La fast fashion è diventata un elemento onnipresente nella nostra società moderna, offrendo una varietà sempre crescente di capi di abbigliamento a prezzi accessibili. Tuttavia, dietro le luci abbaglianti dei negozi e le vetrine online si cela un costo nascosto che sta minando il nostro pianeta in modo significativo: l’ingente impatto ambientale della produzione e del consumo di moda veloce.
Uno dei pilastri della fast fashion è la produzione su larga scala di capi di abbigliamento a basso costo. Questo modello industriale si basa su cicli di produzione accelerati, spesso a spese dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Le fabbriche di abbigliamento in tutto il mondo consumano enormi quantità di risorse naturali e rilasciano una vasta gamma di inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo. La produzione di tessuti richiede quantità enormi di acqua e sostanze chimiche nocive. Ad esempio, la coltivazione del cotone, una delle materie prime più utilizzate nell’industria della moda, richiede grandi quantità di acqua e l’uso intensivo di pesticidi che possono contaminare le riserve idriche e danneggiare gli ecosistemi circostanti. Inoltre, i processi di tintura e finitura dei tessuti rilasciano sostanze chimiche tossiche nei corsi d’acqua, contribuendo all’inquinamento dell’ambiente acquatico e mettendo a rischio la vita marina e la salute umana.
La natura effimera della fast fashion promuove un modello di consumo eccessivo e di rapido smaltimento dei capi di abbigliamento. Migliaia di tonnellate di indumenti vengono prodotte e vendute ogni anno, ma una grande parte di esse finisce rapidamente nei rifiuti. Il poliestere e altri materiali sintetici utilizzati comunemente nella moda veloce impiegano centinaia di anni per degradarsi, contribuendo all’accumulo di rifiuti in discariche e nell’ambiente naturale. Un report di Green Peace di quest anno ha mostrato come ogni anno nella sola Unione Europea vengono gettate via 5 milioni di tonnellate di vestiti e calzature (ca. 12 kg a persona) e l’80% di questi finiscono in inceneritori, discariche o nel sud del mondo. Il 25% dei capi d’abbigliamento prodotti a livello mondiale resta invenduto e meno dell’1% dei vecchi abiti viene usato per produrre nuovi vestiti. Tra il 2000 e il 2015 la produzione di abbigliamento è addirittura raddoppiata, con conseguenze devastanti, mentre l’utilizzo è diminuito del 36%.
Negli ultimi anni, Shein è emerso come uno dei brand di moda online tra i più popolari al mondo, offrendo una vasta gamma di capi di abbigliamento e accessori a prezzi incredibilmente bassi. Tuttavia, dietro la facciata di offerte convenienti e tendenze sempre nuove, si nasconde un oscuro segreto: l’ingente impatto ambientale provocato dalla produzione e dalla distribuzione massiccia dei suoi prodotti. Il colosso cinese si è costruito un impero sulla produzione su larga scala e l’uso massiccio di materiali economici come il poliestere e altri tessuti sintetici. Questi materiali sono noti per richiedere una grande quantità di risorse fossili non rinnovabili per essere prodotti e possono impiegare centinaia di anni per degradarsi nell’ambiente. Oltre agli impatti ambientali, Shein è stato criticato per le sue pratiche lavorative discutibili. Nel 2022 in un’indagine della giornalista Iman Amrani che ha condotto per l’emittente statunitense Channel 4, si sono scoperte condizioni vergognose. In “Inside the Shein machine” (“Dentro alla macchina di Shein”) Amrani è andata sotto copertura a Guangzhou a filmare due delle attuali 700 fabbriche che forniscono Shein. Lo scenario emerso vede i lavoratori percepire un salario mensile poco più alto di 500 euro al mese (4000 CNY) per realizzare 500 articoli al giorno, mentre l’altra parte del personale impiegato percepisce l’equivalente di 4 centesimi per capo. Le ore di lavoro previste per chi è impiegato in questo tipo di produzione è di 18 ore al giorno, con un solo giorno libero al mese. In caso di errore è persino prevista una riduzione della paga giornaliera. Ciò equivale a più di 75 ore di lavoro a settimana, il che viola non solo il Codice di condotta dei fornitori di Shein ma anche il diritto del lavoro cinese, sotto numerosi aspetti.
Lo sfruttamento dei dipendenti non è l’unico aspetto problematico; un’indagine del Marketplace ha rivelato che su 39 campioni di vestiti e accessori un articolo su cinque presenta livelli elevati di sostanze chimiche – tra cui piombo, PFAS e ftalati. Gli scienziati hanno scoperto anche che una giacca per bambini, acquistata dal rivenditore cinese contiene quasi 20 volte la quantità di piombo che secondo Health Canada è sicura per i bambini, mentre una borsa acquistata supera la soglia di più di cinque volte. Questi livelli tossici rendono i prodotti venuti qualificabili come rifiuti tossici, ha commentato uno scenziato.
Ma anche i consumatori hanno un ruolo fondamentale nell’affrontare questa crisi ambientale. È importante educare e sensibilizzare le persone sui danni causati dalla fast fashion e promuovere un consumo più consapevole e sostenibile. Scelte come l’acquisto di capi di abbigliamento di alta qualità, il riciclo e il riuso dei vestiti e l’adozione di uno stile di vita minimalista possono contribuire a ridurre l’impatto ambientale della moda. È necessario un cambiamento sistematico a tutti i livelli dell’industria della moda. Le aziende devono adottare pratiche di produzione più sostenibili, utilizzando materiali riciclati e biologici, riducendo gli sprechi e migliorando le condizioni lavorative nelle catene di approvvigionamento. Inoltre, i governi possono giocare un ruolo fondamentale nell’implementare regolamenti più rigidi sull’uso delle sostanze chimiche, incentivare la produzione e il consumo responsabili e promuovere l’innovazione tecnologica per rendere l’industria della moda più sostenibile.
La fast fashion ha un impatto devastante sull’ambiente, ma attraverso un impegno collettivo e azioni concrete, si può lavorare insieme per creare un’industria della moda più sostenibile e rispettosa dell’ambiente per le generazioni future.
La moda di distruzione di massa
Alphaville 09.04.2024, 12:35
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