Esiste un modo per garantire la pace eterna nel mondo senza fare riferimento a scenari ultraterreni? Nel 1795, Immanuel Kant provò a rispondere a questa domanda con un suo fortunato saggio, intitolato Zum ewigen Frieden (Per la pace perpetua), testo che chiuse la scuola del contrattualismo e che gettò le basi del moderno diritto internazionale.
«Quando comparve, nel 1795, il saggio kantiano rispondeva al pensiero generale. L’Europa di quel tempo era profondamente stanca della guerra. La Prussia, che era stata l’ultima a sostenere la lotta impegnata dai re contro la Repubblica francese, era esausta sia per la carenza di uomini e sia per la mancanza di risorse. La Repubblica francese restava vittoriosa, ma al prezzo di molti sacrifici e di molte lotte interne e all’estero. I re battuti tacevano, i popoli schiacciati aspettavano. Si aveva sete di pace, ma lo scenario europeo faceva presagire ulteriori spaventose guerre che avrebbero definito il nuovo secolo che stava per dischiudersi. Le due parole del titolo, “pace” e “perpetua”, brillavano come una promessa, rinfrescavano l’animo, parlavano all’immaginazione. Si cercò in quelle cento pagine un rimedio contro la guerra, e come una ricetta di pace»
Carlo Lemmonier, Un giudizio sulla pace perpetua
Non serve dire che il disegno kantiano ha mostrato, purtroppo, i suoi limiti: le guerre, che hanno contraddistinto l’Ottocento e il Novecento, continuano a vessare il mondo di oggi come quello di ieri. Ciononostante, il ragionamento del filosofo tedesco è utile, come lo è ogni classico, per mettere in discussione la situazione politica odierna e trovare possibili vie d’uscita o perlomeno spunti di riflessione importanti per il futuro del genere umano.
Kant, come sottolinea Lemmonier, non vende ricette, non crea utopie e non è un inventore di procedimenti politici. Non è nemmeno un puro filantropo. Kant è il più grande moralista che l’umanità abbia prodotto: ciò che lo conduce alla pace sono la giustizia e la libertà dell’essere umano. Questo emerge in ogni punto della sua dissertazione filosofica sulla pace, che ora cercheremo di ripercorrere nelle sue tappe più importanti, attraverso gli articoli più capaci a parlare al nostro mondo contemporaneo.
Nella prima parte dell’opera, intitolata Articoli preliminari ad una pace perpetua fra le nazioni, Kant delinea una serie di punti introduttivi che permetterebbero la coltivazione della pace perpetua, premesse senza le quali gli articoli della seconda parte risulterebbero impossibili da compiersi.
Nessun trattato di pace deve essere considerato come tale se stipulato con tacita riserva di argomenti per una guerra futura.
Kant, Per la pace perpetua, Articolo 1
Il pensiero non può che riportarci al Trattato di Versailles, sottoposto ai Tedeschi per la firma il 7 maggio 1919, che obbligava la Germania, mutilata dalla Prima Guerra Mondiale, a cedere territori al Belgio, alla Cecoslovacchia e alla Polonia. Un provvedimento internazionale che avrebbe piantato il seme di un malcontento che si dilagò fino a concretizzarsi con l’avvento del nazismo e l’inizio della Seconda Guerra Mondiale: come scrisse Kant, «le cause esistenti di guerre future, sebbene al momento ignote agli stessi pacificandi, sono tutte assieme annichilite dalla conclusione della pace». Di esempi di questo tipo, consultando documenti di archivio, ce ne sono molti, anche recentissimi. Un trattato di pace ha senso di esistere nel momento in cui esso stabilisce la pace, e non una mera tregua.
Non deve alcuno Stato indipendente poter essere acquisito da un altro per mezzo di eredità, scambio, compera o donazione.
Kant, Per la pace perpetua, Articolo 2
Lo Stato, secondo Kant, non è un bene o un avere, bensì una società di uomini su cui nessuno, tranne essa stessa, può comandare o disporre. Le aspirazioni colonialiste delle grandi potenze europee che, nel giro di un secolo, si sarebbero intensificate, dimostrano che la concezione kantiana di Stato non ha mai attecchito nella politica concreta, che ha preferito considerare l’altro da sé privo di diritti e anzi obbligato a sottomettersi a forze militari ed economiche che non aveva la capacità di contrastare.
Gli eserciti permanenti devono con il tempo interamente cessare.
Kant, Per la pace perpetua, Articolo 3
Gli eserciti, secondo Kant, sono una diretta manifestazione della minaccia di guerra incessante tra gli Stati. Praticamente ogni nazione dispone di un esercito permanente, pronto a scendere in campo qualora ce ne sia il bisogno. Chi fa parte dell’esercito accetta tacitamente di venire utilizzato come una macchina, come uno strumento di morte ai comandi della politica per adempiere a un qualche dovere civile verso la sua patria. Non è un caso che i soldati vengano spesso celebrati come eroi della patria, che sacrificano la vita per qualcosa di superiore della loro individualità. Anche in questo caso, la pace prende le sembianze di una tregua, e la tregua non collabora alla cessazione dei conflitti, anzi ne attende l’inizio.
Il frontespizio della prima edizione de "Per la pace perpetua"
Nella seconda parte dell’opuscolo sulla pace, Kant formula gli Articoli definitivi per una pace perpetua fra le nazioni. Secondo il filosofo tedesco, lo stato di pace tra gli uomini non è uno stato di natura, qualcosa a cui spontaneamente aspira la natura umana. Per questo motivo, è necessario dare stabilità ai governi di tutti gli Stati per impedire l’epifania di ciò che, secondo Kant, realmente contraddistingue la natura umana, ossia la volontà di guerra. È insomma il tentativo di sottomettere l’istinto animale, insito nelle viscere dell’essere umano, con le “armi” della razionalità, che secondo Kant tende sempre verso il bene assoluto.
La Costituzione civile di ogni Stato deve essere repubblicana.
Kant, Primo articolo definitivo per la pace perpetua
Il terreno più fertile su cui può fiorire una pace perpetua è quello che fa della libertà il suo caposaldo assoluto. Il sistema repubblicano, per questo motivo, è il sistema politico ideale per garantire la libertà a ciascun individuo: i principi di libertà, di sudditanza ad una comune legislazione e di uguaglianza civile sono le premesse necessarie per aspirare a scenari di pace ed evitare la manifestazione della guerra. Kant ne sottolinea il principale vantaggio: «la Costituzione repubblicana permette alla pace perpetua di avverarsi», perché «quando si richiede l’assenso dei cittadini per decidere se debba esservi la guerra, nulla è più naturale che essi abbiano ad esitar molto prima di avventurarsi ad un tal azzardo di cui essi medesimi dovranno sopportare tutte le sventure».
Il diritto internazionale deve essere fondato sopra una federazione di Stati esteri.
Kant, Secondo articolo definitivo per la pace perpetua
Il sussistere all’interno degli Stati delle norme e della conformazione sopra descritte non è tuttavia sufficiente per ambire alla pace perpetua. Kant ne è ben consapevole perché, storicamente, anche le repubbliche più illuminate hanno dovuto intraprendere delle guerre per la loro salvaguardia. Così, per rendere il meccanismo kantiano efficiente, è necessario pensare ad un organismo sovranazionale che regoli i rapporti fra gli Stati. Kant lo chiama “lega della pace”, che, a differenza del trattato di pace, non porrebbe fine ad una sola guerra, bensì a tutte quelle che potrebbero avverarsi in futuro. Una lega di questa natura non tenderà a nessun acquisto di potenza da parte sua o di un particolare Stato, bensì si occuperà puramente a conservare tanto la sua libertà quanto quella delle altre nazioni. L’effettuabilità di un federalismo cosmopolita, estendibile a tutti gli Stati, si avvererebbe nel momento in cui un popolo «colto e potente si formasse a repubblica», diventando agli occhi degli altri «un punto centrale di unione federativa (...) garantendo così una condizione di pace conforme all’idea del diritto delle genti, che si estenderebbe via via su più vasto campo con alleanze della stessa natura». Si comprende facilmente come la formazione di una simile federazione dissolverebbe la possibilità della guerra tra i popoli da cui sarebbe composta.
Il diritto cosmopolitico deve esser limitato alle condizioni di ospitalità generale.
Kant, Terzo articolo definitivo per la pace perpetua
Con “ospitalità”, Kant intende il diritto che spetta ad ogni straniero di non essere trattato in modo ostile al suo arrivo in un territorio altrui. Il diritto di visita spetta a ciascun individuo, poiché ognuno fa parte della società mondiale in virtù del diritto di possesso comune della superficie terrestre. In questo modo, il genere umano si avvicinerà sempre di più ad una costituzione cosmopolitica che rispetti le libertà e i diritti tanto degli Stati quanto degli individui, per non permettere ai pregiudizi di governare lo sviluppo storico-politico del mondo: «l’idea di un diritto universale o cosmopolitico non è fantastica o esaltata, ma complemento necessario del codice non scritto, sia interno che internazionale, ed avviamento alla pace perpetua cui solo in questa forma potrà man mano affermarsi».
Insomma, la dissertazione kantiana sulla pace dimostra che essa sarebbe idealmente raggiungibile. Il ragionamento del filosofo tedesco, tuttavia, non può che rimanere il punto di partenza di una forse disperata rincorsa all’ideale pace eterna. I principi su cui si fonda - la giustizia, la libertà e il cosmopolitismo - fanno riferimento a un intimo spirito della natura umana che, nonostante ciò, non emerge con forza in tutti gli individui. Le forze in gioco sulla scacchiera internazionale lasciano molto spesso più spazio all’oscurità degli interessi rispetto alla lucentezza del comportamento integro ed eticamente retto, e ciò è di grande intralcio al perseguimento della pace eterna. Una pace che forse non si realizzerà mai, ma a cui è giusto almeno aspirare nel concreto. Il testo di Kant è un’ottima occasione di riflessione attorno a questo ideale traguardo, che ci si presenta sempre più vicino ogni qualvolta gli dedichiamo seria attenzione.
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Il coraggio di parlare di Pace
Laser 08.01.2025, 09:00
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