Società

L’italiano nel mondo

Vitalità e problemi della lingua italiana lungo i quattro angoli del pianeta

  • 23 ottobre, 08:42
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Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita, 1883

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Di: Marco Alloni 

Ogni anno, nel corso della seconda metà di ottobre, in tutto il mondo si celebra la cosiddetta Settimana della Lingua Italiana. Un evento – o per meglio dire, una pluralità di eventi – che hanno luogo presso Ambasciate e Istituti Italiani di Cultura in ogni angolo del pianeta.

Quest’anno il tema portante era «L’italiano e il libro: il mondo tra le righe». E come sempre la serie di incontri ha ricevuto l’Alto Patronato da parte della Presidenza della Repubblica. Tema apparentemente scontato, quello del rapporto tra italiano e libro: poiché il veicolo naturale della diffusione di una lingua è necessariamente il libro. Ma la questione è molto più significativa, giacché investe, oltre all’oggetto «libro», la sterminata serie di implicazioni che «il mondo tra le righe» porta con sé. Non da ultimo le due questioni che maggiormente hanno accompagnato tali eventi: l’ampiezza della diffusione della lingua italiana nel mondo e la questione dell’editoria e del complesso universo della traduzione.

In effetti parlare di lingua italiana nel mondo presuppone alcune nozioni che non sempre sono note a tutti. E che le Settimane della Lingua Italiana hanno spesso il compito e il merito di ribadire. Per esempio che malgrado siano solo una mezza dozzina i paesi in cui l’italiano è lingua ufficiale o semi-ufficiale – Italia, Svizzera, San Marino, Città del Vaticano, Croazia, Slovenia – la sua presenza nel mondo è molto più diffusa di quanto si tenda a credere. Secondo le stime più recenti, sarebbero una cinquantina i paesi in cui l’italiano è lingua comunemente parlata da parte più o meno estesa della comunità. A partire dalla Romania, con 1,4 milioni di italofoni, per arrivare all’Argentina con 1,1 milioni, alla Francia con 829mila, e via via fino alla Spagna con 256mila. Quanto al numero totale di paesi in cui è più o meno diffusamente presente la lingua italiana, l’istituto di ricerca Ethnologue ne cita oltre 40: tra cui, insospettabilmente, anche il Sud Africa e lo Zambia.

Alla base di questa straordinaria diffusione della lingua italiana fuori dai confini nazionali sono essenzialmente la centralità di autori come Dante, Boccaccio e Petrarca, l’importanza cruciale del teatro e dell’opera nostrani e soprattutto la fittissima emigrazione di italiani, nell’ultimo secolo e mezzo, dalla propria patria verso i diversi lidi del mondo. Basti pensare che dalla metà dell’Ottocento a oggi le persone migrate dall’Italia si contano nella misura di circa 30 milioni.

Se vogliamo tracciare le somme di questa situazione, possiamo quindi ricordare che circa 65 milioni di persone parlano l’italiano come prima lingua e circa 3 milioni come seconda. E che l’italiano figura come la quarta lingua più studiata al mondo. A riprova che, pur essendo «solo» la 23esima lingua più parlata al mondo, l’italiano gode di ottima salute e ha raggiunto praticamente tutti e quattro i punti cardinali del pianeta.

Più complesso e sfumato è invece il problema dell’editoria e della traduzione, le cui interconnessioni sono a loro volta estremamente articolate. Fatto salvo che alcuni autori cosiddetti «canonici» (da Dante a Pirandello, per intenderci) hanno potuto trovare la propria visibilità all’estero grazie a numerose traduzioni in moltissime lingue straniere, l’italiano letterario e gli scrittori che lo rappresentano è lungi dall’avere assunto, nel mondo, la centralità che hanno per esempio letterature come quella statunitense, francese o britannica. In altre parole: l’italiano è molto più diffuso come lingua parlata che come lingua letteraria e, di conseguenza, come lingua-letteratura tradotta.

Le ragioni di questa scarsa presenza degli autori italiani nel mondo – in particolare di quelli moderni e contemporanei – sono almeno due. La prima: gli istituti preposti a promuovere la nostra letteratura ai vari angoli del pianeta non hanno quasi mai avviato un lavoro sistematico – magari sotto la supervisione del Ministero degli Affari Esteri o della Cultura. Per cui tutti i progetti di traduzione della letteratura italofona sono affidati a singoli e all’improvvisazione, e può capitare che, per esempio, Io non ho paura di Nicolò Ammaniti sia presente in due diverse versioni arabe sia in Egitto che in Tunisia, mentre opere capitali come Il Gattopardo, La coscienza di Zeno o La cognizione del dolore abbiano conosciuto, sia in Medioriente che altrove, scarsissima diffusione.

Siamo dunque di fronte a una lingua e a una letteratura che non sempre e non ovunque sono valorizzate a sufficienza. E che quasi sempre ricadono sotto una logica, quella del mercato, che penalizza invece di favorire la loro diffusione. Pensiamo a quella che potremmo definire «letteratura italiana della diaspora», vale a dire la produzione di opere letterarie da parte di italofoni residenti all’estero. Quasi nessuno si preoccupa, in Italia, di contestualizzarla e promuoverla. Esiliata lontano dai confini patri, lo è una seconda volta da un’editoria che preferisce coltivare la provincia dei suoi autori locali e dimenticare il mondo. A riprova che sulla terra l’italiano cerca spazi che trova naturaliter attraverso l’emigrazione di uomini ma molto meno agevolmente quando si tratta di letteratura o di libri.

23:49

L’italiano in Svizzera 

Alphaville 15.10.2024, 12:35

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