Società

Il lutto riorganizza la tua rubrica

Lo dice Davide Cardile, e per me è stato davvero così. Quando muore una persona cara, non perdiamo solo lei, ma perdiamo anche noi, e chi non ha la capacità di evolvere insieme a noi

  • Oggi, 09:59
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Di: Elena Panciera 

Quando è morto Federico, mio marito, il 26 agosto 2021, sapevo che era successo qualcosa di ancora più grosso che perdere una delle mie persone più importanti. La mia intera vita mi era esplosa in mano. Nulla aveva più senso.

Sono stata immediatamente circondata da un sostegno enorme: amicizie storiche e recenti, ma anche gente che non sentivo da anni, o addirittura decenni, è ricomparsa per un abbraccio o un aiuto pratico.

Quello che ho dovuto gestire dal punto di vista relazionale ed emotivo, però, è stato più complesso di ciò che potrebbe sembrare. Alcune persone dalle ottime intenzioni hanno oltrepassato confini che io non volevo venissero superati, per esempio. Come chi ha lavato le lenzuola del mio letto, ancora impregnate dell’odore di Federico, in cui avrei voluto dormire ancora qualche notte.

Altre – moltissime, quasi tutte, amiche mie e spesso anche di Federico, ma anche sconosciute o quasi – mi hanno monitorata quotidianamente con la domanda: «Come stai?». E io rispondevo sempre, gentilmente (perché questa è una domanda gentile, no?). Ma ero stanca di rispondere a chiunque, ogni giorno, decine di volte al giorno. Dopo alcune settimane ho iniziato a sentire l’esigenza di distrarmi ogni tanto dal dolore, e quella domanda ha iniziato a scottare. Magari stavo bevendo un bicchiere di vino, magari stavo guardando una serie tv, magari stavo facendo una passeggiata, e quella domanda mi ributtava violentemente nel mio dolore. Perché non stavo bene, nemmeno quando bevevo vino, nemmeno quando guardavo una serie tv, nemmeno quando stavo facendo una passeggiata. Ma la mia testa, in quegli attimi, stava pensando a altro, era finalmente un po’ più leggera.

Istintivamente, ho iniziato a cercare di stare con persone che non sapevano chi ero. Internet è perfetto per conoscere gente nuova, che ha i tuoi stessi interessi e valori. Pian piano sono entrate nella mia vita Ale, Dil, Elena, Nicola, Tiziana, Nina, Susy, Andy, Chris, Lucia, Iacopo… All’inizio sapevano poco o nulla della mia storia, ed era così rinfrescante poter parlare con loro senza sentire la loro preoccupazione, o, peggio, la loro compassione. Poi, quando gli ho raccontato di Federico, hanno mostrato empatia ma il nostro rapporto non è cambiato: si basava (e si basa) su altro. Per loro Federico è poco più di un nome.

Potevo permettermelo, e quindi ho scelto di prendermi una pausa dal lavoro. Nemmeno quello aveva più senso, dopo. Quando muore la persona con cui avevi scelto di vivere e essere famiglia, tutto diventa molto relativo. Diventa difficile trovare il senso di impegnare decine e decine di ore alla settimana a cercare di far diventare sempre più ricche persone già ricche (allora ero copywriter, ovvero scrivevo testi perché le aziende vendessero di più). Erano diversi anni che mi interrogavo sul senso di quello che facevo, e con la morte di Federico non riuscivo più a trovarlo.

Mi sentivo fragile. Mi tenevo insieme, ma non sapevo quanto sarebbe durata.

Ho iniziato a viaggiare. Niente di lussuoso. Treni, divani di persone care: ho passato diversi mesi ospitata di casa in casa. Ho continuato a leggere e studiare cose che mi appassionavano sempre di più: femminismo, accessibilità, diritti umani, giustizia sociale, sostenibilità… Chi mi conosceva ha iniziato a dirmi che ero cambiata, che mi ero radicalizzata. Probabilmente avevano ragione: è difficile restare uguali, quando si vive un lutto così grande. Si cercano risposte e motivazioni, e si scoprono le radici di tutte le ingiustizie del mondo.

Ho iniziato a preferire la compagnia di alcune persone nuove rispetto ad alcune di note. Ed è stato spesso reciproco. Il tempo ha continuato a scorrere, un anno, due, tre… Si dice che dopo due anni bisogna aver superato il lutto, altrimenti diventa patologico. Io ho notato una cesura, allo scadere dei due anni: intorno a me non c’era quasi più nessuna delle persone che mi aveva tanto aiutato all’inizio, in modo pratico e emotivo. Di quelle che mi giuravano che erano famiglia e non mi avrebbero mai lasciata sola, che ci sarebbero state per sempre.

Di Federico non si parlava quasi più. Nessuno mi chiedeva più: «Come stai?» intendendo «Come stai senza di lui». Dopo due anni ci si dovrebbe abituare alla mancanza, no? Mia mamma e mia suocera hanno iniziato a dirmi che avrei potuto cercarmi «un altro brav’uomo», e «rifarmi una vita».

Ma io «una vita» avevo iniziato a «rifarmela» subito. Mi ero presa cura di me al meglio delle mie capacità, difendendo i miei spazi, scegliendo le persone che volevo vicine e le attività che mi facevano stare bene.

Non è ok (non) essere ok (Un anno dopo) by Davide Cardile

Sin qui ho tenuto il conto. Una settimana. Un mese. Due mesi. Tre mesi. 6 mesi. Quasi un anno. E adesso, giusto oggi, un anno.

Read on Substack

Il risultato è stata un’estesa riorganizzazione della mia rubrica, come racconta Davide Cardile nella puntata Non è ok (non) essere ok (Un anno dopo) della sua newsletter Ci sono parole, su Substack. La sua storia è allo stesso tempo completamente diversa dalla mia (tre figli, due cani, una casa in campagna), ma anche molto simile (non aver seguito un percorso professionale tradizionale). Sua moglie è morta a maggio del 2023, e nei mesi successivi la sua geografia emotiva è cambiata: «Alcuni sono scomparsi. Ma sono persone dalle quali non mi sarei aspettato molto di diverso. Altre si sono dileguate piano piano. Con disinvoltura, classe ed esperienza. Come quando entri in un ristorante e ti rendi conto che non ti piace, e non avresti dovuto entrarci proprio. E inizi a guardarti intorno, simulare una telefonata o aver smarrito le chiavi, e pian piano fuggire via. Altri che rimangono come soldati al fronte, per dovere ma non per fede o convinzione». Conclude, provocatoriamente: «E credo che in fondo non sia vero che “il lutto riorganizza la tua rubrica”. Semplicemente [...]: quando si abbassa la marea si scopre chi nuotava in mutande. [...] Chi c’era c’è». Ma poi aggiunge: «Per onestà c’è da dire anche questo: molte volte siamo noi a riorganizzare la nostra rubrica. Le nostre relazioni. Il grado e l’intensità di certe relazioni. Anche qui il motivo è semplice: si cambia. Cambiano priorità e punti in comune». E quindi, «il problema con l’auto che hai appena preso dal concessionario, le tue mire espansionistiche su questo o quel mercato, la lite con il collega che non capisce e ti rende la vita un inferno, i problemi dei Ferragnez o le vittorie di Sinner che dovrebbero insegnarci questo o quello. In generale non mi interessa nulla che non riguardi le sfide vere della vita. Qui ancora una volta è questione di prospettiva e punti del percorso. Ci sono stati momenti nei quali anche per me alcune cose erano importanti, fondamentali, o meritevoli di discussione. Oggi semplicemente no».

Ma è proprio necessario vivere un lutto, per cambiare prospettiva e riorganizzare – eventualmente – la propria rubrica?

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Massimo Recalcati

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