90 minuti della sua programmazione a gente assolutamente incontrollabile. Per di più, tutto era in diretta come da titolo. Quindi quell’accozzaglia di spiriti liberi doveva trovare, ogni sera, in extremis, almeno la parvenza di disciplina necessaria ad arrivare in fondo alla trasmissione. E forse era proprio la palpabile tensione della diretta, gli episodi in cui qualcosa andava storto, le battute che non funzionavano, a rendere l’insieme elettrizzante: quando assisteva a uno skit memorabile, il pubblico si rendeva conto che solo quella situazione e quella diretta senza appelli (Lorne Michaels aveva rifiutato ripetutamente la richiesta del network di andare in onda con un ritardo di sei secondi, in modo da poter intervenire in caso di “incidenti”) poteva creare quel mix unico.

Nel corso degli anni, il Saturday Night Live ha continuato a lanciare comici diventati poi star del grande schermo: non solo i membri del primo cast – a partire dai Blues Brothers Belushi e Aykroyd – ma un’intera genealogia che va da Eddie Murphy a Billy Crystal, Ben Stiller, Mike Myers, Adam Sandler, Tina Fey e Will Ferrell. Eppure, ogni volta che qualcuno faceva il salto definitivo verso Hollywood, lo show riusciva a rigenerarsi.
Oggi, la ricetta è raffinata fin quasi alla perfezione: Lorne Michaels ha 80 anni, e lo show funziona come un orologio. È molto difficile vedere segmenti non riusciti, ma d’altra parte lo è anche vedere qualcosa di davvero inaspettato: nella prima puntata del 1976, aperta da John Belushi, a un certo punto appariva sullo schermo una specie di versione alternativa dei Muppet (opera dello stesso Jim Henson, che poi si sarebbe pentito di aver accettato la proposta di Lorne Michaels) intitolata La terra dei Gorch, in cui un gruppo di pupazzi alieni metteva in scena trame fantascientifiche senza alcun senso. Funzionava? Probabilmente no, ma era assurdo, imprevedibile, e spiegabile solo con la già citata passione per le sostanze psicotrope che accomunava i membri del cast originale. Oggi è impossibile trovare sorprese del genere, guardando SNL. Eppure non si può negare che i suoi studi siano ancora una calamita per il talento.
L’anno scorso ho letto quasi per caso un libro appena uscito: si intitola Marmocchi viziati (Nottetempo), l’ha scritto dieci anni fa il newyorchese Simon Rich. Dopo averlo finito, e nonostante una traduzione a dir poco approssimativa (cosa sempre più comune, purtroppo: gli editori non sembrano avere più le risorse economiche necessarie alla cura editoriale dei libri che pubblicano, e i risultati non sono dei migliori), ho pensato fosse una delle cose più divertenti che avevo letto negli ultimi mesi. Ho cercato qualche informazione sull’autore, e ho scoperto che il suo primo impiego dopo l’università era stato al Saturday Night Live, per cinque stagioni.
Ecco, appunto.

25:02

That’s entertainment! (O forse no?)

Il divano di spade 05.10.2024, 18:00

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