Società

Francesca Mannocchi, giornalismo senza giudizio 

L’intervista all’interno dell’ultima puntata di Cliché - Nella sua esperienza di reporter di guerra e da aree di crisi, uno sguardo profondamente umano e “ordinario” per capire lo “straordinario” 

  • 2 ore fa
Francesca Mannocchi  

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Di: Alessandro Chiara 

“Sì, ma... cosa vedi?”. I resoconti di Francesca Mannocchi, dalle trincee ucraine ai deserti libici, sono un ritorno alla domanda fondamentale che ogni giornalista, sempre, dovrebbe porsi.

È la domanda che le faceva, agli albori della sua carriera, il caporedattore di allora a L’Espresso, Gigi Riva, quando Francesca inviava i pezzi, gonfia di soddisfazione “per aver trovato una notizia, o per essere stata in un luogo in cui nessun altro era riuscito ad arrivare”.

“Sì, ma... cosa vedi?”. Era quello, il punto: “l’attenzione alla normalità e la cura del dettaglio”. Scrivendo, ma ancor di più raccontando per immagini, Francesca Mannocchi ha fatto e cerca di fare esattamente questo: “è la normalità il segreto della buona narrazione”.

Perché è da lì, dal basso, che le questioni geopolitiche sanno di sabbia e sangue, e si appiccicano alle persone: “Dopo l’attacco del 7 ottobre e l’offensiva militare israeliana che è seguita su Gaza sono morte 41.000 persone, la metà delle quali bambini. È una cifra inimmaginabile. Fatichiamo a chiudere gli occhi e vedere 20.000 bambini morti. È necessario recuperare i punti chiave dei conflitti e dire ‘Ti sto raccontando la storia di Rula e di suo figlio’, ma il contesto più largo è questo, adesso apro il sipario e te lo faccio vedere meglio”.

Vedere da vicino significa anche mettersi in posizioni scomode, di confronto, ma non per questo giudicanti: “Penso a un’intervista che ho fatto recentemente alla madrina dei coloni, Daniella Weiss. Dice delle cose irricevibili per noi, delle cose durissime. In quell’intervista, il mio scopo non era lasciare che lei dicesse delle cose che facessero un titolo, ma era comprendere il modo in cui la sua ideologia la portava a dire delle frasi così feroci. Non sto battagliando con lei, sto interrogando il reale e quindi non si deve sentire comoda di fronte a me. Ma mi devo sentire scomoda anch’io. La posizione comoda è quella del giudizio, la posizione scomoda è quella dell’interrogazione”.

Anche per questo, la buona narrazione è “lasciarsi aperta la possibilità di essere smentiti e di non aver capito delle cose”.

09:46

Francesca Mannocchi  

Cliché 15.10.2024, 09:00

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