Filosofia e Religioni

Søren Kierkegaard

Questo singolo individuo

  • 05.05.2023, 00:00
  • 31.08.2023, 12:03
Kierkegaard
Di: Paolo Rodari 

È uno dei concetti chiave del pensiero filosofico di Søren Kierkegaard (nato il 5 maggio 1813), forse il concetto di fondo di tutte le sue opere, ovvero la convinzione che l’esistenza dell’uomo sia basata sulla categoria della possibilità. Ed anche se questa categoria per lui ha preso concretamente un’accezione negativa, le scelte che ogni essere umano può fare nella propria vita restano comunque un’apertura verso un futuro che può essere diverso, possibile appunto.

In “Aut-Aut” Kierkegaard entra nella carne viva della possibilità. L’uomo, in sostanza, ha innanzi a sé due possibilità con cui fare i conti, la “possibilità-che-sì” e la “possibilità-che-non”, la possibilità che le cose siano, diventino, e la possibilità che invece si blocchino, non siano. È un’alternativa presente nell’esistenza di ognuno, una “terribile” alternativa come la definisce lui, perché invece che aprire ad un futuro diverso, magari radioso, può paralizzare, gettare l’uomo in uno stato di afflizione profonda, rendendolo incapace di decidere, in sostanza in preda ad una continua ed inesorabile angoscia. E più non decide più è costretto a vivere nel rimorso di ciò che non è stato. O meglio, di ciò che non si è voluto prendere, fare proprio, perseguire.

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Kierkegaard e la filosofia nell’esistenza

Oggi, la storia 11.01.2013, 01:00

Ne è un esempio evidente, nella vita dello stesso pensatore danese, quanto accaduto nel rapporto con Regina Olsen, il fidanzamento che Kierkegaard nel suo “Diaro” definisce come un “terremoto”. Si fidanzarono che avevano diciotto anni. Il rapporto finì appena un anno dopo. Regina voleva sposarlo, essere tutta per lui. Lui anche, ma decise di rompere, costringendosi a vivere l’intera esistenza nel rimpianto. Perché? La sua vita, come il suo pensiero, furono fortemente influenzati da una serie di tragedie famigliari, cinque fratelli morirono prima che lui compisse diciotto anni, come anche dalla rigida educazione pietista impostagli dal padre. Dal padre, in particolare, pensava di avere ereditato una grande maledizione che chiamava “grave colpa”. Probabilmente si convinse di non essere degno della felicità. Arrivò addirittura ad adottare alcuni comportamenti insoliti (inventò di avere un’amante e di essere schiavo dell’alcol) pur di allontanare Regina da sé. E ce la fece. La allontanò, rimpiangendola poi per tutta la vita, ma nello stesso tempo rimanendo fermo sulla necessità che lei non stesse con lui, non lo avvicinasse, non si prendesse la felicità di averlo vicino.

Per Kierkegaard l’uomo ha innanzi a sé tre possibilità, che egli chiama “stadi”: la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa. Ad ognuno di questi stadi corrisponde un’esistenza differente. Ogni stadio è separato dall’altro, ognuno può scegliere in quale dimorare, tuttavia è possibile passare dal primo al secondo e dal secondo al terzo ma non si può fare il medesimo percorso all’indietro. Questo perché esiste un ordine gerarchico fra gli stadi: il secondo è migliore del primo e il terzo del primo e del secondo.

Il primo stadio appartiene alla dimensione edonistica della vita. Ne è un esempio Don Giovanni, il protagonista dell’opera lirica di Mozart, e del romanzo dello stesso Kierkegaard “Diario di un seduttore”. Don Giovanni è sempre alla ricerca di nuove esperienze, ha relazioni con più donne, senza essere tuttavia capace di trovare realizzazione e compimento. Nello stadio estetico, insomma, l’uomo vive per gioie momentanee che in realtà lo gettano nella noia. Per Kierkegaard è un’esistenza negativa perché votata all’inappagamento.

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La ripresa di Kierkegaard

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Lo stadio etico è invece un gradino sopra, perché consiste nel vivere con responsabilità. Ne è un esempio l’esistenza dell’“uomo-marito”, l’uomo che sceglie la famiglia, la vita di coppia, il lavoro per mantenersi. Anche questo stadio di vita, tuttavia, è per Kierkegaard negativo, perché caratterizzato dalla ripetitività, dalla routine. Così facendo, di fatto, l’uomo si sottopone a un modello di comportamento precostituito, senza poter emergere come tutta la sua singolarità.

Così ecco il terzo stadio, quello religioso, la fede vissuta ed abbracciata come antidoto alla disperazione. L’uomo si apre a Dio ed anche se non vi riesce sempre fino in fondo può in questo modo vincere angoscia e disperazione. Fra vita etica e religiosa c’è un abisso, non c’è possibilità di conciliazione, di sintesi, di qui il solco che egli ha voluto mettere fra sé e Regina. Il modello è Abramo, di cui Kierkegaard parla in “Timore e tremore”, che ricevette da Dio l’ordine di uccidere Isacco. La vita religiosa è sottoporsi ai dettami divini, superiori a quelli sociali e morali. Soltanto ubbidendo a Dio anche contro ogni logica – la decisione di accettare di uccidere il proprio figlio – si entra in un rapporto unico ed intimo con Dio stesso, vincendo solitudine ed angoscia. In sostanza, nella vita religiosa si rinuncia ad abbracciare le infinite possibilità della vita, scegliendo il rapporto con Dio. È questa la strada del compimento? Per Kierkagaard sì, anche se a conti fatti il rimpianto per aver rinunciato a Regina, e la tristezza conseguente, non l’abbiano mai abbandonato.

Kierkegaard, in sostanza decise di non scegliere, di vivere da contemplativo, un uomo che osservava da fuori la vita degli altri senza intromettervisi. Scrisse in proposito nel suo “Diario”: “Ciò che io sono è un nulla; questo procura a me e al mio genio la soddisfazione di conservare la mia esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra la saggezza e la stupidaggine, tra il qualche cosa e il nulla come un semplice forse”.

Non scegliere portò Kierkagaard a stare in un punto preciso, che lui chiamò “punto zero”. Un punto di grande sofferenza ma anche di creatività. Da lì, da suo ritiro dal mondo, compose le sue opere, fra le tante “Aut-Aut”, “Timore e tremore”, “Il concetto dell’angoscia”, “La malattia mortale”.

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"L'acuto pensiero in un fragile corpo", Soeren Kierkegaard

RSI Cultura 04.05.2023, 10:24

L’esistenza di Kierkegaard fu di un uomo solitario, votato all’introspezione ed alla fuga da tutto. Molto fragile di salute, morì nel 1855 in seguito ad una caduta avvenuta in strada. Ricoverato al Friedriks Hospital di Copenaghen, se ne andò in quattro giorni per una lesione spinale ed emorragia cerebrale. Aveva 42 anni. Venne seppellito nella tomba di famiglia nel cimitero della città. Si dice che sulla sua lapide avrebbe voluto che si scrivesse come epitaffio “Questo singolo”, al fine di affermare la centralità della singola persona rispetto a tutto il resto, ma il suo desiderio non fu esaudito.

Successivamente alla sua morte il suo pensiero fu definito esistenzialista seppure lui non abbia mai usato tale termine. Per l’esistenzialismo, corrente filosofica del XX secolo, l’esistenza precede l’essenza e l’uomo, in quanto singolo, può creare idee e valori universali. Sono tutti termini che non appaiono negli scritti di Kierkegaard. Il pensatore danese, al contrario degli esistenzialisti del XX secolo, riteneva sì la vita dell’uomo centrale, ma insieme pensava che ogni sua azione avesse una responsabilità di fronte a Dio, cosa che gli esistenzialisti rifiutavano. Per loro l’uomo risponde dell’esistenza soltanto innanzi a sé stesso. Per Kierkegaard, invece, ne risponde innanzi a Dio e al suo mistero.

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