Una premessa: io sono una persona bianca. Ho scritto questo articolo come azione di alleanza nei confronti della comunità afro, perché credo sia mia responsabilità usare il mio spazio e la mia voce per provare a cambiare le cose e allargare la prospettiva.
Il Black History Month (“mese della Storia Nera”) è un periodo in cui si ricordano e celebrano la storia, la cultura e i contributi delle persone afrodiscendenti. Nel 1926, quasi un secolo fa, negli Stati Uniti è stata istituita una settimana di sensibilizzazione e celebrazioni. Nel 1976 l’allora presidente Gerald Ford ha allungato le celebrazioni a un intero mese, istituendo il Black History Month. A seconda del Paese, la Storia Nera viene ricordata in febbraio e ottobre.
Oggi questa è una ricorrenza sempre più sentita anche in Europa, grazie al lavoro di comunicazione e informazione svolto da afrodiscendenti di ogni età, genere, provenienza.
Persone nate e cresciute in italia, ma di ascendenza africana, ricercano nel passato proprio, della propria famiglia e del popolo da cui provengono. Giornalisti, scrittrici, attiviste, comunicatori che vogliono ricostruire e raccontare la propria storia. Una storia che per la prima volta non ha il punto di vista delle persone bianche. Di chi ha invaso, colonizzato, controllato e saccheggiato un intero continente per secoli, e continua a farlo ancora oggi, con nuove forme di colonialismo economico e politico.
La scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ci mette in guardia dai “pericoli di una storia unica”, e ci parla dell’importanza della rappresentazione, in libri e film, fin dall’infanzia. Arrivata negli Stati Uniti, a diciannove anni, racconta: «La mia coinquilina aveva una storia unica dell’Africa. Una storia unica di catastrofi. In questa storia unica, non c’era alcuna possibilità che gli africani le somigliassero, in alcun modo. Nessuna possibilità di sentimenti più complessi della pietà. Nessuna possibilità di rapportarsi tra esseri umani di pari livello».
Io a scuola ho studiato, come probabilmente la maggior parte di chi mi legge, la storia di Cristoforo Colombo che ha “scoperto l’America”. Ho studiato la storia dei missionari che hanno “diffuso il cristianesimo in luoghi selvaggi”. Ho studiato la storia coloniale italiana che però “in fondo non è mica stata così cruenta e violenta come quella britannica o portoghese, in fondo gli italiani erano bravi”.
Ho dovuto diventare adulta, e intraprendere un percorso autonomo di studio e consapevolezza, per capire che Cristoforo Colombo ha dato origine a uno dei genocidi più devastanti della storia umana. Che i missionari hanno distrutto intere popolazioni e intere culture, con una violenza fisica e una strategia politica inaudite. Che la narrazione che facciamo del colonialismo italiano è falsa e fuorviante, e che ci sono stati massacri come quello di Amba Aradan, altopiano dell’Etiopia, presso cui le forze italiane fecero una strage di civili, nel 1936. Da questo toponimo è nata l’espressione “ambaradan”, a indicare “confusione, baraonda”: pensateci, la prossima volta che vi viene da usarla.
E intanto, in Italia e nel mondo ci sono monumenti, statue, vie dedicate a Cristoforo Colombo, Cecil Rhodes, Leopoldo II del Belgio, Winston Churchill, Theodore Roosevelt, Indro Montanelli. Indro Montanelli, a cui è intitolato uno dei più importanti parchi di Milano. Indro Montanelli, convinto colonialista e sostenitore fino alla fine della sua vita del “madamato”, la pratica di concubinato di un colonizzatore italiano con una bambina africana, di cui aveva usufruito in gioventù (Antonio M. Morone, Montanelli, le colonie e i nostri neri, in “Il Mulino”, 2020).
È necessario che le persone bianche si assumano la responsabilità delle vicende coloniali, ne compiano una rilettura e una riscrittura e promuovano azioni per riconoscere e ricordare le vittime del colonialismo. Ma c’è bisogno anche di una pars construens: integrare il racconto tradizionale del continente africano, della Storia e delle storie di cui sono protagoniste persone africane e afrodiscendenti. Storie di orgoglio, conquiste scientifiche e sportive, traguardi intellettuali e imprenditoriali, che contribuiscono a formare una coscienza e un orgoglio collettivi tra persone di origine africana che vivono in Europa, per esempio. È l’attività di ricerca e comunicazione che compie l’associazione We Africans United, fondata dalla giornalista Sarah Kamsu, che mi ha aiutato ad avvicinarmi a questi temi da questa prospettiva, positiva e costruttiva, non vittimistica.
L’attività di ricerca e studio di persone africane e afrodiscendenti in Europa sono state e sono fondamentali per non avere una “storia unica”. Marilena Umuhoza Delli, scrittrice, giornalista, attivista e ricercatrice italo-ruandese, ha recentemente pubblicato Storia vera dell’Italia nera, adatto dai 10 anni in su (Piemme, 2024): una raccolta di biografie di figure di origine africana che hanno contribuito alla storia dell’Italia.
La storia di Menen Abegasc, partigiana, da Storia vera dell’Italia nera:
Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala, è una figura fondamentale nella costruzione di un nuovo immaginario in Paesi italofoni attraverso la sua attività di romanziera, curatrice letteraria e giornalista, iniziata più di vent’anni fa. Espérance Hakuzwimana, italiana nata in Ruanda, è scrittrice e attivista culturale autrice di diversi romanzi e saggi in cui racconta storie di persone afrodiscendenti, a partire dalla propria. Djara Kan, scrittrice, femminista e attivista culturale italo-ghanese, ha scritto due libri e collabora con diverse testate giornalistiche. Abi Kobe Zar è un avvocato e attivista italo-ghanese, autore di un romanzo semiautobiografico in cui racconta la storia di una persona nera all’interno di un paese bianco.
Oltre a non avere una “storia unica”, è altrettanto importante non avere una “prospettiva unica”. Sono numerose le figure BIPOC (acronimo che sta per “Black, Indigenous, People of Color”) attive nel giornalismo e nella comunicazione, come ricorda Adil Mauro, giornalista nato a Roma da padre italiano e madre somala, nell’articolo Ascolta la loro voce: le comunicatrici BIPOC e la sfida della rappresentazione (in “Vogue”, 2025).
La stanza di Adil, il podcast del giornalista Adil Mauro:
Tra quelle che seguo con maggiore interesse c’è Shata Diallo, giornalista, consulente e ricercatrice nata in una famiglia interculturale, che ha una rubrica sui temi della diversità e l’inclusione su Il Sole 24 Ore.
Mi auguro che queste figure siano sempre più numerose e seguite. E mi auguro anche che l’anno prossimo, a parlare di Black History Month, qui, ci sarà una giornalista o un giornalista di origine africana.
Black History Month 2020
Diderot 13.02.2020, 17:40
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