Tutti bugiardi, fin dalla nascita. E ne diciamo di tutti i colori, come ci spiegano gli esperti: dalle bugie bianche, dette innocentemente, magari per non offendere il nostro interlocutore, «cogliendo empaticamente ciò che può far piacere all’altro» (la cena è sempre squisita, anche se è indigesta), a quelle nere, dette per ingannare l’altro, per conquistarne la fiducia così da utilizzarla a proprio vantaggio. Come avviene spesso in politica, in guerra o sui social media. Senza dimenticare le bugie blu, che servono a rafforzare l’identità sociale e creare una coesione di gruppo come succede nei team sportivi. Fino a quelle, più frequenti, frutto di autoinganno: quelle che ci raccontiamo perché non riusciamo a guardare in faccia le verità che ci riguardano. Quale ne sia il colore o l’obiettivo – difenderci, attaccare, giocare, ingannare l’altro o auto-ingannarci, celare, conquistare, entrare nella mente altrui, non deludere, manipolare, proteggere – delle menzogne proprio non possiamo fare a meno.
Bugie contro verità
Strada regina 22.01.2022, 18:35
E non potrebbe essere diversamente. Il mentire è parte integrante dell’agire e del pensare umano, al di là di ogni considerazione etica o morale. Il pensiero bugiardo è infatti la prima forma di pensiero della nostra mente. Un pensiero di cui successivamente dovremo (o per meglio dire, dovremmo) liberarci, per riconoscere la verità.
Mentire è una delle attività cognitive più complesse e importanti per l’essere umano: riveste infatti un ruolo centrale nella costruzione del sé e del mondo. Per di più, dire bugie è più complicato che dire la verità. Ma allora, a fronte di un tale dispendio energetico, perché lo facciamo? È quello che si domanda fin dal titolo – Perché mentiamo. Cosa nascondono le bugie?, Cortina editore – un recente, godibilissimo saggio dello psicanalista Alberto Siracusano, direttore della scuola di specializzazione in Psichiatria e del dipartimento di Medicina dei sistemi dell’Università di Roma Tor Vergata.
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Muovendosi tra letteratura, storia e scienze della mente, e sulla scorta dei tanti casi incontrati nel corso della professione, Siracusano prende in esame i tantissimi aspetti –evolutivi, psicologici, sociali, culturali, antropologici, etici, morali, neuroscientifici – che compongono il complesso mosaico della bugia, fino ad addentrarsi nell’analisi delle dinamiche che si innescano sui social media.
Un affascinante percorso nei tanti dedali, spesso oscuri, che compongono il labirinto della menzogna, a partire dalla loro funzione adattativa ed evolutiva. Le bugie, scrive Siracusano, «ci permettono di difenderci da un pericolo o da qualcosa che viviamo come tale. Nel mondo animale, le bugie facilitano la sopravvivenza: permettono di mimetizzarsi, cambiare forme e colore come un polpo, fingere di essere ciò che non si è, una foglia o un ramo, come fanno alcune forme viventi. La capacità di ingannare il nemico è un aiuto indispensabile per non soccombere».
E dunque, la bugia fa davvero parte della nostra natura. Come si evince anche dagli studi neuroscientifici, nel cervello esistono veri e propri circuiti neurali della menzogna.
Mentire è un meccanismo complesso che attiva aree e circuiti cerebrali differenti: l’amigdala, sede principale delle nostre emozioni, la corteccia prefrontale dorsolaterale, dove sono collocati la nostra capacità di giudizio, la valutazione morale dei nostri comportamenti e il nostro cervello morale, e il lobo temporale, dove avviene il recupero dei ricordi. Come dire: passione, etica e memoria.
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Dunque, mentire richiede l’utilizzo di capacità cognitive superiori: ecco perché, come mostrano diverse indagini neurofisiologiche, il cervello dei grandi bugiardi è molto performante e mostra un maggiore sviluppo della sostanza bianca rispetto a quella grigia, deputata alle connessioni tra le aree cerebrali.
La “mente bugiarda”, inoltre, si forma in stretto collegamento con lo sviluppo del linguaggio: «Bugia e parola vanno di pari passo, non c’è bugia senza parola e, forse, non esiste comunicazione relazionale senza un pizzico di bugia, conscia o inconscia».
Siamo condannati alle bugie, dunque; e i maschi sembrano esserlo un po’ di più: le attuali ricerche sulle differenze di genere nell’arte del mentire indicano, in assoluto, i maschi come bugiardi più esperti delle donne – e per giunta, consapevoli di ciò.
Non a caso nel corso dei secoli filosofi, padri della chiesa, religiosi, romanzieri, antropologi, psicoanalisti, sociologi, psicologi, artisti e neuroscienziati hanno riflettuto sullo statuto della menzogna, mettendola quasi sempre in contrapposizione con la verità. E questo spesso aggiunge difficoltà più che fare chiarezza, perché verità e bugia, come spiega Siracusano, sono due facce della stessa medaglia. Tra di esse c’è un «legame indissolubile che costituisce un unicum esistenziale ed emozionale, capace di influenzare e condizionare fortemente le nostre azioni e i nostri comportamenti».
Campagna "Sharing a lie makes you a liar", Kuala Lumpur, Malaysia, 2018
Dunque, anche se «non dire le bugie» è uno dei primi divieti che affrontiamo fin da piccoli, e malgrado ognuno di noi cresca ossessionato dalla verità, dalla sincerità come valore assoluto, di fatto le bugie sono presenti, in modi diversi, nell’intero ciclo della vita, dai primi anni fino alla terza età. Nei bambini sono necessarie alla crescita, perché consentono di separare il mondo interno infantile e il mondo esterno adulto, di trasformare le fantasie e di adattarle al principio di realtà. La capacità di “mentire” può essere considerata una conquista cognitiva attraverso la quale il bambino ricerca la sua posizione e indipendenza nel contesto familiare. Infine, le bugie svolgono nel bambino (ma anche all’adolescente e poi all’adulto) una funzione difensiva, perché lo aiutano ad affrontare stati emotivi troppo intensi e dolorosi.
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«La bugia come iniziazione al mondo dunque – ci ricorda Siracusano –, ma anche come gioco di specchi, meccanismo di difesa (anche a costo di ingannare noi stessi), per inventare un mondo così come lo vorremmo, come risposta al trauma, e, ancora, come strumento di manipolazione e meccanismo perverso, che può sfuggire di mano e tramutarsi in malattia», narcisismo patologico in primis».
Di personaggi reali e fittizi la cui vita poggia sulla bugia e sull’inganno sono costellate la storia e la letteratura, come ben illustra il libro di Siracusano: a partire da Ulisse e Pinocchio, i due prototipi estremi e opposti del bugiardo. Di finzioni si nutrono le guerre e le psicoguerre (psywars), i social network imbottiti di fake news, i deepfake.
Ecco perché è importante che soprattutto i giovani siano consapevoli di questi meccanismi radicati nella nostra mente: «viviamo in un’epoca intessuta come non mai di finzioni, dai profili social aggiustati per proporre la versione eccellente di noi alle fake news che dilagano in Rete, dalle fandonie della propaganda politica» (che ha ormai sdoganato la menzogna come strategia vincente, Trump docet), «ai tranelli dell’intelligenza artificiale».
Nell’era del fake è dunque fondamentale saper distinguere tra le falsità utili per la nostra evoluzione e il valore della verità. E il rapporto tra bugia e verità è un punto di osservazione privilegiato per esplorare il mondo e per conoscere noi stessi: «il percorso che va dalla scoperta della bugia alla scoperta della verità» ci aiuta a conoscere noi stessi e i diversi aspetti della nostra mente. E «comprendere perché mentiamo permette di capire qual è la verità alla quale vogliamo sfuggire».