Società

Felice 2159! L’anno in cui raggiungeremo la piena parità di genere

Secondo il Global Gender Gap Report 2024, ci vorranno 134 anni per colmare il divario di genere a livello globale. Nel 2024 ci sono stati dei piccoli passi avanti, ma la strada è ancora troppo lunga

  • 3 gennaio, 08:17
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Il genere conta un po' di meno, il ramo e la regione in cui si lavora pesano ancora parecchio

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Di: Elena Panciera 

L’incredulità riguardo al divario di genere è sorprendente. «Siamo nel 2025, in Europa, le donne hanno le stesse opportunità degli uomini, ma cosa dici?» è una reazione che sento spesso. Eppure, il Women’s Forum Barometer del 2024 rileva che il 29% delle persone nega l’esistenza del gender gap, nonostante le prove schiaccianti. Il fatto è che sulla carta le donne hanno sicuramente quasi tutti i diritti che hanno gli uomini, guadagnati in decenni (secoli, millenni) di lotte. Ma lo stato reale delle cose è ancora molto diverso dalla teoria. Ci sono differenze di stipendio, di possibilità di carriera, di diritti di autodeterminazione sul proprio corpo, di tutele mediche, di carico di cura, di pericolo di aggressione, e potrei continuare a lungo con questo elenco.

Le disparità di genere non sono un’opinione: lo confermano istituzioni autorevoli come il World Economic Forum, il Women’s Forum for the Economy and Society, l’Unione Europea, l’ISTAT e l’Ufficio federale per l’uguaglianza in Svizzera... Tutti questi enti presentano dati ricavati da studi, monitoraggi e ricerche su campioni significativi di persone. Non si basano sui racconti delle esperienze di persone singole – che pure sono fondamentali per rendersi conto della situazione intorno a noi, tra le persone socializzate (ovvero “riconosciute dalla società come”) donne, che ci circondano.

Anni fa, ho raccontato a un’amica belga e a sua madre alcune discriminazioni subite nel mondo del lavoro. Per esempio, alla fine di un contratto, avevo ricevuto come “regalo d’addio” delle mutande di pizzo fucsia con un buco “strategico”, comprate in un sexy shop. Una goliardata, secondo loro. Io, giovane e al primo impiego, avevo sorriso per non sembrare rigida. Ma mi ero sentita sbagliata per mesi, per mesi avevo analizzato ogni mio comportamento in quell’azienda, cercando quale fosse stata la mia responsabilità per questo regalo: mi ero vestita troppo elegante? avevo usato tacchi troppo alti? avevo detto qualcosa di inopportuno che poteva essere frainteso?

Altra azienda, altro aneddoto. Assunta come segretaria tuttofare, i miei capi mi avevano blandito per due anni promettendo un avanzamento di carriera non appena fosse stato possibile economicamente. Finché avevo scoperto che avevano assunto un mio coetaneo, uomo, per il ruolo di formatrice che mi avevano promesso, e che stavo già ricoprendo informalmente – senza una retribuzione adeguata, ovvio. Alla mia richiesta di chiarimenti, mi avevano detto che avevano fatto delle valutazioni: un uomo era più autorevole di me in aula, e io ero così brava come segretaria che non volevano perdermi. Mi ero dileguata alla velocità della luce.

A questo punto la mia amica mi ha interrotto, chiedendo se non stavo per caso esagerando: le sembravano racconti assurdi, impossibili. Ci ha pensato sua madre, una generazione più grande di me, a dirle che lei mi credeva totalmente, perché aveva vissuto le stesse cose, in gioventù.

Ascoltare i racconti delle donne e delle persone socializzate donne che ci sono vicine è un ottimo esercizio per comprendere meglio qual è la situazione intorno a noi: non bisogna dare per scontato di conoscere la risposta. Nel caso di racconti come i miei, si può provare magari a fare qualcosa per cambiare la situazione a livello sistemico e non solo individuale.

Secondo il Global Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum, il divario di genere globale è stato colmato solo al 68,5%, con un miglioramento minimo rispetto all’anno precedente (Kusum Kali Pal, Kim Piaget, and Saadia Zahidi, 2024; alle pagine 337-338 il riassunto della situazione elvetica). La Svizzera è al 20° posto su 146 Paesi. Apparentemente un buon risultato, soprattutto rispetto all’Italia, scesa all’87°. Tuttavia, le cifre rivelano problemi significativi: la Svizzera è al 53° posto per “Partecipazione economica”, al 77° per “Istruzione” e addirittura al 115° per “Salute e sopravvivenza”.

Un enorme problema rimane la partecipazione femminile al mondo STEM (acronimo di “Science, Technology, Engineering and Mathematics”, ovvero “scienza, tecnologia, ingegneria, matematica”), dall’istruzione fino al mondo del lavoro (Repubblica e Cantone Ticino, Ufficio di statistica, Le Cifre della parità online. Un quadro statistico delle pari opportunità fra i sessi in Ticino, aggiornamento 2024).

L’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo (UFU) analizza e indaga Le ragioni delle disparità salariali tra donne e uomini: «In media le donne guadagnano mensilmente 1500 franchi o il 18 per cento in meno degli uomini [...]. Il divario retributivo aumenta nel corso della vita: al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro è minimo, ma continua a crescere fino a raggiungere il picco prima del pensionamento. Il 52,2 per cento dei 1500 franchi di scarto salariale può essere spiegato [...]. La restante differenza di 717 franchi costituisce la parte di disparità salariale non spiegabile [...]. La parte non spiegabile di disparità salariale può costituire una discriminazione salariale di genere».

Queste disparità non sono solo numeri, ma influenzano profondamente l’autostima, la motivazione e la percezione del valore professionale delle donne. La paura di ritorsioni o di non essere credute spesso impedisce loro di denunciare episodi di discriminazione e violenza. Gli stereotipi di genere continuano a limitare l’accesso delle donne a posizioni di leadership. L’aspettativa che le donne debbano e vogliano occuparsi principalmente della famiglia ostacola la loro crescita professionale. E del resto è su di loro che ricade principalmente il lavoro di cura: per esempio, secondo il recentissimo Family Report 2024 del Centro Internazionale Studi di Famiglia, solo il 21,5% degli uomini e il 16,3% delle donne dichiara che le pulizie della casa sono divise equamente. Questo non solo danneggia le donne, ma priva le aziende di talenti preziosi, limitando l’innovazione e la diversità di pensiero (Vivian Hunt, Sundiatu Dixon-Fyle, Sara Prince, Kevin Dolan, Diversity Wins. How Inclusion Matters, McKinsey & Company, 2020).

Negare i dati significa rallentare il progresso verso l’uguaglianza, perpetuando discriminazioni e ignoranza. Possiamo e vogliamo davvero permetterci di aspettare 134 anni per colmare il divario di genere? Possiamo tollerare una società che sceglie l’inerzia di fronte a una disuguaglianza così evidente? E se fossimo proprio noi, oggi, ad accelerare il cambiamento?

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Telegiornale 08.03.2024, 20:00

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