Società

Violenza sulle donne, un problema sistemico

Il 25 novembre è passato, tra dati preoccupanti e vittimizzazione secondaria. Ma cosa è rimasto di questa Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne?

  • Oggi, 11:19
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Di: Elena Panciera 

Attenzione: in questo articolo parlo di violenza, stupri, femminicidi. Se questi temi sono troppo dolorosi, e non te la senti di leggere, abbi cura di te e non continuare.

Anche quest’anno è passato il 25 novembre. Questo è un giorno sempre delicato per me, e per molte persone. È la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999. Eppure, dai primi anni novanta, il numero di “omicidi di donne” (la parola “femminicidio” è entrata tra i neologismi di Treccani solo nel 2008) è rimasto pressoché invariato: in Italia siamo sui 120 all’anno, in Svizzera sui 20.

Il fatto che il numero di “omicidi di uomini” sia diminuito radicalmente, e che quello degli “omicidi di donne” sia pressoché invariato, dà la misura di quanto poco stiamo facendo, come società, per risolvere il problema.

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E anche di quanto quello che stiamo facendo sia inefficace. Per esempio, le campagne di sensibilizzazione sono quasi sempre focalizzate sulle donne. La copywriter Tania Loschi (@taniume su Instagram) ogni anno raccoglie le campagne pubblicitarie per il 25 novembre, e il messaggio è chiaro: la responsabilità è delle donne, sono loro a doversi difendere (anche fisicamente – a giudicare dalla quantità di inviti a fare corsi di autodifesa personale), sono loro a dover denunciare. E se non lo fanno? Allora non si possono lamentare, in fondo è colpa loro, e hanno anche la responsabilità nei confronti di altre donne che potrebbero essere vittime a loro volta: parte il processo di vittimizzazione secondaria.

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La violenza contro le donne

La consulenza 25.11.2024, 13:00

  • Keystone

«Diamo alle donne i mezzi per combattere la violenza», dice ATM, l’azienda di trasporti milanese. Anche «l’Arma [dei Carabinieri] intende invitare le vittime a “fare il primo passo” per evadere dalle catene della sofferenza, del dolore e dell’isolamento» (in un videomessaggio su Instagram). E la Polizia di Stato italiana consiglia: «“Prima che sia troppo tardi” chiedi aiuto. Noi ci siamo» (in un altro videomessaggio su Instagram).

Eppure basta leggere i commenti di decine, centinaia e migliaia di donne sotto questi post per capire che spesso chi prova a denunciare, in caserma, non viene ascoltata, o viene addirittura molestata. Donata Columbro e l’associazione onData hanno raccolto e studiato Cosa dicono 1156 commenti sotto un post della polizia analizzati dall’IA (in «Ti spiego il dato», 2024). Il post in questione è quello pubblicato in occasione del 25 novembre 2023, appena dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Columbro spiega: «troviamo una lunga serie di testimonianze, principalmente denunce di negligenza e cattiva condotta da parte delle forze di polizia italiane. Riguardano situazioni di violenza domestica, stalking, molestie e abusi, dove le vittime affermano di non aver ricevuto l’aiuto adeguato o di essere state trattate con indifferenza o mancanza di rispetto».

E gli uomini, in tutto questo? Spesso, spessissimo, quasi sempre: non pervenuti. Quando si parla di femminicidi e di violenza di genere, la responsabilità sembra essere esclusivamente femminile. Francesca Cavallo ci mostra alcune Campagne che non vedrete il 25 Novembre (in «Maschi del futuro», 2024), perché indirizzate agli uomini: «Ogni colpo ha una conseguenza, fermati», ma anche «Non tenerti tutto dentro», «Ci sono colpi che costruiscono, e altri che distruggono», «Questo non è amore» e «The 5-second challenge – Posta sui social un video in cui abbracci un tuo amico per 5 secondi». Cavallo spiega poi che «una campagna radicale di lotta alla violenza contro le donne non riguarda soltanto il rapporto con le donne, ma anche il rapporto degli uomini con altri uomini e, in ultima istanza, con se stessi».

Uomini non pervenuti nemmeno come alleati: «Io mi chiedo dove sono gli uomini, in tutto questo: perché non possiamo lottare insieme?» si chiede Paola Chiara Masuzzo (Fatevi avanti, in «Fate ə monellə», 2024). Alessandra Arpi spiega: «farsi ascoltare quando si è parte lesa è un diamine di casino. Perché si trova assurdo dover sottolineare l’evidenza di qualcosa che continua a succedere con le stesse dinamiche, nello stesso modo, ha un pattern che riguarda tutty – e che le persone che hanno il privilegio di non subirla, quella cosa, non riconoscano che è una responsabilità collettiva far smettere di perpetrarla» (25 novembre: facciamo amicizia, in «Caramelle da una sconosciuta», 2024)

Abbastanza unica, e quindi significativa, la posizione del Dipartimento delle Istituzioni della Repubblica e Cantone Ticino, che alla pagina Violenza domestica non coinvolge solo le vittime: «Sei violento/a o temi di diventarlo? Chiedi aiuto, riceverai sostegno. Perché la violenza non è una questione privata e non deve essere tollerata».

Liberati dal silenzio! è poi una raccolta di cortometraggi d’animazione che mette in primo piano le voci delle survivor (“sopravvissute”) a violenza domestica. Un’iniziativa importante, che si rifà a uno dei pilastri della lotta alla violenza di genere, diffuso dall’avvocata e attivista Gisèle Halimi, come ho scoperto da Alice Orrù (Che la vergogna cambi lato, in «Ojalá», 2024) e anche a uno dei punti del Manifesto di Venezia, la carta per il rispetto e la parità di genere nell’informazione. Il motto «que la honte change de camp» (che la vergogna cambi lato, ovvero che passi dalla parte di chi stupra) è stato ripreso in queste settimane da Gisèle Pelicot, la donna francese il cui ex marito è sotto processo per averla drogata, violentata e fatta violentare da decine di uomini.

Ma anche in Svizzera c’è ancora molto da fare per contrastare la violenza di genere: lo dicono esponenti di diverse associazioni, come Julia Meier di Brava, che lamenta dati incompleti, scarsa preparazione della polizia nel riconoscere i segnali d’allarme e regole poco uniformi a livello nazionale (Femminicidi in Svizzera: cifre alte e incomplete, in «RSI Info», 2024). Non esiste ancora nemmeno un numero unico centrale nazionale che le vittime possono chiamare in caso di necessità. Si prevede sarà attivo dalla fine del 2025 o dall’inizio del 2026 (Piano d’azione cantonale contro la violenza domestica, 2024).

Il cambiamento non può ricadere solo sulle donne, ma deve coinvolgere tutta la società. E soprattutto gli uomini: abbiamo bisogno di alleati, senza paura di assumersi la responsabilità di educarsi e di educare i propri pari a una cultura del rispetto.

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Se io non voglio, tu non puoi

Millestorie 25.11.2024, 11:05

  • keystone

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