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Droga, Yoga, Hiv. Storia del mio amico Albi

In occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS da oggi online un podcast di Daniele Bernardi

  • Ieri, 08:04
  • Ieri, 23:05
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Di: Daniele Bernardi 

Oltre ad aprire la prima finestrella del calendario dell’avvento, il 1° di dicembre, dal 1988, ricorre un importante avvenimento: la Giornata mondiale contro l’AIDS. Indetta in seguito al Summit mondiale dei ministri della sanità per la prevenzione alla diffusione del virus, la data fu scelta in relazione alla prima diagnosi, avvenuta nel 1981. A chi, adolescente o bambino, in tempi recenti ha vissuto l’evento traumatico della pandemia da Covid-19, sarebbe forse utile, per elaborare quanto ci siamo da poco lasciati alle spalle, conoscere la storia e lo sviluppo di quella che fu, nel secondo ‘900, la malattia che più cambiò i connotati al mondo.

Per chi non ne fosse al corrente – a dipendenza degli Stati, le campagne di sensibilizzazione si muovono in modi diversi e la coscienza cambia molto di paese in paese – dire che le cose oggi, per noi occidentali, sono diverse rispetto all’epoca del terrore che andò dagli anni ‘80 a metà anni ‘90 è a dir poco un eufemismo.

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Per cominciare, da quando, a partire dal 1996, dalla terapia a base di AZT si passò a quella combinata – la famosa tri-terapia, che generalmente tratta tre antiretrovirali – il numero dei morti è crollato vertiginosamente. Inoltre, ora, se diagnosticato e curato per tempo, l’HIV non solo può essere tenuto sotto controllo per un’intera vita, ma pure la sua capacità di contagio è azzerata. Un progresso enorme per una malattia della quale era proprio la dinamica del contagio, coi suoi oscuri richiami sessuali e il suo muoversi nel mondo degradato della tossicodipendenza per assunzione in endovena, a rappresentare lo spettro più mostruoso.

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E, parlando di contagio, anche i mezzi precauzionali sono in parte mutati. Infatti, oltre all’uso del preservativo, così come all’abitudine a farsi testare se si è avuto un incontro rischioso, dal 2011 ci si può tutelare attraverso la PrEP (Pre-Exposure Prophilaxis), vale a dire un’assunzione preventiva della terapia combinata che protegge dall’eventuale infezione. C’è poi la strada verso il vaccino, il cui andamento è stato costellato di speranze e fallimenti a causa dell’estrema mutabilità del virus ma sulla quale, forse, ci si sta avvicinando a nuovi risultati grazie allo studio degli anticorpi neutralizzanti.

Insomma, tutt’altra musica rispetto al tempo della mia fanciullezza, quando alla sola idea di un rapporto non protetto me la facevo sotto, guardavo atterrito il manifesto della Benetton di Oliviero Toscani, Freddie Mercury era già morto da un po’, sfogliavo – anche se non mi piaceva – Jo di Derib e scoprivo esterrefatto le Notti selvagge di Cyril Collard.

Essendo stato un sottofondo costante del mio romanzo di formazione biografico, ho sempre desiderato realizzare un’opera attorno all’AIDS: durante le tappe della mia crescita, lui era eternamente lì, come un’oscura montagna, mentre io gradualmente scoprivo il mio corpo, l’amore e il mio desiderio sessuale. Era lì quando ancora l’eroina era in strada e Platzspitz, a Zurigo, fino al ‘92 era peggio del mercato di Porta Portese. È stato perciò per me immediato, quando, nel 2023, la direzione del settore Audiofiction RSI ha lanciato una serie di podcast in cui si raccontano storie personali con diversi registri sonori, proporre un lavoro sul mio amico Albi.

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Qualcuno non ci crederà, non lo capirà o penserà che esagero perché non lo sa, ma avere diciassette anni nella ricca Lugano a metà anni ‘90 era come camminare su un campo minato. Fortunatamente non c’era internet – o meglio, c’era, ma faceva pena e non intaccava minimamente le nostre vite – altrimenti le cose sarebbero andate pure peggio.

Come ha già perfettamente raccontato Olmo Cerri nel suo podcast Quegli stupefacenti anni zero (RSI, 2023), in Ticino gli adolescenti fumavano erba ed hashish senza controllo e nell’ambito dei rave-party come delle discoteche si consumavano funghi e pasticche a pieno regime. Al contempo, fiorivano le esperienze delle autogestioni, dentro alle quali vi erano sia esplosioni di grande creatività che storie autodistruttive: alcuni sbroccavano, altri morivano per mano propria.

In questo panorama stile Nirvana, nell’epoca in cui sempre più si sviluppava quell’evaporazione del padre annunciata a suo tempo da Jacques Lacan, noi ragazzi sbandavamo a destra e a sinistra in una costante ricerca di senso, di garanzia di avvenire in termini alti.

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Era allora che, dalla soglia dei diciassette, si bazzicavano il Tassino e Piazza Dante e, se si aveva un po’ di fortuna, Albi faceva capolino: «era l’amico di tutti e di nessuno. Non era chiaro quanti anni avesse, perché sembravano pochi e molti al contempo, quasi avesse vissuto tante vite o viaggiasse nel tempo, consumando la propria giovinezza attraverso continui salti temporali. Tutti però sapevano della sua malattia, l’HIV, che non nascondeva e di cui parlava liberamente. Così come sempre raccontava delle tre cose che avevano cambiato la sua vita: la fantascienza, l’anarchia e Śri Aurobindo».

Trapiantato da Milano a Lugano dai primi anni ‘70, Albi è stato una figura di riferimento per moltissimi adolescenti della mia generazione. Persona che si era lasciata alle spalle «una vita assai scapestrata», che lo aveva visto passare attraverso «il buco» e la diagnosi della sieropositività, era uso a farsi vivo per strada, nelle piazze e nei contesti delle occupazioni.

Come la maggior parte dei miei coetanei, presi a frequentarlo «uscito da scuola, quando appariva sbucando dalla scalinata ad angolo che dalla città vecchia portava al centro, (…) si mescolava a noialtri giovanissimi e, che lo si volesse o no, presto o tardi finivi per fare la sua conoscenza attraverso conversazioni che vertevano eternamente su lo yoga integrale e Madre Meera, da lui considerata la prosecutrice della grande trasformazione inaugurata da Śri Aurobindo e Mère».

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Se da un lato l’incontro fra me ed Albi rappresentò l’approdo a un pensiero che, seppure al tramonto, attraverso l’amicizia caricava di senso il vivere quotidiano e il futuro – parlo di quella cultura scaturita appunto da figure quali i sopraccitati Aurobindo e Mère – dall’altro esso fu anche il mio primo vero contatto con l’AIDS e il fantasma della morte.

Quando nel 2012, a distanza di moltissimi anni dalla nostra frequentazione, venni a sapere della sua scomparsa, fu per me un’enorme sorpresa che accolsi con incredulità, quasi che, in fondo, fossi convinto che Albi non poteva morire, perché la sua fede era più forte di tutto. E con uguale stupore venni a sapere che si era lasciato dietro, abbandonata in rete, una volontà pubblica in cui, da maestro narratore quale era, raccontava la sua storia di vita: mi riferisco alla pagina web – dai contenuti spesso assolutamente sbagliati per quel concerne le considerazioni sui medicamenti e le cure – drogayogaeaids.blogspot.com.

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Concepito come un viaggio in cinque episodi sospeso fra la stagione dei miei anni verdi e quella della gioventù del mio particolarissimo amico, DROGA, YOGA ED HIV è un podacst nel quale, a partire dal ritrovamento del blog e grazie alla riscrittura di ricordi personali e di amici, le parole di Albi sono travasate in un immaginario a metà fra il racconto storico-letterario e quello di fantascienza. Seguendo le orme della vita del singolo fra abbandoni, fughe, amori, poesia e spiritualità, qui si rievocano il sogno di una comunità umana e il suo infrangersi, la nascita di una malattia che classifica fra le sue vittime i diversi e la lotta per la vita da parte di chi dal mondo è come bandito alla radice.

Ma non è tutto: oltre a questo DROGA, YOGA ED HIV vuole anche riconoscere la particolare funzione di un individuo che, sebbene a qualcuno potesse sembrare decisamente poco raccomandabile («sono omosessuale, sieropositivo ed ebreo», era la prima cosa che Albi ti diceva quando si presentava), a suo modo ha «guardato le spalle» a una generazione che, in prossimità del 2000, si affacciava sul mondo. Paradossale, no? In questi anni sempre più sentiamo parlare di un grave malessere da parte dei giovani. Ebbene, spesso, tornando con la mente ad Albi, mi sono chiesto chi e come, oggi, nel piccolo di ogni realtà dovrebbe prendere il suo posto.

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L’astronave – episodio 1

RSI Cultura 01.12.2024, 07:00

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