Irene Solà, Ti ho dato gli occhi e hai visto le tenebre, Mondadori 2024
Dopo il grande successo di pubblico e critica ottenuto col suo secondo romanzo Io canto e la montagna balla (vincitore del premio dell’Unione europea per la letteratura), Irene Solà torna a stupire i suoi lettori con un romanzo breve e densissimo, sensuale e disturbante, che attinge a piene mani al folklore catalano per raccontare la storia di una famiglia che ha stretto un patto col diavolo e che continua, generazione dopo generazione, a pagarne il prezzo.
Ci troviamo sui Pirenei, in un casolare sperduto tra i boschi chiamato Mas Clavell: in questa stamberga che somiglia a un’enorme bocca putrescente – l’entrata umida «come una gola», il pavimento ruvido come «una lingua logora» – abita Bernadeta, una donna ormai anziana e in fin di vita. Bernadeta sa bene che ad attenderla non c’è il Paradiso, ma la dannazione: sin dalla più giovane età è stata l’amante del demonio che – col suo corpo cangiante e mutevole, con le sue sembianze di toro e di gatto e di gallo e di uomo – le ha permesso di salvarsi da una solitudine abissale. Ora, nel suo letto di morte, la donna attende il ritorno del Diavolo e non è sola in quest’attesa. Al piano di sotto, infatti, una cerchia di donne «lerce e ripugnanti» sta allestendo un banchetto a base di capretto: si tratta delle antenate di Bernadeta, madri e figlie ormai defunte. Mentre assistiamo alla preparazione di trippa e frittelle di sangue, veniamo a conoscenza della storia di ognuna di loro, a partire dalla capostipite Joana, che strinse per prima un patto col Diavolo perché lui le trovasse un marito e cercò in seguito di ingannarlo. Ma ingannare il Diavolo non è possibile, e così a ogni discendente di Joana sarebbe mancato un pezzo: a Margarida un quarto di cuore, a Blanca la lingua, a Esperança il fegato, a Bernadeta le ciglia, a Marta la memoria, ad Angela il dolore.
Se gli uomini della stirpe hanno sempre finito con l’allontanarsi da Mas Clavell – che si trattasse di briganti, di disertori, di bambini troppo fragili o di stupratori – il destino delle donne di quella famiglia sembra essere invece quello di restare, persino oltre la morte: «Voi donne vi tenete strette ai luoghi», dice il marito di Margarida, «Vi ci legate come cani. Al passato, alle case, ai bambini, alle cose». Eppure, saranno proprio le donne a dimostrare di saper fronteggiare insieme l’oscurità dell’esistenza, di saper proteggere col silenzio, con la vicinanza e col loro stesso dolore il mistero insondabile della vita e della morte. Saranno queste madri e queste figlie, per quanto abiette e deviate e perverse, a vedere il Diavolo per quello che è, né buono, né cattivo, né giusto, né ingiusto – un essere malinconico e solo.
Lo stile di Irene Solà, barocco e onirico, incanta per il suo ritmo e la sua ricchezza espressiva. Come un dipinto di Hieronymus Bosch, Ti ho dato gli occhi e hai visto le tenebre ha la capacità di trasportarci in un mondo altro in cui erotismo e orrore, visionarietà e grottesco convivono per regalarci un’opera dallo strabiliante potere evocativo che è anche un omaggio alla vasta tradizione di storie e leggende della Catalogna.
“Ti ho dato gli occhi e hai visto le tenebre” di Irene Solà
Mirador 29.03.2025, 14:35
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