Nel Cinquecento, la Riforma ha abolito il celibato obbligatorio per i preti e ha aperto la strada al matrimonio per i parroci. Quattro secoli più tardi, buona parte del mondo protestante ha introdotto il pastorato femminile e molte chiese nate dalla Riforma hanno eletto delle donne ai più alti ruoli di governo. Tutto ciò fa parte del processo di mutamento della condizione femminile maturato nel solco della tradizione protestante.
Le mogli dei Riformatori
Quando pensiamo ai protagonisti della storia del protestantesimo, la mente corre immediatamente al riformatore tedesco Martin Lutero, a quello di Zurigo, Huldrych Zwingli, a quello di Ginevra, Giovanni Calvino. Solitamente non si va oltre questi nomi. E si tratta di tre uomini. È raro il caso in cui emergono nomi di donne. Scavando un poco, si incontrano i nomi delle mogli dei Riformatori appena citati: Katharina von Bora, Anna Reinhart, Idelette de Bure. Chi erano queste donne? Quale la loro biografia? Che ruolo hanno avuto vivendo accanto a personaggi pubblici la cui esistenza è stata caratterizzata da scontri, polemiche, battaglie a non finire?
La famiglia cristiana
A Katharina, Anna e Idelette è dedicato il primo di una serie di dodici grandi pannelli che compongono la mostra intitolata “Dalla Riforma a oggi. 36 ritratti di donne”, recentemente inaugurata presso la chiesa riformata di Poschiavo.
La Riforma ha aperto, da un lato, alle donne, nuove opportunità di partecipazione alla vita religiosa e ha contribuito a innalzare i tassi di alfabetizzazione femminile. Dall’altro, ha rafforzato i tradizionali ruoli di genere nel quadro dell’ideale della “famiglia cristiana”. In tale contesto, la moglie del pastore è diventata una sorta di modello della compagna fedele, amministratrice della casa, madre premurosa, al quale tutte le donne sposate potevano e dovevano adeguarsi.
Nascono altri modelli
L’affermarsi di nuovi ruoli femminili è avvenuto nei secoli successivi, in cui le donne hanno contribuito a tendere verso quell’orizzonte di apertura prefigurato dall’apostolo Paolo nella vertiginosa affermazione della lettera ai Galati: “Non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.
A dire il vero, fermenti di profondo rinnovamento sono reperibili, per rimanere al mondo protestante, già nel Cinquecento. La mostra richiama l’attenzione sulla predicatrice anabattista Margret Hottinger, che faceva parte di una comune di donne, a San Gallo, e che fu catturata e uccisa, insieme al padre e al fratello, mentre cercava di raggiungere comunità anabattiste in Moravia. O ancora, la teologa belga Marie Dentière, ex suora, trasferitasi a Ginevra, dove contestò apertamente Giovanni Calvino e perciò venne allontanata dalla città. Marie è l’unica donna il cui nome compare tra le tante figure ricordate sul Muro della Riforma, a Ginevra. E poi ci sono le regine e le donne nobili, spesso animatrici di circoli in cui convengono simpatizzanti della Riforma. Volgendo lo sguardo all’Italia, la mostra ricorda Renata di Ferrara, Giulia Gonzaga e Olimpia Morata.
Dalla famiglia alla società
Risalendo lungo i secoli, sfilano la prima autrice di testi in tedesco, Hortensia von Salis (1659-1715), di Maienfeld, autrice di limpide invettive contro il patriarcato nella chiesa; la prima poetessa romancia, Mengia Bisaz (1713-1781), vissuta nella Bassa Engadina, autrice di poemi religiosi. E poi le donne che si sono battute per l’abolizione della schiavitù, tra le quali Harriet Beecher Stowe (1811-1896), autrice del celebre “La capanna dello zio Tom”; e ancora, donne che hanno fondato scuole per infermiere e ospedali (l’inglese Florence Nightinghale, da cui Henri Dunant trasse l’ispirazione per fondare la Croce Rossa), che hanno lottato per diventare medico, per poter divorziare, per avere il diritto al lavoro e quello di voto. Fino a quelle che hanno rischiato la vita per accogliere profughi, hanno speso le loro energie migliori per difendere la pace, hanno bussato alle porte del potere ecclesiastico per salire sul pulpito e predicare.
Un caso grigionese
Un accenno particolare merita la figura di Greti Caprez (1906-1994), la prima donna pastore nel Grigioni. La sua elezione, a Furna, un piccolo villaggio della Prettigovia, nel 1931, da parte dell’assemblea della locale chiesa riformata, suscitò un ampio dibattito in tutta la Svizzera. Dopo una trentennale battaglia, ricostruita dalla nipote Christina Caprez nella biografia “La pastora illegale”, uscita in italiano presso l’editore Armando Dadò, Greti fu consacrata a Zurigo, nei primi anni Sessanta del secolo scorso
Un ripensamento necessario
La mostra poschiavina non esaurisce il discorso sul ruolo delle donne e sul rapporto tra i generi, e si pone come un contributo al più ampio e necessario ripensamento degli equilibri tra uomo e donna in corso nella società. Visitabile ogni giorno dalle 8 alle 18, la mostra rimarrà aperta fino alla fine di ottobre.