Società

Mostro

Dentro, fuori e oltre

  • 07.03.2024, 09:42
  • 07.03.2024, 09:46
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Di: Tommaso Soldini 

L’uomo bestia, la donna baffuta, sono solo due delle infinite deformità che venivano in passato rinchiuse nei manicomi oppure mostrate al circo; scherzi della natura, oscenità che assicuravano attenzione, biglietti venduti, soldi. I mostri popolano da sempre il nostro immaginario, innescano con immediatezza quel meccanismo di attrazione e repulsione che ha nella sua radice etimologica sia il valore dell’additare, indicare, sia il senso del monito, dell’avvertimento. Come se i mostri volessero dirci qualcosa. Qualcosa del mondo o di noi stessi.

E infatti i mostri, a ben vedere, non sono buoni o cattivi, prima di tutto sono eccezionali, deviazioni dall’ordinario, superlativi; mostri di bravura o della natura insomma, gigantografie di ciò che, volenti o nolenti, non saremo mai.

È nato prima il mostro o prima la normalità? Potrebbe essere questa la domanda da mille milioni, quella capace una volta per tutte di dirci la verità su chi siamo e su quello che abbiamo faticosamente costruito per nascondere a tutti, e in prima istanza a noi stessi, il Mr. Hyde che sta lì quieto quieto, fino a quando è possibile, dentro di noi, per dirla con Robert Louis Stevenson.

Ma i mostri sono soprattutto fuori, forse proprio perché crearli o riconoscerli al di là di noi è sempre stato un modo furbo per tenere a bada quel lato incontrollabile e bestiale che fa paura.

Quello che piace tanto, ma non ditelo ad alta voce, in tempo di guerra, quando la bestialità si fa eroismo, quando il piacere di uccidere è una qualità che viene apprezzata nelle stanze dei bottoni e osannata dalle folle in delirio che salutano, berretti al vento, i Rambo in rientro dai massacri. Quegli stessi Rambo che poi, di lì a qualche mese, quando i tour trionfali sono finiti, quando le ostilità sono state dimenticate, tornano a essere percepiti come dei mostri, incapaci di adeguarsi al placido grigiore della vita civile.

E allora ben vengano i draghi che sputano fuoco, gli orchi che rapiscono le principesse, i cani a tre teste. Mostri inventati, fantastici, mitologici. Caricature di ciò che non vorremmo né essere né incrociare sul nostro cammino. Quelli che cercano di placare le voci che ronzano tragicamente nella loro testa, costringendoli a obbedire a una volontà terribile, fatta di appostamenti nei boschi, alla caccia di coppiette che sfogano il proprio amore in un’utilitaria. Il mostro allora assume una connotazione geografica precisa, è riconosciuto per la sua metonimia, per i luoghi in cui agisce: Firenze, Marcinelle, Milwaukee, Düsseldorf. A unirli è il frappé di emozioni che ci fanno provare, ma anche le prime pagine su cui questi esseri vengono sbattuti, raccontati, vivisezionati. Una sorta di rito collettivo che diventa la scorciatoia per non accettare che, a volte, è proprio impossibile stanare il perché della malvagità. Tanto vale ribattezzarci novelli Frankenstein e ripresentare l’antichissimo rito del capro espiatorio, insensato ma sempre efficace, soprattutto se acutamente rinverdito e riproposto in prima o seconda serata, tutti sul divano, a guardare plastici, sentire oculari testimonianze, interpretazioni psichiatriche, il tutto condotto dai novelli cerimonieri in completo scuro.

I mostri da sempre si contendono i luoghi privilegiati del nostro immaginario, la camera da letto blu o rosa, nel tempo della storia raccontata ai bambini, nella penombra, gli occhi che si sgranano prima di dormire, la luce del comodino che si riflette sulla pagina bianca, oppure il cinema, sui cui schermi si alternano bambole che uccidono, scimmioni che scalano grattacieli, alieni assetati di esploratori spaziali. Con il solo scopo di far volare pop-corn, generare urla di spavento, e l’impressione che la vita possa sapientemente dosare senso del dovere ed emozioni forti.

Quelle stesse emozioni che sa suscitare un mostruoso lungolinea di Federer, una serpentina, palla al piede, di Diego Armando Marandona, o, ancora, l’interpretazione di Marcello Mastroianni ne “La dolce vita”.

Il mostro non è buono o cattivo, allora, è lo specchio deformato di chi vorremmo essere o di chi temiamo di diventare. Non è un caso che in giovane età tutti attraversiamo una fase di crescita scostante, deformante. Prima cresce la testa, poi le gambe, e infine il resto del corpo, quasi a dirci che la linea di demarcazione tra normale e mostruoso, ancora una volta, è sottile come un velo di Maja.

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Mostro

Cliché 06.03.2024, 21:55

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