Letteratura

Fenomeno Tolkien

A 70 anni da “Il Signore degli anelli”, l’universo tolkeniano ci appare molto più che un fantasy, e interroga questioni fondamentali sulla nostra stessa umanità: la morte, il potere, il rapporto con la natura

  • Ieri, 09:03
J. R. R. Tolkien
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Di: Yari Bernasconi 

Settanta anni fa uscì il capolavoro fantasy di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), Il Signore degli Anelli, o meglio la sua ultima parte, poiché la pubblicazione della cosiddetta trilogia era già iniziata nel 1954. Un’opera che oggi siamo quasi in difficoltà a collocare all’interno di una prospettiva storico-letteraria, tante sono le propaggini – più o meno commerciali – che l’hanno resa vero e proprio fenomeno socio-culturale del nostro tempo, oltre che uno dei libri più venduti della storia. Eppure, facendo due passi indietro, si dovette attendere alcuni anni perché Il Signore degli Anelli raggiungesse un certo successo editoriale – negli Stati Uniti e in Europa – e perché l’influenza culturale della Terra di Mezzo, il territorio in cui si svolge la narrazione, cominciasse a ramificarsi e radicarsi (si pensi al gioco di ruolo Dungeons & Dragons, nella seconda metà degli anni ’70). Certo è che il definitivo salto nell’immaginario collettivo globale è indubitabilmente legato a un adattamento, o se vogliamo una “rilettura”, e cioè la trilogia cinematografica diretta da Peter Jackson, uscita fra il 2001 e il 2003, che ha offerto una nuova e clamorosa visibilità all’opera di Tolkien. È insomma con l’inizio del nuovo millennio che la Terra di Mezzo e i suoi eroi diventano quel fenomeno che oggi conosciamo e abbraccia, al di là dei libri, tutti i supporti, le pratiche e i media culturali immaginabili (non di rado all’insegna del merchandising): videogiochi, musica, serie TV, teatro, giochi di società eccetera.

D’altra parte, Tolkien non è soltanto il creatore de Il Signore degli Anelli o de Lo Hobbit, il romanzo per ragazze e ragazzi nato – semplificando un po’ – dalle storie che lo stesso autore raccontava ai suoi figli, che uscì quasi venti anni prima, nel 1937, e già si svolgeva nella Terra di Mezzo. È forse qui che risiede uno dei più vertiginosi e affascinanti elementi della sua opera: la diversità, la ricchezza e la profondità. Grazie all’immenso lavoro filologico di Christopher Tolkien, infatti, accanto alle due vene narrative rappresentate da Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli è stato presto possibile accedere a un’imponente e impressionante serie di testi rimasti inediti fino alla morte dello scrittore, in parte convogliati nel 1977 nel postumo Il Silmarillion, e a cui sono seguite altre pubblicazioni, fra cui va citata la monumentale Storia della Terra di Mezzo, in dodici volumi, presto disponibile anche integralmente in italiano. Testi che ricostruiscono la storia di Arda, il mondo all’interno del quale si trova la Terra di Mezzo, attraverso una propria mitologia. Parlare di John Ronald Reuel Tolkien significa quindi confrontarsi con almeno tre universi letterari distinti (il racconto per ragazzi, il romanzo d’avventura epico e la narrazione mitologica), all’interno dei quali si nota pure una notevole varietà stilistica (dalla poesia alla filastrocca, dal registro aulico a quello popolare, dal timbro epico a quello spiritoso), uniti però da una coerenza e di riflesso una credibilità stupefacenti.

Le ragioni che hanno reso l’universo di Tolkien un fenomeno socio-culturale globale sono molteplici e difficilmente definibili. È sicuro però che non si possono ascrivere alla mera dimensione commerciale. La necessità di raccontare e farsi raccontare, da sempre così presente negli esseri umani, indipendentemente da linguaggi e supporti, sembra confermare quello che molte tolkeniane e molti tolkeniani sostengono da tempo: Il Signore degli Anelli, così come le altre opere di Tolkien, non sono una semplice distrazione o evasione. In quel mondo fantasy, dove cioè l’elemento magico è dato per acquisito, troviamo interrogativi fondamentali sulla nostra stessa umanità: sulla morte, sul potere, sul rapporto con la natura... Noi lettrici e lettori che – come Tolkien – tanto assomigliamo agli hobbit, la razza apparentemente più banale della Terra di Mezzo, che si trova di colpo sotto le luci della ribalta con tutte le sue contraddizioni, e ancora i sogni, le paure, i desideri. Forse è anche per questo che Il Signore degli Anelli può considerarsi un classico: perché ha settant’anni, ma potrebbe averne uno, cento, mille. Cambierebbe poco o nulla.

Dossier: “Fuori e dentro Tolkien”

  • J.R.R. Tolkien e il fantasy (1./5)

    Alphaville 10.03.2025, 12:05

    • Yari Bernasconi
  • In una buca nel terreno viveva uno hobbit (2./5)

    Alphaville 11.03.2025, 12:05

    • Yari Bernasconi
  • Tradurre “Il Signore degli Anelli (3./5)

    Alphaville 12.03.2025, 12:05

    • Yari Bernasconi
  • L’immaginario visivo della Terra di Mezzo (4./5)

    Alphaville 13.03.2025, 12:05

    • Yari Bernasconi
  • Le opere postume (5./5)

    Alphaville 14.03.2025, 12:05

    • Yari Bernasconi

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