La prima edizione della Berlinale firmata dall’americana Tricia Tuttle ha visto la giuria guidata dal regista americano Todd Haynes distribuire i suoi 8 premi in maniera equilibrata. Chi sperava che venissero premiati film di qualità artistica ma con una intrinseca denuncia sociale è stato accontentato con i tre più importanti orsi d’Argento: il Gran Premio, il Premio della Giuria e quello al miglior regista.
L’Orso d’oro è però stato assegnato ad un film che non aveva convinto i critici dopo l’anteprima: il norvegese DRØMMER – (DREAMS, SEX, LOVE) di Dag Johan Haugerud, che con i precedenti “Sex” e “Love” chiude una trilogia iniziata proprio a Berlino (Panorama) lo scorso anno e passata anche per la Mostra di Venezia con quello che forse è il più riuscito dei tre capitoli.
“Il film che celebriamo stasera è una meditazione sull’amore. È palesemente singolare ma ironicamente universale. Con incredibile sicurezza e precisione, il film esplora il motore del desiderio e ciò che produce e l’invidia che possiamo provare verso coloro che ne sono presi nella morsa. Con la sua acuta e lucida osservazione, la sua paziente telecamera e le sue impeccabili performance, nell’attenzione che dedica all’atto stesso della scrittura. Come un processo di intreccio dei nostri desideri nell’esperienza, questo film ti colpisce nel vivo, con la sua acuta intelligenza e i suoi improvvisi, sorprendenti momenti di rivelazione”. Così ha annunciato la scelta della Giuria il presidente Todd Haynes. Del film di Dag Johan Haugerud ha conquistato la giuria proprio la storia della 17enne Johanne, che si innamora della sua insegnante Johanna. Fino a che punto il rapporto arrivi a compimento il film non ce lo racconta esplicitamente, ma di questa sua storia d’amore Johanne annota tutti i dettagli, anche quelli più intimi, che finiscono per diventare un racconto di successo editoriale.
I film che più avevano convinto e che sotto una brillante confezione cinematografica offrivano importanti riflessioni sociopolitiche hanno trovato un posto importante nel palmarès di questa edizione. Il Gran Premio della giuria lo ha conquistato THE BLUE TRAIL di Gabriel Mascaro che si immagina tutti i cittadini brasiliani al di sopra dei 75 anni chiamati a lasciare lavoro e casa per accomodarsi in “colonie” in cui attendere la fine della vita. Ma Tereza (la splendida protagonista Denise Weinberg) non accetta di rinunciare ai propri sogni, e così, dopo essere sfuggita alla polizia, riesce a trovare una nuova e inaspettata occasione per continuare a vivere.
L’estrema povertà di gran parte del paese si riflette nel film argentino THE MESSAGE di Iván Fund che ha conquistato il Premio della Giuria: girato in bianco e nero, ci racconta le peripezie di uno sgangherato trio di persone che per sbarcare il lunario attraversano il paese su un camper per rispondere alle chiamate di chi si affida al dono della piccola Myriam, capace di entrare in contatto e parlare con gli animali, vivi e morti.
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Meritatissimo anche il premio per la miglior regia assegnato al cinese Huo Meng: il primo film presentato in concorso, il suo LIVING THE LAND è un racconto rurale ambientato in una Cina alla vigilia dei grandi cambiamenti tecnologici della fine del XX secolo, che travolgono anni e anni di tradizioni tramandate nelle famiglie.
Dicevamo un palmarès equilibrato, perché i nomi più attesi in qualche modo vi hanno trovato spazio. A cominciare dall’abbonato ai premi nei grandi festival, Radu Jude, che stavolta con il suo KONTINENTAL ‘25, girato completamente con degli smartphone, ha messo in valigia il premio per la miglior sceneggiatura. Tra una battuta politica e un ringraziamento al suo gruppo di lavoro, ha trovato modo per dedicare il premio a Luis Bunuel che proprio il 22 febbraio avrebbe compiuto 125 anni.
Anche Richard Linklater con il suo BLUE MOON, film dedicato alla figura di Lorenz Hart paroliere di grande fama a cui si devono successi immortali come, appunto, “Blue Moon”, “My Funny Valentine” e “The Lady Is a Tramp”. Non è stato però il protagonista Ethan Hawke a conquistare l’orso d’argento, bensì uno degli attori di supporto, Andrew Scott.
Berlino, da alcuni anni, ha abolito la divisione degli interpreti in maschile e femminile, ma premia solo un protagonista e un attore di supporto. Così è andato alla brava e intensa performance di Rose Byrne nel film IF I HAD LEGS I’D KICK YOU di Mary Bronstein il premio per la miglior interpretazione. Un film complicato e visionario, ambientato nel mondo degli psicoterapeuti, con una donna sull’orlo di una crisi di nervi, madre di una bambina malata, a cui crolla letteralmente sulla testa il soffitto di casa...
Nessun riconoscimento per i due film con bandiera svizzera in concorso, “MOTHER’S BABY” dell’austriaca Johanna Moder e “LA CACHE” di Lionel Baier: l’ultimo Orso d’argento, quello per il contributo artistico ad un film, lo ha infatti conquistato il francese LA TOUR DE GLACE di Lucile Hadžihalilović.
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