Il cinema d’autore, in poche parole, è quel prodotto cinematografico che fa della scelta autoriale e dell’indipendenza le sue caratteristiche principali. Il cinema di consumo (anche detto mainstream), in altrettante parole, è quel prodotto cinematografico che fa del compromesso con il pubblico e l’industria la sua cifra.
Entrambe le categorie possono essere considerate espressioni simboliche di ciò che rende il cinema, e l’arte in generale, lo specchio della società. Sì, perché gli interessi delle persone che entrano in sala sono diversi. C’è chi guarda un film per intrattenersi e passare alcune ore di svago, distaccandosi per un momento dalla realtà, chiudendo la finestra del mondo e isolandosi nell’esperienza cinematografica. C’è anche chi, guardando un film, cerca riflessioni introspettive, politiche, sentimentali, universali. In questo secondo caso, lo spettatore accetta da un lato di mettersi in discussione con un senso critico che è rivolto alle contraddizioni della sua epoca e del suo spirito, e dall’altro di individuare il messaggio che l’autore della pellicola sta cercando di veicolare attraverso, appunto, le sue scelte artistiche.
Com’è ovvio, la scelta autoriale divide il pubblico. Lo abbiamo visto in Joker: Folie a Deux di Todd Phillips, in Megalopolis di Francis Ford Coppola, in The Substance di Coralie Fargeat, per citare gli esempi più recenti di film che, nonostante si inseriscano nel contesto dell’industria cinematografica mondiale, non si piegano a compromessi cercando di veicolare un’interpretazione originale, artistica, poetica, metanarrativa della materia che trattano.
Altrettanto logico è il fatto che il cinema mainstream cerchi di accontentare quante più persone possibili, trattando temi in modo superficiale, sensazionalistico, ridondante con il mero obiettivo di rientrare nei margini del budget di produzione, spesso, in questi casi, multimilionario. Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival, offre uno spunto di riflessione interessante per mettere in discussione una così netta polarizzazione, forse oggi anacronistica:
«Oggi il cinema d’autore è diventato il cinema popolare. Lo vediamo per esempio con un film che più d’autore non si può, come Emilia Perez che trionfa agli European Awards a Lucerna, trionfa ai Golden Globes, vince a Cannes. Quello è un film d’autore ed è un film d’autore che è espressione di un’industria cinematografica. E questo cambiamento importante che ormai è in atto da tantissimo tempo, che segnala come non ci sia più la divisione netta fra il cosiddetto cinema di consumo e il cinema d’autore. Fortunatamente il cinema d’autore è diventato il cinema di grande consumo. Quindi si tratta di territori che sono in realtà molto più vicini di quanto non si immagini».
(Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival, ai microfoni di Alphaville)
Se tra gli anni ‘20 e gli anni ‘80 la linea che separava il cinema d’autore e il cinema mainstream era ben marcata, negli ultimi decenni essa è sempre più sbiadita. Pensiamo, ad esempio, a Quarto Potere di Orson Welles (1941), oppure al Casanova di Federico Fellini (1976) come esempi lampanti del cinema cosiddetto “d’autore” e mettiamoli a confronto con le produzioni cinematografiche più recenti che possono avvalersi di questo titolo, come ad esempio Oppenheimer di Christopher Nolan.
La "donna artificiale" de Il Casanova di Federico Fellini
Tutti e tre i film citati possono essere considerati “d’autore”: da una parte due giganti del cinema della seconda metà del Novecento, veri e propri mitografi, costruttori di miti, dall’altra un gigante del cinema contemporaneo, altrettanto capace di risvegliare, con le sue pellicole, questioni che tendono all’universale. La grande differenza può sembrare banale, ma non lo è affatto: se Welles e Fellini, nonostante la loro grandissima fama, hanno spesso criticato attraverso le loro pellicole la stessa industria cinematografica e, più in generale, la decadenza dei valori nel loro presente, Nolan si propone, con la sua cinematografia, di esibire una capacità tecnica (dalle riprese, alla scelta del cast, al budget di produzione) che esalta le enormi capacità economiche dell’industria cinematografica americana e va a nozze con ciò che il pubblico desidera. Dunque, un cinema “d’autore” che diventa “popolare”, “mainstream”, trovando un equilibrio tra ciò che il pubblico e l’industria richiedono e il messaggio autoriale che il film veicola.
Oppenheimer di Christopher Nolan
Una linea sempre meno marcata che, tuttavia, non smette di esistere. Il contesto dei festival cinematografici è ancora dominato da opere d’arte che scelgono di portare avanti un messaggio, una storia, senza cedere ai compromessi che l’industria e il pubblico richiedono. Critica sociale, introspezione, demoni e cattiva politica sono solo alcuni dei temi che il cinema indipendente continua a portare sullo schermo per adempiere a una funzione civile prima che di svago e di consumo disimpegnato. La via di mezzo, spesso, non è concessa, tranne nel caso in cui a portarla avanti è una personalità capace di muovere milioni di dollari.
Se il pardo arriva prima
Alphaville 07.01.2025, 12:35
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