1984, iniziamo con la data che diede il titolo al celebre capolavoro distopico di George Orwell, che guarda caso corrisponde proprio all’inizio dell’epopea televisiva di Silvio Berlusconi. Proprio in quella data, infatti, il Presidente del Consiglio italiano Bettino Craxi, con un controverso decreto di legge stabilisce che sì, le emittenti televisive di proprietà del Cavaliere avrebbero potuto trasmettere su tutto il territorio nazionale, inaugurando di fatto il duopolio Rai/Mediaset (all’epoca Fininvest) che ha contraddistinto il mondo dello spettacolo in Italia per più di 20 anni.
Già perché prima del Presidente del Milan, prima del politico, Berlusconi in Italia è stato il patron della tv commerciale. Capace di strappare alla Rai presentatori iconici (come Mike Bongiorno, Raffaella Carrà, Maurizio Costanzo, Corrado, Pippo Baudo), capace di raddoppiare il tempo che gli italiani trascorrevano davanti alla televisione, tutto ovviamente a favore degli inserzionisti pubblicitari che per quel tempo pagarono cifre impensabili per quegli anni.
Quel che oggi può apparire piuttosto pacchiano, negli anni ’80 e ’90 fu una vera e propria rivoluzione del mondo dello spettacolo. Dai tempi lenti, compassati, in “bianco e nero” della Rai, per la prima volta il pubblico si trovava sul piccolo schermo quiz, colori, soubrette, programmi interrotti da spot pubblicitari. Luci, colori, distrazioni e una buona dose di annichilimento della ragione come ebbe modo di dire Aldo Grasso. E Berlusconi ne curava (davvero in prima persona nei primi anni) ogni dettaglio, dalle inquadrature alla raccolta pubblicitaria, dalla scelta dei protagonisti fino ai set dei programmi.
Berlusconi fu anche il primo a intuire che il pubblico andava letteralmente segmentato. Così creò un’emittente per adulti e famiglie (Canale5), una per il pubblico anziano (Rete4) e un canale che ha catturato intere generazioni di giovani negli anni ’80 e ’90: l’iconica, strillante e per l’epoca dirompente Italia1. Dove la Rai suggeriva e bisbigliava, Mediaset imponeva e urlava. E (incredibilmente?) questo aspetto fu il segreto del suo successo.
Quello di Berlusconi, è bene sottolinearlo, era un modello televisivo fortemente orientato all’occhio maschile(ista) in cui il ruolo delle donne era perlopiù relegato a quello di soubrette, velina, letterina... Un’oggettivazione del corpo femminile, svestito, in senso metaforico e letterale, che da “Drive In” a “Striscia la Notizia”, passando per “Non è la RAI”, ha influito negativamente su generazioni di ragazze, andando a imporre canoni distorti di bellezza e appar(isc)enza. Distorto era anche il modello di donna brava casalinga e mamma, portato avanti con una certa compiacenza in trasmissioni e spot pubblicitari.
Bisogna però ammettere che la tv di Berlusconi ha dettato per decenni gusti e trend dei ragazzi dell’epoca. Un esempio lampante furono i primi cartoni animati giapponesi sbarcati in Italia - trasmessi all’interno di BimBumBam - con Holly e Benji e in tempi più recenti Dragon Ball in prima fila. Ma Mediaset si contraddistinse anche per le seguitissime trasmissioni musicali come DeejayTelevision (trampolino di lancio per Jerry Scotti) o Superclassifica Show, per i tentativi (a volte riusciti, altre molto meno) di inventare strambi mix di infotainment (da Le Iene a Lucignolo), per i programmi sportivi che proponevano nuovi format tra il serio e il faceto, tra l’istrionico e l’isterico, pescando a piene mani da personaggi lanciati dalle tv regionali, fino ad arrivare alle grandi intuizioni di acquistare i diritti di telefilm che hanno segnato la storia della fiction televisiva anni ’80 e ’90: Twin Peaks, X-Files e Beverly Hills 90210 (che fu un fenomeno generazionale gigantesco) in primis.
Su diversi aspetti della società contemporanea si può ancora oggi notare l’impatto culturale del berlusconismo televisivo che per primo ha messo l’intrattenimento puro al centro dei palinsesti, che è riuscito a spostare la televisione dai salotti degli italiani e l’ha fatta entrare nelle camere da letto e nelle cucine, che ha fatto dello spettacolo, nel senso più lato possibile, il suo vero (e in un qualche modo unico) marchio di fabbrica.
Una rivoluzione culturale che è facile guardare con un occhio critico ma che ha rappresentato un’innegabile cambiamento dei costume (ma anche dei modelli e degli introiti economici) per l’epoca. Una rivoluzione fatta di intuizioni (anche, perché no, brillanti), ma soprattutto contraddistinta da molti chiaroscuri, visto che l’interesse per l’audience sorpassò nettamente e progressivamente l’attenzione alla qualità e all'aspetto innovativo, sdoganando definitivamente diversi (troppi) esempi di quella che non a caso sarebbe diventata sinonimo di televisione spazzatura.