Società

Spazi rubati: dal manspreading ai turni di parola

Negli autobus e nelle riunioni: da sempre gli uomini occupano (anche) lo spazio delle donne. Questa pratica è quotidiana e normalizzata, e inizia fin dalla prima infanzia

  • Oggi, 12:07
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Di: Elena Panciera 

Classe universitaria, corso di filosofia: molte più studentesse che studenti. Eppure, alla fine le domande arrivano solamente da maschi. E hanno più la forma di piccole lezioni che di vere e proprie domande, tanto che il docente spesso chiede: «Mi scusi, qual è quindi la domanda?».

Cambio scena. Tavola rotonda di cinque persone: il moderatore, un relatore e tre relatrici. La scaletta prevede cinque minuti di introduzione del moderatore e dieci minuti per ogni intervento. Le tre donne rispettano i tempi al secondo, dopo un’introduzione del moderatore più lunga degli interventi, e l’uomo parla per il doppio del tempo previsto per lui.

Cambio scena. Classe di un master post-universitario, composta da giovani dai ventidue ai venticinque anni circa, a maggioranza femminile. Lavorano spesso in gruppi. Ad assumere il ruolo di portavoce è spesso l’unico maschio del gruppo, incoraggiato dalle compagne, che si schermiscono.

Questi aneddoti, solo alcuni di quelli che ho raccolto nel tempo, mi fanno sempre pensare al fenomeno del “manspreading”. Questa parola nasce dalla crasi di “man”, “uomo”, e “spread”, cioè “allargare”, e non ha un corrispettivo in italiano. Indica quando gli uomini siedono con le gambe larghe (e ogni tanto pure i gomiti) in spazi pubblici, occupando più spazio del necessario. Ne è stato un esempio illustre la cantante Annalisa, a febbraio 2024, fotografata durante una sfilata, letteralmente sommersa dai suoi due vicini (Federica Bandirali, Annalisa «schiacciata» tra due uomini alla sfilata: cos’è il manspreading e chi è stato scagionato, nel «Corriere della Sera», 2024). Ma il problema è annoso, come possiamo rilevare dalla raccolta di immagini di manspreading collezionata sul «Guardian» (Dude it’s rude: manspreading around the world – in pictures, 2017): ci sono vignette che risalgono alla metà del novecento.

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Negli ultimi anni sono state realizzate diverse campagne di sensibilizzazione, come quella promossa dalla Metropolitan Transportation Authority (MTA) di New York, o da EMT, l’azienda di trasporti pubblici di Madrid, nel 2017. Sono state promosse da organizzazioni femministe, che hanno rilevato il problema e anche le implicazioni violente legate al contatto fisico forzato imposto da chi allarga le gambe a chi gli sta vicino.

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Questo fenomeno non riguarda però solo lo spazio fisico, ma riflette un problema culturale più ampio. Il manspreading non è “semplice maleducazione”: è la rappresentazione visibile di una dinamica di potere. Gli uomini si appropriano sistematicamente dello spazio, pubblico e professionale, reale e simbolico, relegando di conseguenza le donne a pose e ruoli più contenuti e marginali. Non sono solo sedili della metro, ma spazi di parola, opportunità e visibilità a essere letteralmente rubate.

L’appropriazione dello spazio, fisico e simbolico, è uno dei mezzi attraverso cui si perpetua una narrazione che ha un punto di vista largamente predominante: quello maschile.

La responsabilità del fenomeno non è però solamente maschile: viviamo in una società in cui i ruoli di genere influenzano pesantemente ogni nostro comportamento, dall’occupazione dello spazio ai turni di parola, fin dalla più giovane età. La pedagogista Alessia Dulbecco spiega: «Le bambine vengono invitate a giochi tendenzialmente più solitari, che replicano situazioni familiari (cucinare, vestirsi o vestire le bambole, prendersi cura di peluche, ecc.), mentre ai bambini si concede molto più spazio, sia fisico – sovente sono invitati a muoversi e interagire, occupando l’ambiente anche simbolicamente – che immaginativo (ad esempio rappresentandosi in situazioni fittizie come battaglie, combattimenti, ecc)» (Si è sempre fatto così! Spunti per una pedagogia di genere, Tlon, 2023).

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Questa dinamica, in contesti lavorativi e scolastici, si traduce in portavoce uomini, speaker uomini, riunioni dominate da uomini che sono i primi (e spesso gli unici) a fare domande, interrompono, non rispettano tempi né turni di parola, e spesso fanno lunghe lezioni a donne in silente ascolto. La linguista Deborah Tannen ha studiato per anni gli stili di conversazione di donne e uomini. Racconta: «Se parlo del tipo di lavoro che svolgo con le donne, di solito mi chiedono spiegazioni. Quando parlo loro dello stile di conversazione o delle differenze di genere, offrono le loro esperienze a sostegno dei modelli che descrivo. [...] Ma quando parlo del mio lavoro agli uomini, molti mi fanno una lezione sul linguaggio, per esempio su come le persone, soprattutto gli adolescenti, usano male il linguaggio al giorno d’oggi. Altri mi mettono alla prova, per esempio interrogandomi sui miei metodi di ricerca. Molti altri cambiano argomento per passare a qualcosa di cui sono più esperti» (You Just Don’t Understand. Women and Men in Conversation, Harper Collins, 2013; traduzione mia).

Dei tre episodi che ho raccontato all’inizio sono stata protagonista o testimone, in diversi momenti della mia vita. Così come di infiniti casi di manspreading. Pochi uomini riconoscono queste invasioni dello spazio, fisico e simbolico. Per questo bisogna ripensare i ruoli di genere e riconoscere quanto lo spazio sia una risorsa che va condivisa equamente. Educare al rispetto e alla consapevolezza fin dalla prima infanzia non è solo necessario, ma fondamentale per costruire una società più giusta, in cui nessuna persona debba lottare per conquistare lo spazio che gli spetta di diritto.

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Patriarcato e violenza di genere

Laser 12.03.2024, 09:00

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