Società

Gli Yuppie

I segni del Novecento: dal rampantismo alla débâcle

  • 20.12.2023, 09:22
  • 20.12.2023, 11:53
Michael Douglas in "Wall Street"

Michael Douglas in "Wall Street"

Di: Romano Giuffrida 

Da yippie a yuppie? Sembrerebbe una contraddizione in termini, eppure pare proprio che il termine yuppie abbia a che fare, anche se indirettamente, con Jerry Rubin, leader del movimento yippie durante la contestazione negli Stati Uniti. Rubin, il “sovversivo” autore nel 1970 di Fallo!, uno dei testi più radicali del mouvement USA, negli anni Ottanta del secolo scorso, divenne infatti businessman convinto.

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Davanti alla parabola esistenziale che aveva portato il “ribelle” a passare dall’altra parte della barricata, l’opinionista del Chicago Tribune, Bob Greene, partendo da Y.U.P., acronimo di Young Urban Professionals che definisce appunto i giovani professionisti urbani (ciò che era diventato Rubin), trasformò ironicamente il termine yippie in yuppie. Il neologismo non solo ebbe successo ma definì un fenomeno destinato a condizionare la scena sociale occidentale degli anni Ottanta del secolo scorso.

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Ma chi erano gli yuppie? Da dove arrivavano? Per capirlo bisogna tornare al 20 gennaio del 1981, data in cui Ronald Reagan si insediò alla Casa Bianca.

Con l’ex attore hollywoodiano, infatti, al vertice degli Stati Uniti «spuntò il sole», come ebbe a dire Reagan stesso, ossia si affermò una filosofia di vita che, tra le righe, corrispondeva al motto “consumare è bello!”. Alla base di questa nuova way of life ci fu la Reaganomics, ossia un pensiero economico fondato sull’ideologia del massimo profitto individuale (coerentemente con questa impostazione, già dal primo periodo della presidenza Reagan, le imposte sul reddito vennero ridotte del 25 per cento). Era la nuova versione dell’american dream: tutti potevano diventare ricchi, bastava avere quella determinazione e forza che alla fine del decennio verranno simboleggiate da Charging Bull, il “toro in carica” che campeggia davanti alla Borsa di Wall Street.

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The Charging Bull, New York

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Questa diventò la filosofia di uomini e donne, di età compresa tra i 25 e i 35 anni, prevalentemente laureati, avidi di successo e denaro (e generalmente senza scrupoli). 

Inconfondibili per il look composto da abiti firmati (nella top ten: Armani, Valentino e Versace), da camicie su misura, da scarpe italiane fatte a mano e da auto sportive, ovviamente costose. Molto spesso, tutto ciò, veniva acquistato a credito (leasing, rateizzazioni, ecc.), in attesa che il “colpo giusto”, soprattutto in Borsa, portasse il denaro tanto agognato.

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Studio 54, New York

Esibire la ricchezza piaceva agli yuppie. E allora, grandi feste nei migliori ristoranti o  nei loft arredati dai designer più in voga o ancora nelle discoteche esclusive come lo Studio 54 di New York, meta internazionale per tutti gli “emergenti” alla ricerca dei famosi «quindici minuti di notorietà» di warholiana memoria.

Sia chiara però una cosa: la vita gaudente degli yuppie non aveva nulla a che fare con l‘epicureismo ozioso tipico dei flâneurs di inizio secolo, al contrario. Per loro, feste e divertimenti erano la “giusta ricompensa” dopo giornate dedicate freneticamente al lavoro. Null’altro contava: il lavoro, inteso come mezzo per poter accrescere sempre più il proprio status economico, era al centro della loro vita.

Che lavorassero nella finanza, nell’advertising, nella moda o in qualsiasi altro ambito in, il loro potenziale fisico e psicologico doveva essere sempre pronto a dare il massimo. C’è da meravigliarsi se la cocaina divenne la droga emblematica degli anni Ottanta? Paradigmatiche, a questo proposito, le parole che pronuncia Jordan Belfort (alias Leonardo Di Caprio) nel film Il lupo di Wall Street di Martin Scorsese del 2013: «Uso lo xanax per concentrarmi, l’ambien per dormire, l’erba per calmarmi, la cocaina per tirarmi su e la morfina perché è ottima. Ma, tra tutte queste, la mia droga preferita beh… sono i soldi».

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Leonard Di CaprioThe in una scena di "The Wolf of Wall Street" di Martin Scorsese

Inutile dire che Di Caprio, nella pellicola ambientata nel 1987, impersonasse un classico yuppie “all’arrembaggio”. Gli anni Ottanta sono gli anni dell’Aids, di Chernobil, del naufragio della ExxonMobil, ma per gli yuppie tutto ciò era un brusio di fondo da prendere in considerazione solo se avesse un qualche riflesso sugli andamenti della Borsa o sul loro lavoro.

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Lo yuppismo si diffuse un po’ in tutto il mondo occidentale, ma fu in Italia che, quasi a voler esorcizzare il decennio precedente di contestazione e lotta armata, il fenomeno assunse caratteristiche di una mutazione culturale. L’edonismo reaganiano, espressione nata ironicamente durante uno show televisivo, divenne un modus vivendi imprescindibile. Improvvisamente l’apparire fu molto più importante che l’essere: palestre, saune, raggi U.V.A., sartorie o negozi d’abbigliamento esclusivi, locali e discoteche à la page divennero tappe obbligate dei percorsi degli italici yuppie.

Dice però un vecchio proverbio: «Un bel gioco dura poco» e, dura lex sed lex, lo dovettero imparare anche gli yuppie. Dopo anni di consumismo incontrollato e di denaro sperperato, il gioco infatti finì improvvisamente il 19 ottobre del 1987, con il crash della Borsa americana.

Quel Lunedì, non per nulla chiamato “nero”, il Dow Jones, l’indice azionario della Borsa di New York, perse infatti il 22,6% in un solo giorno, comportando perdite per 500 miliardi di dollari e scatenando una crisi finanziaria globale costata circa 1.170 miliardi di dollari.

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Crash Wall Street, 1987

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Sì, il gioco era finito, ed era finito male. Poco tempo dopo il crollo, la rivista statunitense Newsweek dichiarò che gli yuppie si erano «estinti». Così era, perché chi ne aveva indossati i panni, dovette improvvisamente togliersi la maschera, riconoscersi sul lastrico e soprattutto rispondere degli incalcolabili debiti che nell’euforia di quella stagione aveva contratto.

Si erano “estinti ” gli yuppie, ma non il virus della “ricchezza facile” fondata sul credito, dell’apparire “altro” da ciò che si è, dello spendere oltre le proprie possibilità: tutto ciò è ancor oggi lo scenario che ci circonda. Sarà per questo motivo che gli analisti finanziari temono che un altro black mondey sia dietro l’angolo?      

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