L’offensiva israeliana, scatenata dopo gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, ha causato la morte di oltre 16.000 bambini palestinesi, oltre 25 mila piccoli, piccole, hanno perso un genitore o sono rimasti orfani, in moltissimi hanno perso un arto. Dietro ogni numero c’è una storia, la tragedia di una famiglia. Il costo della guerra, infatti, non è solo quello visibile: la distruzione, le macerie di case e ospedali. Oltre il numero delle vittime, ci sono ferite invisibili destinate a passare tra le generazioni.
Quali sono queste ferite e come possono diventare uno strumento per la pace? Abbiamo cercato di capirlo raccogliendo le storie e le testimonianze di Izzeldin Abuelaish, primo medico palestinese a lavorare in un ospedale israeliano che nel 2009 ha perso tre figlie a causa di un bombardamento israeliano sulla Striscia di Gaza:
Le mie figlie continuano a vivere con me, le vedo in ogni bambino palestinese ucciso ora o in ogni bambino del mondo. Non posso accettare che un bambino venga ucciso ovunque nel mondo. I bambini sono la bellezza della vita, sono il futuro, sono la speranza. Se uccidiamo un bambino uccidiamo la vita, uccidiamo la speranza, uccidiamo il futuro e siamo tutti colpevoli, responsabili mentre osserviamo quello che sta succedendo. Vedo le mie figlie nei miei nipoti, nelle mie nipoti, nelle mie due sorelle che sono state uccise. Più di 50 componenti della mia famiglia sono stati uccisi fino ad oggi. Non voglio che nessuno al mondo viva quello che ho vissuto io quel 16 gennaio (...) Gaza oggi è un luogo spettrale, un fantasma senza bambini, senza speranza, senza acqua, senza cibo, senza luce. È una terra affamata. Ha il volto di un genitore senza figli, senza casa, ma soprattutto il volto di un bambino senza genitori. Questo significa meno futuro, meno scuola, meno bambini palestinesi. Quando a un bambino o una bambina palestinese viene chiesto cosa vorresti fare, quel bambino o bambina risponderà che non gli è permesso crescere, fare progetti. Ti dirà che sarà ucciso quando è ancora un bambino che non potrà realizzare i suoi sogni. Questo è quello che sta accadendo.
Davide Musardo, psicologo clinico per Medici Senza Frontiere che ha prestato servizio a Gaza
Nel momento in cui andavamo per il nostro giro medico tra i letti del nostro ospedale, era chiaro quanto l’impatto psicologico di questa guerra stesse devastando la personalità delle persone. Le vittime maggiori erano i bambini. I bambini, perché non hanno la capacità di comprendere che cosa stia succedendo loro. Solitamente i bambini raccontano la loro esperienze attraverso il gioco. Molte volte anche al mio team di salute mentale consiglio sempre di fare un gioco terapeutico. Un gioco in cui possono mettersi in discussione ed esprimere le loro emozioni, le loro paure. E questo purtroppo in questo momento a Gaza non avviene. Non c’è neanche spazio per giocare, quindi è talmente difficile poter esprimere un proprio disagio che ovviamente diventa parte di un disagio psicologico, appunto.
e lo scrittore irlandese Colum McCann che una speranza l’ha vista nella storia, vera, di amicizia tra due padri, un palestinese e un israeliano, Bassam Aramin e Rami Elhanan, che hanno perso entrambi le figlie a causa della violenza e che hanno deciso di fare del loro dolore un ponte di dialogo, per la pace:
Credo che serva un coraggio morale straordinario per trasformare il proprio dolore in qualcosa di potente e credo che molte persone lo facciano, ma non molte vengono riconosciute. Ma farlo giorno dopo giorno è la cosa più difficile. Sono uomini che credono nel potere del dialogo. Come hanno fatto a trasformare questo dolore in una sorta di ottimismo? Credo che alla base ci sia il fatto di riconoscere l’oscurità che c’è lì e di dire va bene, ma non è sufficiente. Il mondo è buio, il mondo è tormentato, il mondo è difficile, ma noi dobbiamo fare qualcosa di diverso. Salvare una goccia di sangue significa salvare tante vite.
Le ferite invisibili della guerra
Laser 04.10.2024, 09:00
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