Quando penso a Scarlett Johansson, mi viene sempre in mente “La donna esplosiva”. Non ricordo la prima volta in cui è successo, ma so che, più o meno invariabilmente, quando vedo apparire una della attrici più pagate dell’ultimo decennio a Hollywood, penso a quella stupida commedia fantascientifica di metà Ottanta. Penso al giovanissimo Robert Downey Jr. che veste i panni di un bulletto dallo stile improbabilmente New Romantic, e facendo un brutto scherzo ai due ragazzini protagonisti del film dà il via a una trama sconclusionata che prevede la creazione della donna perfetta. Nata da una versione appena modernizzata dell’esperimento di Frankenstein, ha fattezze tutt’altro che mostruose (quella della modella Kelly LeBrock, futura moglie di Steven Seagal): anzi, per gli standard degli adolescenti maschi protagonisti del film è la donna per eccellenza. Si potrebbe dire: una super donna.
“La donna esplosiva” risale a un quarto di secolo prima che Robert Downey Jr. abbia effettivamente l’occasione di dividere lo schermo con Scarlett Johansson, in “Iron Man 2”. Lei non era ancora nata, mentre lui veniva scritturato per interpretare il già citato bulletto. Eppure, il mio cervello collega la Johansson a quel film, credo, perché la sua carriera è in effetti costellata di tantissime varianti di quel ruolo: la super donna, in senti e modi diversi. Certo, nei film della Marvel che condivide con Robert Downey Jr. e che rappresentano una delle voci fondamentali nella costruzione del suo immenso patrimonio economico, la interpreta letteralmente (precisazione nerd: lo so che la Vedova Nera non ha davvero superpoteri e che è solo un’abilissima spia/guerriera/esperta di arti marziali, ma il risultato è lo stesso). Ma sono molte altre le pellicole in cui i suoi personaggi vanno oltre l’umano, il suo corpo al servizio di storie fantastiche o fantascientifiche. Il che rende Scarlett Johansson un perfetto prototipo di star dell’era moderna – o, potrebbe dire qualcuno, dell’era post-umana.
Certo, questa è solo una parte della multiforme carriera di Scarlett Johansson, ma è quella che completa in modo più pieno, e in un certo senso perfino inaspettato, la sua immagine di star.
Perché Scarlett è stata la “Sexiest Woman Alive” (c’è chi considera invece sexist queste classifiche, ma i giornali continuano a farle) per GQ, Esquire, Maxim, Playboy, Men’s Health e non so quante altre riviste cosiddette maschili, nelle ultime due decadi. È stata, prima, una bambina prodigio di Hollywood: debuttante a nove anni in “Genitori cercasi” di Rob Reiner, poi in diversi film e programmi televisivi, e a tredici già protagonista insieme a Robert Redford di “L’uomo che sussurrava ai cavalli”. È stata giovane musa del cinema indie/d’autore, con “Ghost World”, “L’uomo che non c’era”, “Lost in Translation”. È stata protagonista di drammoni in costume come “La ragazza con l’orecchino di perla” e “L’altra donna del re” e commedie contemporanee come “Scoop” e “La verità è che non gli piaci abbastanza”. Ma tutto questo fa parte del normale pacchetto da star hollywoodiana, a pensarci bene.
Quello che davvero fa la differenza nella sua carriera sono i ruoli fantastici: l’aliena killer di “Under the Skin”, la donna “aumentata” di “Lucy”, la cyborg di “Ghost in the Shell”, l’intelligenza artificiale di “Lei” (che noi conosciamo soprattutto attraverso il doppiaggio italiano di Micaela Ramazzotti, ma il discorso non cambia). E naturalmente, la Vedova nera. Sono questi ruoli a fornire un fondamentale contrappunto alla sua carriera, e a farla sfuggire dallo stereotipo più classico della diva, fatto di bellezza, seduzione, e tutto quello che ci gira intorno.
Essere sotto i riflettori fin dalla più tenera età, senza dubbio, aiuta a scegliere con maggiore consapevolezza come muoversi nel lavoro e nella vita pubblica: Scarlett, come altre star dei nostri tempi, è una maestra in questo campo, e sa come controllare la narrazione.
A proposito di controllo, non si può evitare di tracciare un parallelo (l’hanno fatto diversi accademici) tra l’attrice e la supereroina che l’ha fatta diventare una star globale: entrambe rappresentano un percorso di crescita che parte dall’uso consapevole della propria immagine, del talento della bellezza (sì, a certi livelli la bellezza non può che essere considerata tale).
Scarlett Johansson
Pensate alla Vedova nera in “The Avengers” del 2012, il film che ha dato il via alla saga capace di generare quattro dei venti film più visti della storia: nella scena che presenta il personaggio agli spettatori, Black Widow appare legata a una sedia, alla mercé di alcuni gangster russi. Un’immagine che ai semiologi non può che evocare fantasie sessuali (maschili) di dominazione, peraltro piuttosto diffuse nella storia dei personaggi femminili del genere supereroico (pensate al lazo usato da Wonder Woman sin dai fumetti degli anni Trenta). Allo stesso tempo, però, quella interpretata da Scarlett Johansson sembra una variazione sul tema della femme fatale della narrativa noir: la donna che si finge passiva (o in questo caso, addirittura priva di difese) per sedurre l’uomo e attirarlo in una trappola, offrendogli un falso senso di controllo. La scena che citavo prende vita all’improvviso, quando la Vedova nera ribalta il tavolo – e insieme, non proprio in senso figurato, i cattivi – con mosse di arti marziali tanto letali quanto esteticamente aggraziate, perfino seducenti. È una spia donna che mantiene il controllo della propria oggettivazione da parte dello sguardo maschile, che la usa a suo vantaggio ed è perfettamente consapevole del suo potere. Durante il suo percorso cinematografico, sarà chiaro il passaggio trasformativo da “semplice” donna fatale – o dark lady, come si soleva dire un tempo quando si scriveva di letteratura gialla – a supereroina.
In qualche modo, possiamo dire che Scarlett Johansson abbia saputo sfruttare l’inevitabile attenzione generata dalla sua bellezza cinematografica, per andare molto oltre l’immagine di sex-symbol hollywoodiano (che pure l’ha inseguita a lungo) e diventare la multiforme attrice di cui scrivevo poco sopra, capace di essere qualsiasi cosa sullo schermo, perfino un’eroina d’azione perfettamente credibile. Una trasformazione riuscita a pochi, anche tra i colleghi maschi: generalmente, action star si nasce, e non si diventa.
La liberazione dai ruoli su schermo legati primariamente alla seduzione avviene attraverso una serie di film che giocano sui temi di genere, e in modi diversi, li ribaltano. Tutto intorno alla metà degli anni Dieci, periodo che la stessa Johansson definisce “di transizione”, per la sua carriera.
I titoli principali sono quelli che ho citato più sopra: “Lei” di Spike Jonze, “Under the Skin” di Jonathan Glazer, “Lucy” di Luc Besson.
In “Lei”, il software femmina (si può dire?) a cui la Johansson presta unicamente la voce (peraltro in un atto di rimozione assoluta del corpo di una star di tale grandezza, che rimane un unicum nella storia del cinema hollywoodiano) è inizialmente fedele servitrice della controparte umana e maschile interpretata da Joaquin Phoenix, ma presto scala le gerarchie, diventando prima sua pari, poi infinitamente superiore.
In “Lucy”, la Johansson diviene un’assassina superumana grazie a una droga sintetica, e passa il tempo a picchiare uomini che appaiono più forti di lei. E il film, come giustamente aveva a suo tempo notato Noah Gittel sull’Atlantic, funziona sia come critica al modo in cui il corpo delle attrici viene reso oggetto dal cinema hollywoodiano, sia come un perfetto esempio di quella stessa oggettivazione (a tratti anche piuttosto volgare): ambiguità che rappresenta già una parziale risposta, a chi si dovesse chiedere se sia possibile rimuovere ogni istinto voyeuristico dal cinema stesso.
In “Under the Skin”, Scarlett è un’aliena senza emozioni nel corpo di una bellissima donna, che si veste con abiti estremamente provocanti e in una scena appare anche nuda (prima volta nella carriera della Johansson, a 29 anni), ma risulta così vuota, fredda, meccanica, che distrugge con la sua interpretazione qualsiasi eventuale parvenza di erotismo.
È probabile – e giusto – che la maggior parte degli spettatori, ai tempi, si sia lasciato coinvolgere da questi film senza riflettere troppo sul loro significato simbolico come spunti di riflessione, lanciati dall’attrice protagonista con le sue performance, e il suo corpo di conseguenza. Dieci anni dopo, arrivando a un primo bilancio (a quarant’anni, chi non lo fa?), appare chiaro che abbiano rappresentato un punto di svolta per la più importante star dell’ultimo quarto di secolo. E per la sua carriera inarrestabile, capace di piegare persino le sbarre dorate degli stereotipi hollywoodiani.
Scarlett Johansson compie 40 anni
Serotonina, Rete Tre 22.11.2024, 09:30
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