Se c’è una cosa che immaginavamo essere prettamente umana, quella è provare emozioni.
Eppure, già da qualche anno, questa certezza sta vacillando, soprattutto da quando sono comparsi sul mercato tutta una serie di robot che si dichiarano in grado di simulare i sentimenti umani, riuscendo dunque a instaurare delle relazioni che non appaiono poi così finte.
Lovot è solo uno dei tanti robot “emotivi”, ma forse uno dei più impressionanti. Si tratta di un piccolo animale cibernetico, vagamente simigliante a un pinguino, con però degli occhi grandi e dolcissimi. Zampetta (per modo di dire) per casa, alza le braccia per farsi abbracciare e sembra riuscire a intuire cosa proviamo, grazie a un sofisticato processore che gli permette di comprendere e simulare le emozioni. Insomma, sembra avere tutte le carte in regola per farsi amare. O comunque per alleviare quella sensazione di solitudine. Sì, perché la promessa è proprio questa: farci sentire meno soli e offrire una dose di affetto a chi quando rientra dal lavoro, trova una casa vuota. Un affetto però dal prezzo non indifferente, perché solo per l’acquisto di un Lovot bisogna calcolare più di tremila franchi, a cui se ne sommano circa un centinaio per gli aggiornamenti mensili (parliamo di franchi per rendere comprensibile la cifra, anche se per il momento sono venduti esclusivamente in Giappone). Le spese non finiscono certo qui, perché l’azienda produttrice ha ben pensato di proporre un intero mondo di accessori e vestitini con cui deliziare i proprietari di questi teneri animaletti meccanici. Un completissimo guardaroba all’ultima moda, fatto di cappellini, sciarpe e pigiamini di ogni genere. Esiste di tutto, anche una maschera per gli occhi, di quelle che si utilizzano per dormire, nonostante Lovot non abbia certo bisogno di riposare, semmai di ricaricarsi. Ma tra gli infiniti prodotti che si trovano, uno mi salta all’occhio: un marsupio, simile in tutto e per tutto a quelli che si usano per portare i neonati.
Se ci può sembrare bizzarra l’idea di mettere una maschera per dormire a un robot, che poi porteremo a spasso in un marsupio, come fosse nostro figlio, bisogna forse fare una riflessione diversa: cosa sta realmente vendendo questa azienda? Un antidoto alla solitudine? Ne siamo davvero certi?
In fondo lo scopo è chiaro: fare compagnia a persone sole; e se da un lato ci sembra un nobile intento, l’impressione è che ci si stia approfittando delle fragilità umane. Il rischio di trovarsi ancora più isolati è tangibile, nonostante le belle promesse fatte da questo automa pelosetto.
Lovot risponde alle tue interazioni, soffre il solletico e si dimostra empatico. Proprio per queste sue caratteristiche, assume in alcune situazioni un ruolo quasi terapeutico. Durante la pandemia, le vendite di robot emozionali (o robopet, dalla fusione di robot e pet) sono esplose e se fino a qualche decennio fa l’idea di una macchina capace di sostituire i nostri amati animali domestici ci sembrava materiale per un film di fantascienza, oggi in Giappone esistono più di quindicimila Lovot, veri e propri surrogati di mici e cagnolini, e in alcuni casi estremi, di un figlio.
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La solitudine è una piaga che da decenni investe non solo il Giappone, ma l’intero mondo occidentale, interessando in particolare la fascia di popolazione più anziana. La robotica emozionale potrebbe dunque rispondere a queste esigenze in modo funzionale, anche se i dubbi non sono pochi. Il rischio di alienarsi, di allontanarsi ancora di più dagli altri esseri umani, è alto; se abbiamo trovato un’alternativa agli animali domestici, cosa ci ferma dal sostituire l’amore umano? Il limite tra sostegno emotivo e alienazione è sottile e il rischio di oltrepassarlo è concreto.
Lovot ha spopolato soprattutto nelle case di riposo giapponesi, luoghi in cui il supporto emotivo che possono fornire questi robot è essenziale. Per comprendere a fondo la scelta di acquistare un Lovot bisogna fare uno sforzo immaginativo non indifferente, soprattutto perché non si tratta di un fenomeno isolato, ma del risultato di un’evoluzione culturale che, come occidentali, non sentiamo nostra. La società giapponese si muove da sempre secondo meccanismi che ai nostri occhi possono apparire assurdi e con cui non riusciamo a immedesimarci pienamente; dobbiamo dunque tenere a mente che è in questo scenario che un robot emozionale come Lovot ha riscontrato successo. Non possiamo quindi sapere tra qualche anno accadrà lo stesso anche alle nostre latitudini, ma è certo che ogni cultura si rapporta alla tecnologia in modo differente, con tempi diversi e attitudini proprie.
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Come un po’ per tutto, quindi, la risposta sta in due elementi principali: equilibrio e consapevolezza. I Lovot, come qualsiasi altro prodotto tecnologico con una componente emozionale, possono essere una risorsa preziosa, capaci di svolgere un ruolo terapeutico in determinati contesti, come nelle case anziani o negli ospedali, appunto. Possedere un robot domestico per sconfiggere la solitudine potrebbe quindi essere una tra le tante alternative possibili, anche se meno usuale di altre.
La sessualità tra gli anziani
Il Quotidiano 18.09.2024, 19:00