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In bocca al lupo!

Conoscere questo superpredatore dal punto di vista scientifico per agire e non per reagire, per muoversi con coscienza e non con paura

  • Oggi, 08:43
lupo
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Di: Red. 

Homo homini lupus, così recitavano i latini: “l’uomo è lupo per l’uomo”. Un proverbio di natura chiaramente pessimistica che deriva dall’Asinaria di Plauto, in cui si legge che “lupus est homo homini, non homo”, alludendo appunto al fatto che l’essere umano è fondamentalmente egoista e per sopravvivere combatte e prevarica i componenti della sua stessa specie. Un concetto che si ritrova in modo esemplare anche in De cive del filosofo Thomas Hobbes, secondo cui l’amicizia e i buoni sentimenti nascono solo per convenienza, avendo l’uomo compreso che convivere in modo pacifico è più opportuno della guerra, ma, all’occorrenza, ogni uomo torna ad essere lupo per un altro uomo.

Dunque, il lupo è questo: un essere opportunista, subdolo ed egoista? Naturalmente la realtà è molto più complessa di così, e come per qualsiasi altro animale, anche per il lupo la sopravvivenza è l’istinto principale, basilare per sé stesso e per il prosieguo della sua specie. Le connotazioni appiccicategli dall’essere umano sono invece frutto della nostra impostazione culturale, emotiva e interiore, e soprattutto sono frutto della paura (fisiologica) che si ha nei confronti di un predatore, anzi un superpredatore.

Il lupo, infatti, è considerato un superpredatore: uno di quegli animali che nel suo ambiente naturale, da adulto, si posiziona in alto alla catena alimentare, ma al contrario forse dell’immaginario comune che lo vuole spesso solitario, il lupo è pur sempre il canide antenato dei nostri animali da compagnia per antonomasia, i cani, ed è di fatto anche lui altamente sociale. E lo è per natura, non per mero opportunismo. Il lupo, il cui nome scientifico è appunto canis lupus, interagisce costantemente con i suoi simili e vive in branco, branco che come spiega l’etologo di Studio Alpino Federico Tettamanti, è formato principalmente da una coppia alfa (un maschio e una femmina dominanti) e poi da altri membri che aiutano a procacciare il cibo, in particolare per la cucciolata. Va detto comunque che le dinamiche di questo animale prevedono anche esemplari solitari, ma solo per un certo lasso di tempo; se da un lato, infatti, alcuni dei cuccioli da adulti rimangono nel branco per aiutare i genitori ad allevare i loro fratelli e i nuovi cuccioli, altri invece lo abbandonano per cercare nuovi territori e per dar vita a nuovi branchi. Questo avviene anche per una ragione molto pratica: un territorio permette la sopravvivenza solo di un certo numero di esemplari e i lupi in esubero devono dunque disperdersi, dando origine ai fenomeni migratori che, ad esempio nel corso del tempo, hanno riportato i lupi in zone nelle quali da secoli non erano più presenti. La Valcolla, per quanto riguarda il Ticino, è uno di questi luoghi, dai quali il lupo era assente da oltre un secolo. In particolare, è il canis lupus italicum, partito dagli Appennini per colonizzare poi le Alpi, fino ad arrivare in Svizzera; le prime prove della sua presenza furono rinvenute in Vallese nel 1995, mentre nella Svizzera italiana si cominciò a trovarne nuovamente a partire dal 2001. Il lupo non conosce ovviamente i confini nazionali, né le leggi che vigono in uno Stato o in un cantone; il lupo fa il lupo e cerca cibo e nuovi territori per garantire la sopravvivenza sua, dei suoi cuccioli e del branco a cui appartiene.

Lupo appenninico

Lupo appenninico.

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Come è noto nella cronaca degli ultimi decenni, il problema principale per l’uomo nasce in modo specifico dall’interazione del lupo con gli animali da pascolo, da reddito: le greggi di capre e di pecore messe in pericolo appunto dalla presenza di questo predatore, dando luogo a sfide quotidiane per gli alpigiani in primis, e di conseguenza per le autorità competenti. Dopo svariati tentativi, normalmente infruttuosi, messi in atto per contrastare questa spinosa questione, oggi sempre di più gli esperti in materia credono che uno dei modi più validi sia quello di impegnarsi fortemente nella conoscenza del lupo: conoscere lui, le sue abitudini e i suoi movimenti permetterebbe di interfacciarsi con lui nel suo rispetto, ma a tutela dell’uomo e delle greggi. Dei ricercatori dell’Università di Sassari si sono così impegnati nel monitoraggio di una famiglia di lupi nelle Alpi venete, con l’obiettivo di trovare e di catturare il cosiddetto lupo UNO (da cui nasce il documentario Lupo UNO), mettergli un collare GPS e seguire i suoi movimenti, in quello che si traduce dunque non solo in un metodo sperimentale ma soprattutto innovativo; un sistema interessante da applicare anche alle nostre latitudini in un’ottica di conservazione e insieme di convivenza.  

Si tratta del lavoro portato avanti dal gruppo di Marco Apollonio, responsabile scientifico del progetto per la gestione proattiva del lupo in Veneto, secondo il quale “sapere perché certi individui si comportano in quel modo e quando si creano le situazioni di maggior rischio in termini di conflittualità, è importante. Un elemento emerso chiaramente, è che nel nostro caso una parte non piccola degli avvicinamenti a centri abitati o abitazioni isolate, era dovuta ad una scarsa o nulla attenzione nello smaltire i rifiuti di origine animale […] e puntualmente ecco che arrivava un lupo ad utilizzare queste risorse”.

I due poli fondamentali della questione sono, sempre secondo l’esperto, comprendere quali comportamenti mettere (o non mettere) in atto per evitare di far giungere il lupo in situazioni critiche, e d’altro canto, come lui stesso afferma, “avere una buona idea di quello che è il reale impatto dei lupi sulla comunità degli ungulati selvatici, perché una delle basi della buona convivenza tra noi e questa specie è il fatto di lasciargli una quantità di prede naturali sufficiente a rendere poco interessante l’utilizzo di risorse di origine antropica e controbilanciare così la tendenza ad andare a cercarsi specie più semplici da predare come gli ungulati domestici, e rendere dunque questa seconda opzione sempre meno conveniente, sotto il profilo energetico ed emotivo […] per evitare o ridurre gli episodi di predazione”.

A livello europeo, esiste anche il progetto Life Wolfalps con il duplice compito di monitorare costantemente la presenza del lupo sulle alpi e di elaborare delle strategie condivise con gli addetti ai lavori per la protezione degli alpeggi.

Nascono quindi delle misure di protezione concrete: dei dispositivi che sono oggi utilizzati per la prima volta nel contesto europeo e che permettono una fase appunto proattiva, ossia permettono di sapere se il lupo si sta avvicinando ad un contesto a rischio, come una fattoria o un’azienda agricola, attraverso la sua posizione in tempo reale. Il primo sistema è virtuale e si avvale del dispositivo GPS posto sul lupo; in esso sono contenute delle informazioni legate a dei “recinti virtuali” creati ad hoc per le zone a rischio che, se il lupo supera, attiva degli allarmi nei centri di monitoraggio. Il secondo strumento invece è fisico, e permette di ricevere segnali dal collare quando l’animale si sta avvicinando, a circa 200/300 metri dal dispositivo; anche in questo caso si attivano degli allarmi, e successivamente vengono inviati degli SMS direttamente all’allevatore, al servizio di vigilanza, ecc. in modo che siano informati rispetto al suo arrivo e possano tutelarsi. Soluzioni che secondo Marco Apollonio stanno dando già buoni frutti (con un abbassamento dell’80% rispetto ai tentativi di predazione) e hanno dunque buone prospettive di sviluppo.

gregge e lupo
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Per quanto riguarda invece la Svizzera, esiste ormai da anni la Strategia Lupo (riguardante anche la lince), che ha l’obiettivo di creare le condizioni quadro per gestire le popolazioni di grandi predatori che sono sempre più in aumento sul nostro territorio, per garantire la protezione della fauna selvatica e, nel contempo, per far fronte alle esigenze della popolazione umana. Nella Svizzera italiana, come afferma l’etologo Tettamanti, le tecniche di monitoraggio e di prevenzione non possono essere le stesse per ogni alpeggio o per ogni azienda agricola, servono soluzioni su misura a seconda del contesto anche geografico. Finora le misure utilizzate dagli allevatori per proteggersi sono basilarmente di due tipi: recinzioni elettrificate notturne quando il bestiame riposa e cani da pastore addestrati per questo scopo (che tuttavia si rivelano anche difficili da gestire in caso di turismo di montagna). Nuovi sistemi di protezione riguardano però la sopracitata telemetria, come proposto anche nei progetti di Lupo UNO, oppure l’impiego di feromoni di lupo per tenere i predatori a distanza.

Chiaramente si tratta di attività in divenire, anche tenendo conto del fatto che l’aumento dei branchi di lupi sul nostro territorio comporta un’assuefazione, un’abitudine, di questo animale anche all’uomo stesso; un aspetto che potrebbe creare in futuro delle situazioni pericolose. Per ora, sempre secondo Tettamanti, è importante fare tutto quanto possibile per non fomentare il loro avvicinamento, evitando ad esempio il deposito di cibo fuori dai centri abitati, così da mantenere una giusta distanza tra l’uomo e i branchi.

In futuro il rapporto tra noi e il lupo deve mantenere anzitutto questa forma di rispetto, forse anche di timore e di incertezza, nei confronti di un animale più simile all’uomo di quanto non si creda, trovando soluzioni concrete per convivere con questa specie che, di fatto, appartiene alle zone montane e alpine quale suo habitat naturale.

In bocca al lupo, dice Tettamanti, non perché crepi come vuole l’adagio popolare, ma perché viva, e soprattutto possa convivere anche con noi.  

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