Società

Natale vietato in Europa

Ma è davvero così? Alcune riflessioni sul potere del linguaggio

  • 20 dicembre 2021, 00:00
  • 31 agosto 2023, 12:30
Natale, albero di Natale
  • iStock
Di: Markus Zohner

C’è da rimanere stupiti dall’onda di commenti distruttivi attorno a un documento della Commissione Europea che intende dare delle linee guida al personale interno al fine di adottare una comunicazione più inclusiva, specchio di una società più aperta e più consapevole rispetto a quella di 50 o 100 anni fa. Una società che, si spera, abbia imparato e continui a imparare che il linguaggio che usiamo ci definisce, ma che spesso racchiude un potenziale di violenza e di abuso.

I commenti su Twitter e su altri social media, anche di persone apparentemente moderate, sono state uno sfacelo. Il problema è che essi sono nati in seguito a un articolo apparso su Il Giornale domenica 28 novembre: “In Europa vietato dire 'Natale' e perfino chiamarsi Maria”. Un articolo demagogico, che strumentalizza il documento della Commissione e lo piega a un attivismo degno dei più cupi estremismi religiosi.

Il problema è che le affermazioni di quell’articolo travisano il contesto di riferimento e sono diventate pillole per una disinformazione reazionaria, disinformazione che ama proliferare nelle acque torbide dei social media.

Il documento

Il documento della Commissione Europea (nel frattempo ritirato per un’ulteriore elaborazione) è in realtà a nostro avviso, un manuale estremamente positivo, lungimirante e democratico. Contiene una grande lezione sul tema dell'inclusione e ne raccomandiamo una lettura approfondita.

Leggendolo si comprende che l'avversione venuta a crearsi nell'articolo e sui social media è causata da due fattori: ignoranza (la non-comprensione del testo scritto in inglese) e abuso, una strumentalizzazione interpretativa, dettata dalla volontà di piegarlo ai propri scopi, cioè quelli di fare propaganda contro l’Unione Europea e contro un pensiero moderno, laico, democratico, basato sull’uguaglianza nella diversità.

Per illustrate questa mis-interpretazione basti qui fare un esempio di come il testo originale della Commissione Europea sia stato trasformato e adulterato dall’articolo sopracitato. Il titolo “In Europa vietato dire ‘Natale’ e perfino chiamarsi Maria” contiene almeno quattro errori, o meglio: bugie.

  • In Europa…”: il documento in questione si intitola “European Commission Guidelines for Inclusive Communication”. Si tratta di un elaborato interno, nel senso che queste linee guida concernono la comunicazione interna ed esterna da parte dei collaboratori della Commissione Europea. Nell’introduzione specifica (tradotta da noi dall’inglese): “Lo scopo di questo documento è di creare degli standard per una comunicazione inclusiva e di dare esempi pratici e consigli a tutti i colleghi della Commissione.

  • “… è vietato…”: il documento non parla di nessun divieto, si tratta di linee guida per i collaboratori.

  • “…dire Natale…”: a pagina 19 il documento dice (tradotto dall’inglese) “Evita di presumere che ogni persona sia Cristiana. Non tutti celebrano le feste Cristiane e non tutti i Cristiani le celebrano gli stessi giorni. Sii sensibile al fatto che le persone hanno differenti tradizioni religiose e calendari.

  • “…e perfino chiamarsi Maria”: Il documento sempre a pagina 19 dice: “Non usare solo nomi che sono tipicamente di una religione.” Continua spiegando che sono da evitare frasi come “Maria e Giovanni sono una coppia internazionale”, poiché sostituibili con “Malika e Giulio sono una coppia internazionale.” È dunque una bugia intenzionale dire che secondo le linee guide sarebbe "vietato chiamarsi Maria". Il documento non lo dice e non lo insinua in nessun contesto.

Il potere del linguaggio

Il fatto che si sia formata una protesta così cieca, apparentemente insensata, così forte e distruttiva contro delle linee guida in verità aperte e inclusive, mostra il potere intrinseco del linguaggio. Questa protesta riconosce implicitamente che un linguaggio inclusivo toglie potere agli stereotipi, al razzismo, alla supremazia, alle religioni. E, sotto sotto, teme che questa rivoluzione linguistica possa togliere potere a tutte quelle forme istituzionali e tradizionali della cultura e della società, le cui fondamenta si poggiano su antagonismi e opposizioni, come il baratro fra le persone ricche e le persone povere, la discriminazione nei confronti delle persone LGBTIQ, l’ineguaglianza fra donna e uomo etc.

Non è un caso che siano le forme più istituzionali (come certe frange tradizionaliste della Chiesa cattolica) a urlare contro questa riforma linguistica, unitamente al coro dei populisti di destra. Se il linguaggio cambia, le forme tradizionali e le istituzionali della società perdono il loro potere, perché il loro potere poggia sul linguaggio.

Il Documento della Commissione Europea mira infatti a promuove un linguaggio inclusivo, che è l’opposto della propaganda divisiva e discriminante di tutti gli arroccamenti reazionari e tradizionalisti. Non a caso, Helena Dalli, Commissaria per l'uguaglianza, afferma: “dobbiamo modificare il nostro uso del linguaggio (...) in maniera critica, nel senso di una rappresentazione della diversità, e della maniera nella quale gruppi differenti vengano ritratti. Queste linee guida vogliono raggiungere esattamente questo scopo."

Ripensare il mondo

A nostro avviso è corretto in un linguaggio ufficiale ripensare la dicitura “nome di battesimo”. Innanzitutto perché non siamo più nel medioevo, quando la Chiesa Cattolica aveva ancora il potere di far credere ai fedeli che se i loro figli fossero morti da non battezzati sarebbero andati direttamente al purgatorio (cosa neanche vera perché fino al 2007 i non battezzati andavano al limbo). L’espressione “nome di battesimo”, anche se è stata in uso per centinaia di anni, oggi (in un linguaggio di un ente ufficiale) non ha più ragione di esistere perché giustamente chi non è battezzato non ce l'ha il "nome di battesimo" e dovrebbe tracciare una riga invece di mettere il suo primo nome.

Uniti nella diversità

Chiaramente l’ondata di indignazione che l’articolo de Il Giornale ha suscitato non ha nulla a che vedere con il giornalismo e il tutto sarebbe trascurabile se, appunto, queste bugie fossero rimaste confinate al giornale italiano e non fossero proliferate in un’esplosione mediatica in rete. Invece, purtroppo, sembrano essere diventate “la verità”, come negli Stati Uniti sono diventate verità le bugie di Donald Trump sulla presunta truffa nei conti delle ultime elezioni presidenziali.

Le parole hanno un potere, bisogna esserne consapevoli e bisogna prendersene cura, con trasparenza, ma anche con forza e con determinazione. Sostituire il diminutivo “Signorina” con “Signora”, confinare le religioni e le loro espressioni al mondo privato soltanto.

Sempre Helena Dalli, Commissaria per l'uguaglianza della Commissione Europea, afferma: “Dobbiamo (la CE) dare comunicazione inclusiva tutto il tempo, e così assicurare che ognuno sia valorizzato e riconosciuto in tutti i nostri materiali, indipendentemente dal loro sesso, dall’origine etnica, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale. È questo che veramente significa ‘Uniti nella diversità’ .”

Questa deve essere la nuova via, non solo linguistica ma anche comportamentale: dobbiamo essere uniti nella diversità e dobbiamo fare in modo di promuovere questa nuova via, anziché offuscarla e distruggerla (con l’intenzione di tenere in vita vecchie strutture di potere). Ne va della nostra evoluzione sociale e culturale.

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