L’impressione che la realtà si derealizzi sempre di più e che il confine fra reale e artificiale divenga, col passare degli anni, viepiù indefinito temo non sia una semplice impressione. La tecnocultura sta trasformando l’esistenza umana in un simulacro. Tutto ciò che ci riguarda viene registrato, immagazzinato, diffuso all’occorrenza. Siamo entrati nell’epoca del doppio, trasformati in una delle tante apparizioni (o emissioni) che alimentano il crepitio elettronico, non più distinguibili da ologrammi, onde luminose o sintesi di voci.
Ciò che inquieta è che non vi sia alcuna istanza umana, né potrà mai esservi, a governare questo infinito dilagare di immagini e suoni. Tutto si svolge come se la tecnica fosse in procinto di diventare completamente autonoma, mischiando e aggrovigliando a proprio piacimento i tempi, le immagini, i ritmi, inghiottendoci in un grafico digitale di cui ignoriamo le regole e le eccezioni. Al punto che la nostra immagine è ridotta ad un’apparizione provvisoria dentro la grande macchina che ci ingloba, breve agitarsi di muscoli, di carne, di pensiero e di sangue che viene travolto dalla voragine degli schermi.
La tecnocultura
RSI Cultura 18.07.2024, 09:47
Ecco ciò che si nasconde dietro la rivoluzione digitale (tralasciando gli aspetti più ovvi, ma non meno inquietanti: come la sostituzione del lavoro umano con l'automazione, l'estinzione di numerose professioni, l'emorragia occupazionale). Con la digitalizzazione le operazioni meccaniche non necessitano di alcun contatto materiale o sensibile, bensì si realizzano per semplici interventi su dei codici: i suoni e le immagini che ci arrivano non rimandano più ad una sorgente o a un supporto materiale, ma a un messaggio astratto, cifrato.
Tutto viene trasformato in un dato numerico, anche noi esseri umani. Un dato da utilizzare secondo modalità di comunicazione assolutamente astratte ed autoreferenziali. Tre esempi: la televisione ha ormai soppiantato il primato dell’avvenimento con quello della trasmissione (in altre parole l’avvenimento è ormai diventato la trasmissione stessa mentre il dato referenziale è sostituito dall'elemento della performance); la pubblicità si è ormai sostituita all’oggetto che deve pubblicizzare mentre il cinema ha cessato di guardare la realtà, lavorando su immagini già di per sé cinematografiche, attingendo ad archivi digitali.
Insomma, il differito e il registrato stanno affondando il live e il contatto con la realtà sta diventando una sorta di accidente. Tanto che il live è spesso un finto live, un simulacro del simulacro.
E così, senza neanche accorgercene, le nostre concezioni del tempo e dello spazio subiscono un contraccolpo. Il virtuale, il riprodotto, il differito diventano più reali del reale. Il lontano diventa più vicino del vicino, di ciò che ci accade accanto. La durata non ha più alcun valore, soppiantata dall’intensità. È il trionfo dell’immateriale, che si fa portatore dei valori della velocità, della luminosità, delle vibrazioni. Il reale, con i suoi tempi lenti, le sue sedimentazioni, le sue irragionevolezze, poco addomesticabili, per nulla spettacolari, smette a poco a poco di sollecitarci. Le ombre, i simulacri, le copie assumono fattezza di realtà, segnando l’eclissi del soggetto.
E senza il soggetto viene meno anche l’etica, il rispetto, la responsabilità, l'ideazione, la libertà. Tutto diventa un numero, in nome del quale anche l’atrocità più immane risulta possibile, un semplice algoritmo fra gli altri.