Letteratura

Il Cairo dell’innocenza perduta

“Il nostro quartiere” di Nagib Mahfuz ci porta il ritratto di un Cairo popolare e ancora totalmente innocente dominato da Dio, dall’amore e dal desiderio di denaro 

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Di: Marco Alloni 

Il romanzo «a racconti» Il nostro quartiere di Nagib Mahfuz continua a svelare le sue perle a distanza di molti anni. Circa vent’anni fa esso mi si era rivelato soprattutto come un fondamentale contributo alla conoscenza sociologica del Cairo e degli egiziani. Oggi, malgrado di tale conoscenza non abbia più necessità – frequento la capitale da quasi un trentennio – mi mostra tuttavia ancora le sue primizie. A dimostrazione che la grande letteratura non si esaurisce nelle sue trame e tantomeno nei suoi contenuti.

Cosa mi insegna oggi questo singolare, frammentario eppure unitario libro «a racconti»? Innanzitutto che a dominare l’Egitto sono da sempre tre grandi ossessioni: Dio, l’amore, il denaro. Le brevi «storie» (massimo due pagine l’una) che si assommano in questo ritratto del quartiere dove Mahfuz visse per gran parte dell’esistenza – Al Gamaleya, vicino al mercato di Khan Al Khalili – sono infatti quasi tutte improntate a questi tre «demoni»: a volte intrecciandosi tra loro, a volte proponendosi in questa o quella combinazione (amore/denaro, Dio/amore, denaro/Dio) e a volte rivelandosi in maniera autonoma (amore, Dio o denaro).

Un Dio, un amore e un denaro che hanno tuttavia dalla propria una sorta di innocenza fondativa, quasi che né il primo né il secondo né il terzo avessero ancora conosciuto le aberrazioni della Modernità.

Cosa connota il Dio del «quartiere», dei poveri che lo abitano, sempre in cerca di denaro e amore? Questo aspetto del libro mi sembra particolarmente significativo: Dio non è dogma, non è dottrina, non è religione in senso passivo, bensì in primo luogo fede e visione del mondo. I personaggi che abitano Al Gamaliya – e sfido a trovare un romanzo con una così sconfinata quantità di ritratti indimenticabili – accompagnano qualunque delle loro vicende, in un modo o nell’altro, sempre evocando e invocando Dio. Egli, Allah, è ovunque: nelle benedizioni e nelle maledizioni, nel bene e nel male, nei dialoghi e nelle meditazioni, negli enigmi e nella giustizia. E sempre, immancabilmente, Egli è orizzonte ultimo di ogni esistenza: sia che all’imperscrutabilità delle Sue decisioni si rimandi il pensiero e la speranza quando nulla sembra comprensibile, sia che vita e morte accadano sotto la Sua benedezione, sia che qualcuno incontri la buona sorte o precipiti viceversa nella cattiva.

Così siamo al cospetto di un Dio che non si staglia al di là dell’esistenza ma ne è la luce recondita, l’unica in grado di conferirle senso e ordine. Un mondo, quello di Mahfuz, in cui l’umano è dunque perpetuamente divinizzato, toccato dallo sguardo e dall’azione di Dio, e in cui Dio è perpetuamente umanizzato, o perlomeno trasferito attimo dopo attimo, accadimento dopo accadimento, gesto dopo gesto, dentro le vicende umane.

E queste vicende obbediscono, appunto, all’amore e al denaro. Mahfuz, raccontandoci, nel suo realismo poetico, la vita dei suoi personaggi – così reali da sembrare quasi irreali – lo dice senza mai dichiararlo: amore e denaro sono le uniche grandi occasioni in cui la vita può mutare nel profondo. Senza amore e senza denaro tutto ricade nella malinconia dell’identico, diremmo nella depressione della fatalità. Ma ecco che qua e là – forse più spesso di quanto accada in altri contesti – uno o l’altro o entrambi questi prodigi dell’inatteso compaiono nella vita dei poveri cairoti e allora tutto si illumina o si rabbuia per sempre. Se trovi l’amore o la sposa che ti corrisponde, sei l’uomo più felice del mondo. Se trovi la donna che ti fa soffrire o l’uomo che ti abbandona, ti tradisce o delude, sei la persona più sciagurata del mondo.

Lo stesso vale per il denaro. Se sei povero, se sei totalmente povero, non puoi nemmeno permetterti un matrimonio: vivrai nella deprivazione, nell’ostracismo e nella derisione. Ma se per qualsiasi ragione trovi l’occasione di diventare almeno minimamente agiato, allora la luce della felicità discenderà su di te.

C’è dunque, nel Nostro quartiere di Mahfuz, questo sottofondo di innocenza, di primordialità, di essenzialità che rende bello tutto ciò che la Modernità ha reso in larga misura brutto o materialistico. A partire da Dio, che vive a tale segno nel quotidiano di queste vite deprivate di privilegio da renderle per così dire più ricche di qualsiasi esistenza benedetta dall’agio. Ma lo stesso vale per il denaro, che in un certo senso è come se conservasse il suo valore primigenio: quello di conservare, al di qua di qualsiasi inutile speculazione o accumulo finanziario, il suo valore essenziale, la sua forza di elevazione sociale (una casa decente, cibo abbondante, la possibilità di studiare ecc.). E lo stesso naturalmente per l’amore, che non è solo spirituale ma carnale, non solo sentimentale ma anche fisico. Sempre, però, in una dimensione dell’esistenza di intatta innocenza, in cui si ama davvero totalmente, si desidera davvero con l’ardimento e la brama di primitivi, si sogna davvero con il romanticismo dei poeti e dei bambini. Non solo per accasarsi, ma perché nell’amore, come nel denaro e come in Dio, è il grande riscatto dai patimenti e dalla sofferenza.

E quando di tutto si è privi, Dio, denaro e amore sono davvero le grandi benedizioni.

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