Mercoledì 18 dicembre, alle ore 20:30, presso il Teatro Centro Sociale di Mendrisio sarà possibile assistere alla rappresentazione dello spettacolo Ilva Footbal Club. Una produzione Campo Teatrale nell’ambito del Festival di Narrazione di Arzo.
Originariamente nata come Italsider, l’Ilva di Taranto (questo è il nome con il quale è conosciuta ancora oggi) viene inaugurata nel 1964, ma la prima pietra è posta nel 1960. Dopo un’iniziale partecipazione satatale, l’acciaieria più grande d’Europa, simbolo del progresso industriale italiano, viene privatizzata negli anni Novanta e gestita dalla famiglia Riva nel suo periodo di massima produzione. Nel 2013, a seguito di gravi violazioni ambientali che portarono a gravi conseguenze sulla salute dei cittadini e delle cittadine di Taranto, l’Ilva fu posta sotto sequestro e commissariata dallo Stato italiano. La gestione passò successivamente ad ArcelorMittal e, più recentemente, ad Acciaierie d’Italia, con lo Stato italiano ancora proprietario. Nonostante oggi il gestore si chiami Acciaieria d’Italia, lo stabilimento gestito da custodi giudiziari in amministrazione straordinaria, continua a essere chiamato dai tarantini Ilva, un segnale di resilienza da parte di una popolazione che non vuole dimenticare ed è pronta a raccontare la propria storia.
La vicenda dell’Ilva di Taranto ha ispirato negli ultimi anni numerose opere artistiche che ne hanno raccontato l’impatto sulla città e i suoi abitanti.
Nel cinema troviamo l’esempio di “Palazzina Laf” (2023), film pluripiemato che segna il debutto alla regia di Michele Riondino. Ambientata negli anni Novanta, la pellicola racconta la storia di un giovane operaio impiegato nell’Ilva, che si scontra con il sistema oppressivo e alienante della fabbrica in cui le durissime condizioni di lavoro, la pressione psicologica e i ricatti sottili sono all’ordine del giorno. Tra turni massacranti e l’indifferenza dei superiori, il film esplora le tensioni tra il bisogno di sopravvivere, le ambizioni personali e il peso morale di far parte di un sistema che sacrifica vite umane e il territorio per la produzione industriale. Ma che luogo è la “palazzina Laf”? Si tratta di un edificio dove vengono confinati i lavoratori e le lavoratrici scomode, quelle persone che contestano l’operato dell’azienda, sindacalisti, chi non si adatta ai ritmi e alle regole oppressive della fabbrica. La “Palazzina Laf” dell’Ilva diventa simbolo di emarginazione e di esclusione, mentre sullo sfondo scorgiamo una Taranto ferita, dove lavoro e dignità sembrano essere opposti e inconciliabili.
Un’altra opera che ci offre uno spaccato della storia di Taranto e della sua connessione indissolubile con l’industria dell’acciaio è il romanzo “Ilva Football Club” di Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò. Anche in questo caso il libro narra le conseguenze dell’acciaieria Ilva, ma lo fa attraverso le vicende di una squadra di calcio amatoriale, la “Sidercalcio”, composta da operai dell’Ilva, che inseguono il sogno di sfidare le grandi squadre di calcio italiane, come l’Inter, in un’immaginaria finale di Coppa Italia. Ispirandosi a questa trama, che intreccia il mondo del lavoro in fabbrica con la passione per il calcio, nasce l’omonimo spettacolo teatrale creato da Usinebaug e Fratelli Maniglio, prodotto da Campo Teatrale di Milano. Lo spettacolo racconta la storia intima e personale di una “famiglia Ilva”, così la chiamano gli autori e interpreti. Una famiglia del quartiere Tamburi, che vive proprio all’ombra del centro siderurgico. All’Ilva alcuni di loro ci lavoravo e tutti quanti giocano a pallone nel campo da calcio adiacente, rotolandosi nelle polveri tossiche prodotte dal “mostro”, così viene chiamata nel quartiere la fabbrica.
Ilva football club
Laser 17.12.2024, 09:00
Contenuto audio
La narrazione è guidata da un presentatore di un programma sportivo che, abbattendo la quarta parete, tra aneddoti e telecronaca, racconta la storia della fantomatica Sidercalcio, ovvero l’Ilva football club. Una piccola squadra composta da operai che, un po’ per fortuna, un po’ per talento e tenacia, sorprende tutto il Paese facendosi strada tra le più grandi squadre di professionisti, fino ad arrivare alla finale di Coppa Italia. Questa storia racchiude la vita di molte famiglie di Taranto e allo stesso tempo la vita di tante famiglie di altre città del mondo, perché l’Ilva di Taranto è solo una delle tante zone di sacrificio, quelle zone che secondo i rapporti ONU (documenti ufficiali prodotti per monitorare, analizzare e valutare condizioni già esistenti) risultano sacrificabili in nome del progresso o della produzione di beni di consumo.
Alessandro Marescotti, docente e ambientalista, tra i fondatori di PeaceLink, un’associazione di volontariato che si occupa di temi ecopacifisti e che ha svolto un ruolo cruciale nel portare alla luce i danni dell’inquinamento causato dall’Ilva, fa notare che la “questione Ilva” non si limita ai problemi di salute pubblica e alla perdita di posti di lavoro, ma rappresenta una grave emergenza ambientale. Le emissioni di sostanze tossiche come diossina e benzopirene hanno contaminato l’aria, il suolo e le acque circostanti, danneggiando irreparabilmente l’ecosistema locale e l’agricoltura. L’inquinamento dell’area ha portato all’avvelenamento della catena alimentare e alla compromissione di intere filiere produttive. Inoltre, a inizio dicembre 2024, PeaceLink ha comunicato che recenti rilevazioni hanno evidenziato la presenza di cianuro e altre sostanze tossiche nell’area circostante l’impianto, sollevando preoccupazioni per la salute pubblica e l’ecosistema.
È evidente come l’Ilva di Taranto rappresenti un caso emblematico di come l’industria possa influenzare profondamente l’ambiente, l’economia e la cultura di una comunità. Le numerose opere artistiche ispirate a questa realtà testimoniano l’importanza di riflettere sulle conseguenze del progresso industriale e sulla necessità di trovare un equilibrio tra sviluppo economico e tutela della salute e dell’ambiente.
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