Società

L’inaspettato incontro tra neuroscienze e scienze umane

Due approcci spesso considerati distinti, ma che dalla loro unione ci dicono di più su noi stessi. La neuroestetica ne è un esempio

  • 2 ore fa
neuroestetica.jpg
Di: Elia Bosco 

Pensare a un legame tra neuroscienza e discipline umanistiche sembra essere una novità assoluta, o perlomeno un binomio controintuitivo. La scienza che si occupa di decifrare e comprendere la sede di ogni nostra attività e pulsione, il cervello, è molto spesso contrapposta a tutto ciò che di spirituale ci definisce. Pensiamo alle categorie estetiche come l’intuizione, la bellezza, il sentimento che sono da sempre materia prima dell’arte, della poesia, delle riflessioni filosofiche: esse, dal primo Novecento in avanti, sono state prese sempre più come oggetto di interesse delle scienze sperimentali, dalla psicanalisi, alla medicina sino, appunto, alle neuroscienze.

Certo è che tutto ciò che riguarda l’interiorità non sia stato scoperto dalle scienze sperimentali, bensì faccia parte di un patrimonio culturale che la letteratura ha trasmesso attraverso i secoli. La funzione del mito, nato in epoca antica, consisteva nel dare una certa interpretazione a fenomeni che ci accomunano come l’amore, l’ira, l’odio, la gelosia, la felicità, la speranza, la vocazione civile, i nostri conflitti più intimi. Non è un caso che il fondatore della psicanalisi, Sigmund Freud, abbia utilizzato molto spesso le categorie e le storie della mitologia per dare un nome ai fenomeni di cui si occupava nel percorso terapeutico (per ricordarne uno su tutti, il complesso di Edipo).

Dunque, fenomeni che sono dentro di noi da sempre, che ci definiscono e animano ininterrottamente. Lo sviluppo delle scienze, e in particolare delle neuroscienze, sta riuscendo ad individuare con precisione sempre maggiore le aree del cervello che sono coinvolte nel momento in cui ciascuno di noi prova determinati sentimenti ed emozioni. Quello che risulta dalle analisi è l’attività e la conseguente inattività di certe parti del cervello quando facciamo esperienza di un certo tipo di stato d’animo. Ciò non toglie l’importanza di confrontarsi con la tradizione, ovvero con l’immenso patrimonio trasmesso dalle scienze umane.

IMG_8793.jpg

Un caso esemplare di questo approccio, che cerca di unire scienze umane e scienze sperimentali, è la disciplina della neuroestetica, cui padre fondatore è il professore di neurobiologia presso l’University College di Londra Samir Zeki, protagonista di una conferenza tenutasi a LAC lo scorso ottobre, intitolata Art and Love: the neural correlation of subjective mental states. In poche parole, il neurobiologo ha introdotto un metodo di ricerca scientifico che pone le sue basi nelle fonti umanistiche per lo studio di sentimenti universali come ad esempio l’amore. Mettendo in dialogo le voci più autorevoli, sia occidentali che orientali, che hanno parlato nei secoli del sentimento dell’amore (dal Simposio di Platone, alla leggenda indiana di Radha e Krishna contenuta nella raccolta di testi religiosi antichi indiani chiamati Upanishad, alla storia araba di Layla e Majnun risalente al VII secolo, sino agli scritti rinascimentali sull’amore) lo studioso si è accorto che, nonostante la distanza di spazio e di tempo tra i testi e gli autori studiati, gli elementi che entrano in gioco parlando dell’amore ricorrono tutti in ogni testo preso in esame: il concetto di amore si collega alla ricerca dell’altra metà e implica il desiderio di portare a compimento questa ricerca. La somiglianza nella definizione di amore in queste diverse culture implica che ci sia qualcosa di significativo nel modo in cui il cervello concepisce e risponde all’amore, perché le opere letterarie, essendo state scritte da esseri umani, ci dicono qualcosa sugli esseri umani.

Tutto ciò, unito alla ricorrenza dell’amore tragico dovuto all’impossibilità di realizzare quel desiderio, quindi l’incombenza della morte, pone le basi per ritrovare tali caratteristiche nell’attività del cervello. Se la definizione di amore tratta dal mondo occidentale, orientale e abramitico, considera l’amore come il desiderio di trovare la propria metà e di essere uniti ad essa e tale desiderio sia spesso disperato e collegato inesorabilmente alla morte, i risultati delle analisi dell’attività del cervello dovrebbero fornire come risultato qualcosa di simile. Attraverso le scansioni del cervello di individui sottoposti ad esami sul sentimento dell’amore (come ad esempio mostrare foto della persona amata e di altre persone con cui non si hanno legami sentimentali), emergono cose interessanti: alcune aree cerebrali risultano molto attive, altre meno. Le aree cerebrali importanti per il giudizio vengono quasi del tutto disattivate, e ciò significa che l’innamorato perde in parte la facoltà di giudizio oggettivo della realtà. Un’altra area che registra una scarsa attività è quella che determina la distinzione dell’individuo da chi è altro da sé, perché quando si è innamorati ci si sente un tutt’uno con l’altra persona. Molto attive risultano le aree cerebrali che regolano il desiderio.

Insomma, le analisi neuroscientifiche confermano gran parte del patrimonio che le scienze umane ci hanno trasmesso riguardo il sentimento dell’amore. Possiamo così in possesso di una definizione oggettiva e definitiva dell’amore? Non credo. Come tutti i sentimenti, l’alone di mistero che li avvolge lascerà sempre spazio a ulteriori interpretazioni. In fin dei conti, quello che si vede nello scanner neurologico sono gli effetti del sentimento, non la sua definizione scientifica. Essa continuerà ad essere competenza di artisti, poeti, filosofi, ma lo sviluppo delle neuroscienze potrà certamente dare il suo contributo nella comprensione della complessa scienza dell’animo umano.

20:36

Creatività e longevità 

Alphaville 04.11.2024, 11:05

  • iStock

Correlati

Ti potrebbe interessare