Fin da quando noi esseri umani abbiamo iniziato a interrogarci sulla realtà circostante e sui misteri celesti, abbiamo dovuto costantemente rivedere la nostra concezione del mondo, scoprendo che spesso ciò che osserviamo si rivela diverso da come appare. I principali cambiamenti di prospettiva sono avvenuti quando si è compreso che la Terra non è piatta ma sferica, e non occupa il centro dell’Universo, ma orbita attorno al Sole. Ma nel corso dei secoli sono stati numerosi gli esempi di questa evoluzione concettuale, che ci stupisce ancora oggi: la grande fisica del Novecento ha infatti radicalmente trasformato la nostra comprensione della natura, dello spazio, del tempo, della materia e dell’energia.
Massimo Bucciantini, Siamo tutti galileiani, Einaudi, 2023
Non a caso la modernità inizia proprio con uno di questi mutamenti impressionanti, tra ‘500 e ‘600, quando si scopre un nuovo cielo e una nuova terra. È quella che Massimo Bucciantini, storico della scienza e della letteratura contemporanea presso l’Università di Siena, nel suo Siamo tutti galileiani (Einaudi 2023) definisce l’età di Galwill, ovvero di Galileo Galilei e William Shakespeare.
Siamo tutti galileiani non è un testo su Galileo, o quanto meno non solo, bensì su coloro che come Galileo proposero un nuovo modo di vedere, di pensare, di stare al mondo; e dunque sulle svolte epocali che hanno caratterizzato la nascita della modernità.
Anche e soprattutto alla luce delle scoperte memorabili che avvennero nel ‘600. Come spiega Bucciantini, «a partire dalle tante osservazioni astronomiche che venivano effettuate in quel periodo – grazie proprio al cannocchiale di Galileo – si cominciava a mettere in discussione l’immutabilità e l’inalterabilità della stessa volta celeste – una scoperta che però era avvertita come una questione che coinvolgeva non solo il cosmo ma l’umanità intera». E che non solo scienziati del calibro di Galileo stavano promuovendo.
Il presupposto e la tesi del saggio di Bucciantini è una visione unitaria della cultura scientifico-umanistica, e la necessità di un’educazione che tenga insieme Galileo e Shakespeare, i quali hanno contribuito a cambiare radicalmente il nostro modo di guardare al mondo e all’umanità. Entrambi per esempio, pur nella diversità delle loro visioni del mondo e dei rispettivi temi di indagine, sono testimoni e protagonisti della scoperta che ‘niente è come appare’: sia nella natura inanimata che nell’animo umano, nella natura contorta e inafferrabile dell’essere umano.
«L’uno scopre che il vero alfabeto della natura è da ricercare dentro le forme invisibili della matematica (come recita una delle pagine più celebri di Galileo, da Il Saggiatore 1623, l’opera che segna un passaggio chiave nella costruzione della nuova filosofia della natura) e, al tempo stesso, con il perfezionamento del telescopio, si accorge che il cielo non è più quello che da duemila anni era apparso alla nostra vista. L’altro è un impietoso e scomodo indagatore della natura umana, tanto da reinventare l’intero alfabeto dei nostri sentimenti, che riesce a penetrare come pochi, spingendosi oltre la loro scorza e le loro scolastiche definizioni e mettendo in scena i tanti volti del tradimento, dell’ingiustizia, della crudeltà, della vendetta, della rivalità, della gelosia, del disonore, dell’incesto, del lutto».
Tutto è vicessitudine e mutamento - il cosmo, il nostro pensiero, l’uomo, la Natura (come peraltro già Giordano Bruno ci aveva insegnato)-, “niente è come appare” e, attenzione, grazie proprio e soprattutto a Galileo e a Shakespeare, il ‘dubbio’ si prende la scena e con esso nasce la coscienza moderna.
Entrambi, questi giganti, pronti «ciascuno a suo modo, a svincolarsi dai lacci della tradizione, pronti a smascherare i trucchi e le ambiguità della natura o del potere».
Ed entrambi protagonisti di quell’intersezione senza precedenti tra scienza, filosofia, letteratura e arte che si verificò verso la fine del ‘500 («epoca ibrida, ricca di contaminazioni, di rinascite e rivoluzioni, dove la nuova scienza «cerca di svincolarsi da una visione magica della realtà estremamente complessa»), e che ritroviamo sia nelle opere di Shakespeare che, soprattutto, nelle opere e nella filosofia di Galileo, convinto com’era che scienze e lettere debbano essere strettamente legate e intrecciate. Così come, dopo di lui, affermerà la sparuta e minoritaria schiera di quella linea letteraria e di pensiero critico composta da Giacomo Leopardi, Carlo Emilio Gadda, Italo Calvino, Primo Levi.
Filosofia e scienza ai tempi di Shakespeare
Geronimo 16.06.2020, 15:00
E proprio la lezione di Galileo invita a ripensare la distinzione e separazione tra le discipline umanistiche e scientifico-naturali: lui che per primo non solo inventò il metodo scientifico moderno, segnando il passaggio dal mondo del pressappoco all’universo della precisione e del rigore, ma che propose anche una prosa scientifica letteraria, rivolta a un pubblico ampio e non più solo alle alte sfere della società o alla sola cerchia degli eruditi, e per questo scritta per la prima volta in volgare e non più in latino – e per di più in una prosa che lo colloca tra i migliori scrittori italiani.
Con Galileo nasce così non solo la figura del divulgatore scientifico, e di grande qualità letteraria, ma anche la figura inedita del promotore di un’idea di scienza come sapere autonomo, aperto e pubblico, fondato su quel binomio inseparabile delle “sensate esperienze e delle certe dimostrazioni” che deve informare anche gli altri ambiti del sapere, e in cui risiede la sua e la nostra modernità.
Per Bucciantini occorre dunque ricomporre, soprattutto nelle scuole, il mosaico della nostra cultura, che si nutre di letteratura, arte, filosofia, scienza, perché l’educazione non sia solo trasmissione di nozioni in compartimenti stagni, ma anche e soprattutto di strumenti per leggere la meravigliosa complessità del nostro mondo e le infinite interconnessioni che lo caratterizzano. Ogni cosa, piccola o grande che sia, ogni sapere, ogni sguardo, contribuisce a far capire meglio tutte le altre e a far vedere il paesaggio per intero, il quadro generale, in una parola ‘il senso’ di quel che appare e succede e i principi generali che agiscono nel farsi della storia.