Società

L’evoluzione non è sadica: il dolore ci preserva

Alberto Pellai, specialista di psicoterapia cognitivo-comportamentale dell’età evolutiva, ci ricorda che per star bene è importante vivere tutte le nostre emozioni, anche quelle che possono perturbare

  • 31 luglio, 11:56
  • 31 luglio, 21:14
Mamma....
  • keystone
Di: Red


Le emozioni primarie sono sei: gioia e sorpresa, che sono due emozioni che ci fanno stare bene. E poi: rabbia, tristezza, disgusto e paura, che sono emozioni che invece ci perturbano, in senso disagevole e ci provocano fatica e sofferenza. Quindi il primo quesito che dovremmo farci per riflettere sulla tristezza è questo: ma l’evoluzione è sadica che ci ha messo come emozioni primarie una quantità doppia di emozioni che ci fanno stare male?
L’evoluzione non può essere sadica, ha proprio una sua intelligenza legata alla preservazione della specie. E quello che ci dice l’evoluzione con questa gamma doppia di emozioni dolorose, rispetto a quelle del benessere, è che il dolore è incredibilmente preservante la nostra possibilità di sopravvivenza.

Alberto Pellai

Alberto Pellai è medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva. Ha pubblicato molti saggi che sono diventati veri best seller e testi di riferimento per educatori, docenti e genitori, tra i quali: Allenare alla vita. I dieci principi per ridiventare genitori autorevoli (Mondadori, 2024),Tutto troppo presto. L’educazione sessuale dei nostri figli nell’era di internet (DeAgostini, 2021), o L’età dello tsunami: Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente (DeAgostini, 2017) o ancora La bussola delle emozioni. Dalla rabbia alla felicità, le emozioni raccontate ai ragazzi (Mondadori, 2019).
Ad oggi i suoi volumi di educazione emotiva e prevenzione sono tradotti in più di 15 paesi e sui social conta più di 200.000 follower.
Il tema attorno al quale è ruotata la conversazione, per Festival d’autore, di Sandra Sain con Alberto Pellai è la felicità. Per la Treccani è lo stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni, e gode di questo suo stato. Alberto Pellai la prende un po’ più larga: «Verso cosa andiamo? Verso la ricerca di uno stato che è uno stato di autorealizzazione. Sono la persona che sta abitando questa vita e si sente la persona giusta al posto giusto. Questa potrebbe essere in modo concreto una buona definizione di felicità perché se questa cosa non avviene - cioè se mi sento la persona sbagliata dentro una vita che avrebbe dovuto essere giusta o se sono la persona giusta e la vita che sto abitando mi sembra la vita sbagliata - io alla felicità non ci arrivo».

Ti_Press_SA_TPR138564.jpg

Un giocatore ad una slot machine

  • TiPress

Ma c’è felicità e felicità. Il nostro cervello ci racconta la felicità attraverso il lavoro che fa su un’emozione primaria che chiamiamo comunemente gioia.
«La gioia è l’esatto contrario della tristezza. Quando noi sperimentiamo gioia, nel nostro cervello si libera una neurobiochimica che ci fa stare bene - dice Pellai - e la neurobiochimica che ci fa stare bene però ha molti percorsi diversi. Io posso stare bene quando produco dopamina e questa è la felicità esplosiva associata alla gratificazione istantanea. È proprio quella botta di gioia. Ed è quella cosa del giocatore d’azzardo che nella slot machine vede arrivare la combinazione perfetta, ed esplode di felicità. Ma sappiamo essere una felicità di breve durata che, tra le altre cose, lo incastrerà poi in una serie di meccanismi per cui si troverà in balia di quello stato che ha sperimentato in modo così esplosivo e che è così faticoso invece mantenere».
                

E Alberto Pellai continua: «Poi abbiamo un’altra via neurobiochimica della felicità - sono quattro ma mi fermo alla seconda per il momento, perché questa è quella più vicina probabilmente al concetto di felicità che noi andiamo cercando - ed è lo stare bene che si produce nel nostro cervello quando si libera ossitocina. L’ossitocina è il neurormone degli affetti, dell’attaccamento. È quello che c’è nella nostra mente quando noi viviamo una relazione in cui siamo amati e siamo capaci di amare e in cui perciò improvvisamente noi sentiamo che siamo in intimità profonda con un’altra persona, siamo connessi con un’altra persona che fondamentalmente ci restituisce questa dimensione di protezione, di sicurezza e di sentirci persone giuste al posto giusto, non perché preveniamo le avversità, ma perché se arrivano le avversità non siamo soli a doverli affrontare. C’è qualcuno con noi che ci fa sentire capaci di andare incontro a tutto quello che accade».
In questo senso la definizione di felicità quasi nega se stessa perché se pensiamo a ciò che come genitori facciamo coi nostri figli è che li vorremmo sempre sorridenti.
«Ma - dice Alberto Pellai nell’intervista di Festival d’autore, riascoltabile qui di seguito - nella prospettiva che abbiamo appena visto, la felicità è avere un porto sicuro» e certo perseguire il saper essere riveste un ruolo fondamentale.

                

Alberto Pellai

Festival d'autore 21.07.2024, 10:35

Alberto Pellai

Il Gioco del Mondo 24.10.2021, 19:20

  • RSI

Ti potrebbe interessare