Ci sono artisti che hanno avuto una sola vita in jazz, magari breve, troppo breve. Wayne Shorter ne ha avute, tre, quattro, cinque, e tutte ad alto livello: come profeta dell'hard bop con i Jazz Messengers, come nobile principe al seguito di Sua Maestà Miles Davis nel “secondo grande quintetto”, fondatore dei Weather Report e pioniere di jazz rock e poi, negli anni maturi, maestro di nostalgie con i VSOP dell'amico Hancock e artigiano di musica acustica, coniugando il vecchio e il nuovo, mettendo la sua esperienza a disposizione delle generazioni più giovani. E pensare che aveva cominciato relativamente tardi; la sua prima stagione professionistica fu il 1958, quando aveva già venticinque anni, e il primo album come leader, Introducing Wayne Shorter, uscì due anni dopo. Non impiegò molto a recuperare tuttavia, e con che risultati: una discografia monumentale, apprezzamenti unanimi, pagine e pagine di suo pugno che hanno fatto la storia della musica americana del Novecento. E anche come sideman la sua ombra è lunghissima e si estende oltre i confini del jazz: sono ben dieci gli album di Joni Mitchell in cui compare il suo sax, e numerose le avventure con Carlos Santana nel corso dei decenni, per tacere dei vari cammei per Rolling Stones, Don Henley, Pino Daniele.
Le varie vite hanno avuto ritmi molto diversi fra loro. Gli anni giovani sono scanditi da un metronomo pazzo, che comincia a battere nel 1959, anno dell'ingresso nei Jazz Messengers, e non rallenterà fino al 1985, quando con This Is This! termina l'avventura dei Weather Report: un quindicennio segnato da una fittissima agenda di concerti in tutto il mondo e di album a cadenza regolare. Al centro di questo uragano creativo i due anni scarsi da Night Dreamer a Adam's Apple, 1964-1966, con l'enormità di sette LP solistici per la Blue Note più il lavoro non certo di riposo con il quintetto guidato da Miles.
Dopo però inizia un'altra danza. Più che stanco per la formidabile attività degli anni precedenti, Shorter è deluso dal mondo discografico e anche da certi suoi compagni di musica. Ha il cuore infranto per la morte dell'amatissima figlia Iska, nel 1984, e il dolore si farà atroce alla metà degli anni '90, quando in un incidente aereo perderanno la vita la seconda moglie Ana Maria e la nipote Dalila. Per quello, oltre che per l'inevitabile vecchiaia e la fragile salute dei polmoni, Shorter dirada l'attività e si fa vedere in studio solo in certe specialissime occasioni. Per offrire al pubblico sette album della sua maturità non impiega più ventidue mesi ma la bellezza di ventisette anni: tale è la distanza da Phantom Navigator, 1986, il primo CD oltre le colonne d'Ercole dei Weather Report, e Without A Net, il disco del 2013 che oggi contiamo come penultimo della discografia. L'ultimo è Emanom, 2018, un live + studio che nella edizione deluxe comprende una graphic novel ideata dallo stesso artista; segno della inesauribile fantasia di Shorter e del desiderio di rifinire originalmente ogni sua opera.
La sintesi migliore l'hanno fornita i responsabili del Polar Music Prize, l'equivalente musicale del Premio Nobel, assegnato ogni anno dall'Accademia Reale di Svezia. “Senza le esplorazioni musicali di questo artista,” hanno scritto nella motivazione del premio, assegnato a Wayne Shorter nel febbraio 2017, “la musica moderna non sarebbe stata in grado di scavare così in profondità”. Questa immagine dello “scavo” è perfetta per Shorter, uomo taciturno che ha sempre amato parlare per metafore e paradossi; e una delle sue metafore preferite riguarda proprio la musica e la sua capacità di ricercare nel profondo nientemeno che “la saggezza”. Shorter cominciò a suonare jazz senza troppi pensieri quand'era ragazzo ma negli anni ha maturato una più ricca consapevolezza, grazie anche al Buddismo Nichiren di cui è stato seguace per mezzo secolo. È bene ricordarlo valutando l'immenso repertorio accumulato nel tempo: non semplici dischi, non prodotti commerciali anche se vendutissimi, bensì modi di cercarsi e scoprirsi, e di illustrare la propria coscienza.