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Simone Weil, essere credenti sulla soglia

Torna grazie ad Adelphi “Attesa di Dio”, uno degli scritti più conosciuti della pensatrice francese

  • 4 febbraio, 08:07
  • 4 febbraio, 12:21
simone Weil
Di: Paolo Rodari

Partecipava con regolarità alle cerimonie religiose. Recitava quotidianamente il Padre Nostro in greco. Ma decise di rimanere sempre sulla soglia della Chiesa cattolica, senza mai chiedere il Battesimo, vivendo nella ricerca del mistero di Dio al di fuori dei limiti confessionali. In sostanza, la strada che scelse per sé fu unica: “Essere cristiana fuori dalla Chiesa”.

Appartenente a una colta famiglia ebrea francese, Simone Weil (nata il 3 febbraio 1909) è stata uno dei pensatori più importanti del Novecento. Scrittrice, filosofa, mistica, intellettuale, sono diversi gli attributi che si riferiscono alla sua persona, segno di una personalità poliedrica e versatile. Tanto che è di questi giorni la decisione di Adelphi di ripubblicarne uno dei suoi libri più famosi, Attesa di Dio (dal 13 febbraio), raccolta di scritti – composti fra l’autunno del 1941 e la primavera del 1942 – apparsa postuma nel 1949 per le cure di Joseph-Marie Perrin, l’affabile padre domenicano che fu amico, confidente e destinatario delle sei lettere che, dettate da un ineludibile «bisogno di verità», costituiscono parte essenziale dell’opera.

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Sulla soglia, ovvero fuori dalla Chiesa cattolica, vi rimase sino alla fine della sua vita. Quasi a conferma di voler rimanere separata dal mondo, lasciò che il mondo stesso scoprisse i suoi scritti soltanto una volta deceduta. Morì nel sanatorio di Ashford dopo essersi ammalata di tubercolosi il 24 agosto nel 1943, indebolita anche a causa di una indigenza abbracciata per solidarietà con i suoi concittadini vessati dalla guerra e dall’oppressione nazista. Contro quell’oppressione dedicò gran parte del suo sforzo intellettuale. Ma fu in generale contro ogni forma di totalitarismo che lavorò alacremente, non solo contro la barbarie ideologica che invadeva l’Europa ma anche contro il marxismo e in generale ogni forma di egemonia politica e culturale.

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Durante la guerra sfollò con la sua famiglia negli Stati Uniti. Ma ben presto tornò in Europa per unirsi alla Resistenza. Era ormai verso la fine della sua esistenza. Aveva già conosciuto da vicino il cristianesimo. Vi si avvicinò restandone fuori, intuendo come anche nella separazione, nel “restare fuori”, o sulla soglia, vi fosse un qualcosa di profondamente divino. Ma più che una scelta fu una necessità: se da una parte si sentiva attratta, nel contempo aumentavano i motivi che le chiedevano di non aderirvi.

Hannah, Rachel, Simone

RSI Filosofia e Religioni 22.11.2016, 11:35

  • Keystone

Fu la madre ad educarla alla libertà, iscrivendola in scuole dove l’insegnamento fosse il più laico e agnostico possibile. Nel 1930 si laureò alla Normale di Parigi. Studiò da qui l’evolversi dell’esperienza comunista in Unione Sovietica e l’ascesi del nazismo in Germania, maturando una sorta di paura per entrambi. Si sentì portata a stare accanto a coloro che dei due totalitarismi erano vittime. Per questo lasciò l’insegnamento e decise di andare a lavorare come manovale in fabbrica: passò dalle fabbriche metallurgiche della Alstom alla Carnaud, quindi alla Renault. Si arruolò poi nelle milizie spagnole che combattevano nella Guerra Civile, quindi il ritorno in Francia e l’avvicinamento alla fede cristiana. La percepì come fede degli ultimi, i diseredati, i separati, il credo di chi non ha nulla. Vide in Cristo il servo sofferente dei poveri, per questo vi si avvicinò, senza però formalmente aderire né al cristianesimo né al cattolicesimo.

Tutti gli episodi de: "I digiunatori"

  • I digiunatori (1./12)

    Colpo di scena 13.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (2./12)

    Colpo di scena 16.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (3./12)

    Colpo di scena 17.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (4./12)

    Colpo di scena 18.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (5./12)

    Colpo di scena 19.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (6./12)

    Colpo di scena 20.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (7./12)

    Colpo di scena 23.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (8./12)

    Colpo di scena 24.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (9./12)

    Colpo di scena 25.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (10./12)

    Colpo di scena 26.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (11./12)

    Colpo di scena 27.01.2017, 13:30

  • I digiunatori (12./12)

    Colpo di scena 30.01.2017, 13:30

Nel 1940 Parigi era in mano ai tedeschi. Weil scappò con la sua famiglia ma poi vi ritornò. Avrebbe voluto andare al fronte come infermiera. Non venne accettata. Ne soffrì e iniziò così a spegnersi fisicamente ed anche spiritualmente. Eppure fu qui che il suo pensiero iniziò a vivere, sopravvivendo a lei stessa, divenendo una pietra miliare nella complicata storia del Novecento.

Una mistica sulla soglia, la definiranno in molti. Ed in effetti fu questa soglia il senso più profondo del suo pensiero. In “Attente de Dieu”, non a caso, il libro che raccoglie le lettere che Weil scrisse al prete domenicano Joseph-Marie Perrin, mostrò sia una curiosità sincera verso il cristianesimo sia una feroce repulsione per gli aspetti storici che hanno contraddistinto la vita stessa della Chiesa cattolica. Weil amava il Cristo della Passione più che la sua storicizzazione nella comunità ecclesiale. A folgorarla furono le parole del profeta Isaia: “Ingiuriato, maltrattato, non aprì la sua bocca”. E ancora: “Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca”. Si legge in “Lettre à un religiuex”: “Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento mi sembra di non avere nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che la mia imperfezione pone tra essa e me. È una situazione spirituale penosa. Io vorrei renderla non meno penosa, ma più chiara. Nella chiarezza qualsiasi pena è accettabile”.

  • Simone Weil
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